Marco Panichi: “Con Rune abbiamo rimesso ordine, il lavoro giusto è farlo andare piano”

Tommaso Giuliani
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Marco Panichi - Foto Joly Victor_ABACA

Marco Panichi è uno dei preparatori atletici più esperti del tennis internazionale. Oltre agli anni al fianco di Novak Djokovic, vanta collaborazioni con diversi top player del circuito ATP, tra i quali Jannik Sinner e Holger Rune. Ospite dell’ultima puntata del JLM Podcast, ha raccontato proprio il lavoro che ha svolto con Rune, dagli interventi fatti sul suo fisico ad alcuni principi generali della performance nel tennis moderno.

Panichi ha innanzitutto parlato del tipo di atleta che ha trovato quando è entrato nel team di Rune: “Holger è un ragazzo con un potenziale enorme. Esplosivo, coordinato, con un istinto naturale molto forte. Ma tende a usare tanta energia in eccesso, soprattutto nei momenti in cui non serve. Il primo lavoro è stato aiutarlo a gestirla”.

Successivamente ha raccontato quale fosse la situazione fisica generale del giocatore al suo arrivo: “Quando sono arrivato, Holger veniva da un periodo complicato. Non c’era un infortunio ‘grande’, ma un insieme di cose: affaticamenti, compensi, piccole rigidità che limitavano la sua espressività. Il corpo mandava segnali chiari”.

Panichi fa il punto su Rune

Non è poi mancato un commento sull’effetto principale di questi problemi sul gioco del danese: “Per uno come lui, che basa il tennis sulla velocità e sulla capacità di cambiare direzione, anche il 10% di efficienza in meno diventa un limite enorme. Se il corpo non risponde, cambia tutto: postura, appoggi, tempi di reazione. Si muoveva, ma non come sa muoversi lui”.

Abbiamo rimesso ordine. Prima di tutto nella gestione dei carichi, poi nella qualità del movimento – ha aggiunto Panichi, descrivendo il tipo di intervento impostato per il recupero dall’ultimo problema al tendine d’Achille accusato a Stoccolma – Holger tende sempre a dare il massimo, ma quando devi recuperare serve disciplina: progressioni, intensità controllata, rispetto dei tempi. In certi momenti il lavoro giusto è farlo andare più piano”.

L’obiettivo prioritario del percorso? “Restituirgli simmetria, equilibrio e fiducia nei movimenti. Un atleta esplosivo come lui deve sentire il corpo ‘libero’. Quando ricomincia a fidarsi degli appoggi e delle accelerazioni, cambia tutto”. Infine Panichi ha parlato di come sta oggi il giocatore: “Sta tornando a muoversi come vuole lui. Ha ricominciato a sentire il corpo fluido. È giovane, reagisce bene e impara in fretta. La chiave è metterlo nelle condizioni di esprimere la sua intensità, ma in modo efficiente”.

Metodo e principi di lavoro

Tra i temi affrontati da Panichi, gli insegnamenti dall’esperienza con Djokovic: “Con Novak ho imparato che ogni esercizio deve avere un motivo preciso, un obiettivo e un parametro per misurare il progresso. Non accetta nulla per routine: vuole capire tutto. La sua velocità non è solo fisica, ma soprattutto neurologica. Legge il gioco prima”.

Ha poi spiegato quali siano i pilastri della sua preparazione atletica: “La base è la biomeccanica individuale. Ogni atleta ha la sua struttura. Poi ci sono forza funzionale, velocità, reattività e prevenzione. E tutto deve essere progressivo. Se non puoi misurare un miglioramento, stai indovinando”.

Per ultimo, Panichi ha descritto il tipo di atleta richiesto dal tennis di oggi: “Serve un atleta fluido. Il tennis è un continuo passaggio tra difesa, neutralità e attacco. Non vince il più muscoloso, ma quello che sa muoversi meglio nello spazio”.

Tecnologia e visione finale

Prima costruisci l’atleta, poi costruisci il tennista”. Ha riassunto così la sua filosofia Panichi, che infine ha raccontato quanto la tecnologia pesi nel lavoro moderno: “È utile: sensori, analisi del movimento, software per monitorare il recupero. Ma deve restare uno strumento. Non può sostituire l’allenatore”.

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