Ciao, e grazie, Olivier

Olivier Rochus

di Marco Mazzoni

 

“Quanto mi hai fatto divertire! Congratulazioni per la tua splendida carriera Olli <3”. Parole e musica di Kim Clijsters, che con la consueta grazia e dolcezza ha salutato via twitter l’amico e connazionale Olivier Rochus, appena ritiratosi dal mondo del tennis Pro. Il piccolo talentuoso belga infatti mercoledì ha giocato il suo ultimo incontro Pro a Mons, perdendo in tre set contro Gerard Melzer, seguito dall’ultimissimo match di ieri, sempre a Mons, in doppio. Ha scelto di ritirarsi in casa, in punta di piedi, come si confà ad una persona con una certa classe. Un tipo decisamente non banale Olivier, uno che non ha mai amato mettersi in mostra, lasciando parlare la magia della sua racchettona Prince, fida compagna di una carriera lunga e con diverse perle.

Se qualche appassionato distratto, magari sull’impeto della notizia, passa sul profilo ATP di Rochus non ricordandolo precisamente, non troverà grandissime vittorie. 2 titoli in singolare (Palermo e Monaco, terra rossa) e ben 8 finali perse; best ranking “solo” al n.24, con due vittorie in doppio. Potrebbe chiudere la pagina passando ad altro, pensando di non essersi perso granché. Errore.

Olivier Rochus ha portato nel mondo della racchetta una storia, un talento ed “un sogno” che non devono perdersi, ma restare come una piccola meravigliosa pagina di sport e di vita.

Intanto, leggendo un po’ meglio “quei numeri”, il buon belga ha vinto il doppio a Roland Garros, insieme al bizzarro amico e connazionale Malisse, un altro animato da un tasso di talento fuori dal comune, ritiratosi nel 2013 e su cui si potrebbe scrivere un libro di aneddoti sterminato e clamorosamente divertente. Altro doppio non da poco vinto da Rochus è quello di Wimbledon junior, insieme ad un certo Roger Federer del quale è coetaneo. Trovatemi quanti tennisti hanno in bacheca questi due titoli Major… Però su Rochus i numeri dicono poco, sono quasi dettagli.

Rochus è un nome che resterà per sempre impresso nell’appassionato doc, quello che ama il tennis in profondità, che ne conosce la storia e ne apprezza radici classiche; ancor più se l’appassionato non è “un passeggero distratto” ma va a cercare proprio quei personaggi che hanno portato nel nostro mondo qualcosa di diverso, a suo modo unico. Olivier Rochus è stato probabilmente il più forte tennista (certamente sul piano tecnico, ma direi anche sportivo) degli ultimi 20 anni in rapporto ai mezzi fisici. Forse anche degli ultimi 30, non mi spingo oltre perché non ho vissuto sulla mia pelle anni ancor più addietro.

168 cm dice il suo bio. Generosi, troppo generosi. 165 si legge altrove. Mi sono ritrovato accanto a lui più volte, e oserei dire che scalzo sarà 163, forse. Misure le sue diventate drammaticamente minime anche per il tennis femminile ai nostri giorni, pensate un po’ per il mondo mascolino, dominato sempre più da atleti formidabili, alti almeno 185 cm e ricchi di dinamite in corpo.

Tante, troppe volte nei suoi momenti migliori e non è stato stuzzicato su quest’aspetto antropometrico, arrivando persino ad affermare con sottile ironia che il suo sogno, fin da bambino, non è mai stato vincere Wimbledon o Parigi, ma “essere alto”. Tra battute e amarezza, chissà quanto avrà pesato nella sua (scarsa) crescita questo voler arrivare lassù, più in alto, fisicamente e sportivamente. Deve aver pesato tantissimo, perché il suo sogno e la sua visione di far fruttare un grande talento nonostante madre natura fosse stata così poco generosa con lui l’ha reso forte, fortissimo. Gli ha dato quello sprint e quella abnegazione per lavorare contro tutto e contro tutti, puntando su se stesso e vincendo la scommessa più bella. Olivier può dire di avercela fatta, perché sfido chiunque a pensare di poter raggiungere così buoni risultati, battere rivali troppo più attrezzati e soprattutto giocare un tennis così bello e interessante nonostante i suoi limiti strutturali.

Bravo e forse anche un filo fortunato a nascere in Belgio, un paese piccolo ma dove la cultura sportiva e nella vita è piuttosto alta. Un paese che apprezza e che sa coltivare il talento, come ha dimostrato la sua straordinaria generazione che ha lanciato bracci d’oro come il suo, Malisse e soprattutto Justine Henin e Kim Clijsters. Rochus ha lavorato tanto e molto bene, senza grande pressione addosso ma con un’infinita voglia di imparare e di applicarsi. Un lavoro che è partito da molto lontano, con una visione corretta: non sarò mai in grado di battere i migliori di forza, devo pormi in condizione di far fruttare al massimo il mio talento tecnico e la mia velocità. Come? Affinando al massimo tecnica e spostamento sul campo. Rochus dal punto di vista tecnico è stato un giocatore sopraffino. Non un punto debole. Anche al servizio ha tirato fuori molto più di gente che lo guardava letteralmente dal basso verso l’alto… Da fondo si è costruito due fondamentali eccellenti, puliti, buoni per affrontare ogni tipo di situazione tecnica e tattica. Ma la vera magia è stata quella di riuscire a trasformare ogni sua stilla di talento in una piccola grande arma in campo. Ha lavorato affinando una tecnica esecutiva eccezionale, che sostenuta da due gambe velocissime lo ha messo in condizione di arrivare col tempo ideale sulla palla in modo da colpirla alla grande e così rubarle tutta la inerzia. Con intuito, tecnica e velocità è riuscito in parte a colmare il gap del suo fisico minuto. Vederlo mulinare dei rovesci a tutto braccio a flirtare con le righe, passando per back micidiali e strettini d’autore è stato spesso vera libidine tennistica. Ancor più quando arrivava ad “umiliare” sportivamente il forzuto di turno, che tirando col paraocchi bordate in serie finiva per non capirci più niente nella sapiente e mai casuale ragnatela impostata del piccolo belga. Non male nemmeno col dritto, ancor più per come riusciva in corsa a governare le traiettorie più angolate e restituire improvvise fiammate.

Purtroppo è stato spesso soverchiato dalla potenza dei rivali, che fin dalla risposta l’hanno martellato e spesso dominato. E quel suo generoso modo di stare in campo gli è costato tanto, tra cali di forma ed infortuni. Ma nella sua ottima carriera non sono mancate le imprese, come le vittorie nel 2005 su Coria (allora n.6 del mondo) o su un giovane Djokovic in Davis.

La storia forse più nota e divertente e la sua piccola rivalità contro Safin, davvero l’altro lato della Luna per potenza e caratteristiche. Ha vinto ben 3 volte contro Marat, tra cui una a Wimbledon che scatenò non poche polemiche per l’uscita infelice del russo contro i prati londinesi, …quando in realtà fu proprio il gioco sapiente e paziente di Rochus a mandarlo in bambola totale. “Non riesco a giocare contro Olivier, mi fa giocare strano, mi rimanda tutto con effetti diversi e perdo la pazienza”, questo il senso della frustrazione di Marat affrontando il nostro piccolo eroe, ed è stata anche quella di tanti altri nel trovarselo al di là della rete. Se ti agganciava nella sua ragnatela, oppure accettavi i suoi ritmi, diventava complicatissimo batterlo perché con la palla poteva farti di tutto. Un tennis davvero smart quello di Olivier, che ha avuto la sfortuna di esser arrivato nel grande tennis in un momento di passaggio storico, quando il gioco stava diventando sempre più lento e dominato dalla potenza fisica. Però con la sua qualità e l’abilità nel far fruttare il suo gioco su tutte le superfici ha scritto molte belle pagine di tennis da fine anni ’90 e per tutto il decennio di inizio secolo.

Purtroppo il suo nome resterà per sempre legato anche ad una delle pagine più nere del nostro tennis: il 21 luglio 2000 Rochus sconfisse in tre set Gaudenzi sulla terra di Venezia nello spareggio salvezza di Davis, contribuendo alla prima dolorosissima retrocessione della nostra nazionale.

Di lui mi resterà soprattutto l’istantanea del suo rovescio, quel tempo assoluto con cui era capace di cambiare ritmo ed angolo, con sensibilità e maestria. E mi resterà anche il suo sogno, quello di una persona “normale” e quindi diversa, lontanissima dall’icona sportiva dotata di doti fisiche straripanti, ma che nonostante tutto è riuscita a lasciare un segno. Gli auguro di restare nell’ambiente, magari come coach. Ha tantissimo da dire, e da dare. A tutti. Ciao e grazie, Olivier.

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