Jannik Sinner: nato per vincere

Jannik Sinner ha vinto un match incredibile con Pablo Carreno Busta a Miami. Un match point annullato nel secondo set, quattro nel secondo parziale, sino al 5-7 7-5 7-5 finale. Un incontro che racchiude l’essenza di Jannik, l’essenza del campione.

In molti, 2-3 anni fa, riferendosi a Jannik utilizzavano la parola ‘predestinato’. L’ho fatto anche io in alcune circostanze. Riccardo Piatti ha sempre ripudiato il termine predestinato ritenendo che, senza il lavoro giornaliero, nessuno, anche dotato, possa arrivare in alto. Non si può che dargli ragione.

La parola ‘predestinato’, però, è la più attinente a descrivere quando accaduto ieri a Miami. Il rifiuto della sconfitta, la capacità di riprendere un match che sembra ormai nelle mani dell’avversario, la capacità (e probabilmente il divertimento) di immergersi in una situazione di estrema difficoltà e ribaltarla, sono tutti aspetti degni di un predestinato. Degni di chi ha qualcosa dentro di sé di innato, inspiegabile, che viene fuori con forza nel momento del bisogno. A volte può andare bene, come ieri, altre male (perché poi c’è sempre l’avversario), ma quando Sinner è in campo si ha la certezza che la partita finisca solamente alla stretta di mano.

Nessun punteggio è irrecuperabile, assolutamente nessuno.

Quanti italiani, in passato, hanno dimostrato questa innata qualità? Anzi, la domanda corretta dovrebbe essere: ‘quanti tennisti hanno palesato questa dote da campioni assoluti? Rimanendo ai giorni nostri probabilmente la risposta giusta sarebbe ‘Djokovic e Nadal’.

Parleremo poi di cosa non vada tecnicamente, della confusione tattica che ogni tanto colpisce Jannik, di una brillantezza fisica (perché la resistenza male non è, no?) mancante e di un tennis che, complessivamente, va rimesso in ordine e migliorato. Simone Vagnozzi ha appena iniziato il proprio lavoro e, da allenatore intelligente quale è, sa benissimo di non poter intervenire troppo su una costruzione del giocatore che durava da ben 7 anni. ‘Vagno’ sta entrando nel tennis di Jannik in punta di piedi, ma allo stesso tempo con decisione. Subentrare a febbraio, nel tennis, è complesso. Per fare un parallelo, sarebbe come allenare una squadra di calcio dal mese di ottobre, dopo che il mister precedente ha lavorato per 7 anni e ha appena svolto una preparazione (fisica, tecnica e tattica) degna di nota. Serve, appunto, intelligenza. Ma di ‘Vagno’ mi fido ciecamente.

Oggi conta il rifiuto della sconfitta. E la capacità di vincere match che (quasi) chiunque avrebbe perso.

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