Le Avventure di Filo e Poto

di Sergio Pastena

Gianluigi Quinzi è il futuro del nostro tennis.

No, non mi sto esaltando per i quarti al Future di Pozzuoli, il problema è un altro: ha il nome adatto. Fateci caso, il soprannome che gli è stato affibbiato è GQ, come l’omonima rivista. Le sue iniziali, niente di più, ma pochi possiedono un cognome con la Q che gli permetta di chiamarsi come uno dei simboli dell’universo maschile in questo scorcio di millennio. Mica come gli altri.

Perchè… ammettiamolo, noi tifosi italiani con i soprannomi siamo sempre stati sfortunati. La maggior parte, infatti, deriva da giochi di parole sul nome o sul cognome, ma tra i tennisti in attività forse solo Bracciali (“Braccio”) ne permette uno decente. Per il resto non possiamo vantare un cognome che suona bene dai tempi di Pistolesi che rimandava alle colt. Il mio rimpianto resta il fatto che all’epoca di Tieleman non scrivessi per un sito di tennis: avrei provato in ogni modo a lanciare il mio personalissimo “Tielhenman”.

Ma oggi? Oggi i maschietti vivono in maniera perenne il loro complesso di inferiorità rispetto alle colleghe donne. Al femminile tra Pericoli, Cecchini, Grande e Vinci da quarant’anni i titolisti dei giornali hanno vita facile. “Pericolosa Lea!”, “Sandra, Cecchina!”, “Rita sei Grande!” si è arrivati alla nausea, al punto che un “Roberta… Vinci!” proposto a un caporedattore oggi può essere punito con la decapitazione in sala riunioni senza processo. E “Nasty” (cattiva) per la Burnett promette bene: ditele di cominciare a tirare le racchette alle avversarie, da un punto di vista di marketing sarebbe una genialata (scherzo, Nastassja, non farlo!). Tra i maschi, invece, nulla.

Prendiamo Volandri e Starace: il primo avrebbe un’opzione, quella di “Volander”, ma non la sfruttiamo. Preferiamo “Filo”, mentre Starace diventa “Poto”. Immaginate se la Disney, invece di creare i personaggi di Red e Toby, avesse prodotto “Le avventure di Filo e Poto”. Suona alla grande, vero? Questo dice tutto. E gli è andata bene, se vogliamo: Andreas Seppi è chiamato talvolta “Seppio” e, non ce ne voglia Sartori che l’ha coniato, quel nomignolo è capace di trasformare l’attuale eroe del Foro Italico in qualcosa di unto e viscido. Per quanto riguarda Fognini, poi… accettare il soprannome “Fogna” senza picchiare chi gliel’ha dato denota una flemma da lui inaspettata. Ci siamo risparmiati “Er Cipolla” col povero Flavio, ma non abbiamo avuto pietà di Alessandro Giannessi. Gianna… dico… Gianna! Pensate a sto poveretto che si presenta “Piacere, Alessandro Giannessi detto Gianna” e qualche burlone risponde “Ciao! Davanti e dietro quanto ti prendi?”.

Non che il passato, come detto, fosse tutto rose e fiori. Santopadre è adatto per fare carriera in Vaticano, magari con la Santangelo come perpetua, Pozzi al massimo ti può servire se lavori all’Eni. Il dramma di Canè e dei giochi di parole sull’accento, poi, lo sento in maniera vibrante perché mia madre porta lo stesso, dannatissimo cognome. Se Sanguinetti fosse stato un giocatore alla Koellerer avremmo avuto buon agio a chiamarlo “Sangue!”, esclamativo incluso, invece era un pezzo di pane. In quanto a Pescosolido… “Pesco”: sì, bravo, io ogni tanto vado a caccia.

Si dirà: è l’italiano che suona male. No, è che siamo sfigati, punto! Perché se Andrea Agazzi, clone italiano di Andrè Agassi, non è mai esploso allora deve essere colpa della sorte. Forse facciamo ancora in tempo con Matteo Murray, chissà. Ma se usciamo dai confini… quando un cognome italiano lo porta uno straniero come’è che si deve chiamare? Si deve chiamare Vinciguerra! Già… perché gli stranieri coi soprannomi hanno fortuna: pensiamo a “A-Tomic”, “FedEx”, “A-Rod”, “Djoker”, “Ferru” e via dicendo. E pensiamo soprattutto al doppista Dick Norman, che essendo alto 2.03 ha permesso il più strepitoso gioco di parole della storia della racchetta. Il belga è chiamato “Big Dick”: a un italiano suona come un semplice riferimento all’altezza, ma chi conosce il significato del suo nome nello slang inglese non avrà dubbi sull’efficacia del nickname in terra anglofona.

Tornando agli italiani, ho un ultimo ricordo, indegno, confermato purtroppo anche dal sito dell’Atp: ai tempi del caro Cristiano qualcuno, in vena di giochi di parole particolarmente articolati, ebbe il coraggio di soprannominarlo “Caratti Kid”. Una prece.

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