Le 66 candeline di Manolo

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di Paolo Silvestri

Nel 1975, poco prima della morte di Francisco Franco, un tennista iberico trionfava sulla terra verde del West Side Tennis Club di Forrest Hills, regalando al proprio paese il primo Slam a stelle e strisce nell’Era Open. La coincidenza casuale dei due fatti nel giro di pochi mesi sembra quasi legarli simbolicamente e segnare una nuova fase di apertura della Spagna nel mondo. Da una parte la fine degli anni bui del franchismo, della chiusura interna e dell’isolamento internazionale, a mille miglia di distanza dal boom economico e dal sogno americano; dall’altra l’”intrusione” di un giocatore spagnolo nel torneo yankee per eccellenza, e per di più ai danni di Connors, allora numero uno del mondo. Il nome di questo giocatore è Manuel Orantes Corral, l’altro Manolo, insieme a Santana, del tennis iberico. E oggi compi 66 anni.

La sua immagine e il suo carattere sono sempre stati all’insegna di sobrietà, umiltà e intelligenza. Nessun’aria di grandezza, nessuna vanità, nessun tocco glamour, e una una storia sentita tante volte. Quella di un bambino nato nel seno di una famiglia umile, emigrata da Granada a Barcellona in cerca di migliori opportunità, e della sua scoperta casuale del tennis, lavoricchiando nel tempo libero come raccattapalle nello storico Club Tenis de la Salut. E poi le prime di una lunga e fortunata serie di racchettate, che lo portano presto a farsi notare come junior, vincendo l’Orange Bowl nel ’66 e l’anno successivo la prova cadetta di Wimbledon. Il fisico un po’ tozzo e l’aspetto da rude indio si trasformavano in leggera eleganza quando prendeva in mano (con la sinistra) la racchetta. Il gesto del servizio era da manuale, la risposta sicura, i colpi di rimbalzo solidi e piatti, ma con frequente ricorso a slice e chop. Poco amico della rete, sapeva però contrarrestare magistralmente le discese dei suoi avversari, con passanti e pallonetti millimetrici. Un tennis tecnicamente bello e completo, potenziato da due gambe velocissime e da un atteggiamento in campo lucido e sereno, anche se apparentemente un po’ mesto.

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Orantes era un giocatore nato e cresciuto sulla terra e che proprio su questa superficie conquistò la maggior parte dei suoi titoli: su 33 tornei vinti, ben 30 sul rosso, vale a dire un dominio schiacciante, che gli permise di vincere praticamente tutto, da Roma ad Amburgo, da Montecarlo a Barcellona, da Bastad a Kitzbuhel, da Indianapolis a Palermo, da Monaco a Valencia, solo per citare i principali allori. Tutto meno il Roland Garros, che ingiustamente non figura nel suo palmarés, anche se raggiunse la finale nel ’74 perdendo in cinque set contro Borg, dopo essersi portato in vantaggio due set a zero. A proposito del torneo parigino, bisogna ricordare che nell’80 fu vittima di una beffarda eliminazione. Al quarto turno è programmato il suo incontro con Vilas, che non si sente bene e non si presenta, con vittoria per il giocatore spagnolo per w.o. Tutto secondo le regole, ma poco dopo viene comunicato che in realtà la partita viene spostata al giorno dopo, con la conseguente indignazione di Manolo, che sarà umile ed educato, ma i piedi in testa non vuole farseli mettere. Decide quindi di non presentarsi al match, convinto di avere la ragione dalla sua, come dimostrerà un tardivo ed inutile ricorso, ma viene a sua volta eliminato per w.o. Incredibile ma vero.

Oltre alla citata vittoria all’US Open del ’75, che sarà bissata solo 35 anni dopo da Nadal, Orantes può vantare un altro importatissimo successo, cioè il Master di Huston del ’76, battendo in finale in cinque set Wojtek Fibak.

Il ranking Atp dell’agosto del ’73 vede al primo posto Nastase, seguito proprio da Orantes, che raggiunse in quell’occasione il posto più alto in classifica, e chiuse la carriera nel 1984 con più di 100 finali fra singolo (33+/35-) e doppio (21+/20-). Numeri da capogiro, che però non si sono tradotti proporzionalmente in cifre. Il suo prize money globale supera appena il milione di dollari, non poco per i suoi tempi, ma pochissimo in confronto alle quantità di denaro che circolano oggi. Ma erano altri tempi e non solo in senso economico. Voglio citare a questo proposito un curioso aneddoto, che lo stesso Orantes ama raccontare ormai con il sorriso sulle labbra, ma che a suo tempo deve avergli provocato un’incazzatura monumentale. Nel ’76 si presenta, come campione in carica, ad Indianapolis (torneo che vincerà in carriera in tre occasioni) e per prima cosa telefona per sapere a che ora è stato programmato il suo incontro di primo turno. “Sono Orantes, vorrei sapere a che ora devo giocare domani” dice, come chi prenota un campo ai tennis comunali. “Domani sera alle nove” rispondono dall’altra parte della cornetta. Il buon Manolo si presenta in tempo utile e scopre di essere stato eliminato per w.o. perché il suo match era previsto per mezzogiorno. Ma come? Una breve indagine è sufficiente per scoprire che l’organizzazione aveva fornito un telefono sbagliato e il malcapitato titolare del numero, stanco di essere tartassato di telefonate e di spiegare che lui non c’entrava niente, aveva sparato un orario a caso. Nel tennis superprofessionale di oggi una situazione del genere sarebbe impensabile.

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Inutile elencare in dettaglio i successi a livello nazionale di Orantes, sei volte campione di Spagna fra ’67 e ’79e pedina fondamentale, insieme a Santana e Gimeno, della squadra di Davis (con una finale persa in Australia nel ’67) di cui fu anche capitano per alcuni anni dopo il ritiro. La sua brillante carriera è stata premiata nel 2012 con l’ingresso nella Hall of Fame del tennis mondiale, accompagnato dai connazionali Manuel Alonso, Arantxa Sánchez-Vicario, e proprio dagli ex compagni di squadra Santana e Gimeno.

Oggi compie 66 anni, età che tradizionalmente dà inizio al pensionamento. Ma lui continua invece ad essere attivo nella scuola tennis che gestisce nel Club Bonasport di Barcellona. Lontano dalla luce dei riflettori, questo sì. All’insegna di sobrietà, umiltà e intelligenza, secondo il suo stile. Carissimi auguri, Manolo.

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