Tsonga e Cilic, ruggiscono i giovani leoni della vecchia Europa

di Roberto Commentucci

La geografia del tennis mondiale cambia. Questa edizione degli Australian Open sarà ricordata come un ritorno alla “Belle Epoque”, quel periodo storico compreso fra la fine del 1800 e l’inizio della prima guerra mondiale nel quale il Vecchio Continente dominava il mondo, forte dei suoi imperi coloniali. Non era probabilmente mai successo che tutti e 8 i semifinalisti, uomini e donne, di un torneo del Grande Slam fossero esclusivamente europei.

In campo maschile, le due giovani rivelazioni del torneo sono state probabilmente il francese Jo Wilfred Tsonga (che sfiderà Nadal addirittura per un posto in finale), e il giovanissimo croato Marin Cilic, classe 1988, che ha raggiunto gli ottavi di finale eliminando, fra gli altri, il finalista uscente Fernando Gonzales.

Si tratta di due giocatori di impostazione estremamente moderna, che possono fornirci preziose indicazioni su quale potrebbe essere lo sviluppo futuro del nostro gioco. Sotto il profilo tecnico, i due hanno parecchi punti in comune: un gran servizio (anche grazie alla notevole statura), un diritto molto potente, una buona attitudine al gioco al volo e un rovescio bimane “costruito”: i loro tecnici hanno visibilmente cercato di porre riparo, con l’impostazione a due mani, ad una debolezza di fondo dal lato sinistro. E questo, nonostante entrambi gli atleti, sempre a causa della loro statura, abbiano il loro tallone di achille negli spostamenti, ciò che avrebbe in altri tempi consigliato di optare per un rovescio ad una mano.

Se questi due giocatori fossero nati 30 anni fa, probabilmente sarebbero stati entrambi impostati in modo classico: diritto piatto, rovescio in back, serve & volley, chip & charge. L’evoluzione del gioco ha invece reso necessario il potenziamento dei colpi da fondocampo, e questo ha comportato, per entrambi, l’impostazione bimane. Si tratta di due giocatori comunque divertenti e spettacolari, specie il francese, che sembra maggiormente dotato in termini di sensibilità di palla e di eleganza nel gioco al volo.

Tuttavia, si tratta di una tendenza a mio avviso pericolosa. Gli spunti di riflessione, infatti, non finiscono qui. La crescente importanza del servizio e dello schema uno-due servizio-diritto favorisce, ormai su tutte le superfici, soprattutto i giocatori molto alti e potenti, in grado di servire costantemente oltre i 200 km/h la prima palla e di concludere poi lo scambio con una o due accelerazioni di diritto. Come schema “di scorta” questo tipo di giocatori utilizza spesso un serve & volley, meglio se dietro una seconda palla di servizio carica di kick, (che essi, grazie alla loro statura, riescono a far rimbalzare molto alta e profonda) per tenere lontano l’avversario. I casi limite di questa tendenza sono ovviamente i due pivot, Ivo Karlovic e John Isner, entrambi oltre i due metri, i quali però sono davvero troppo lenti negli spostamenti e vulnerabili in risposta per ambire davvero a ricoprire posizioni di vertice.

Ma la tendenza di fondo resta: l’evoluzione dei materiali e delle condizioni di gioco premia sempre più la potenza, piuttosto che la velocità, l’aggressione rispetto alla regolarità. E questo ha notevolmente alzato la statura media del giocatore di tennis professionista. I talent scout guardano sempre più all’altezza come prerequisito fondamentale, e l’idea di fondo è la seguente: intanto prendiamo quello più alto e grosso, poi cercheremo di renderlo più veloce con un lavoro specifico…

E così, il tennis rischia di diventare una disciplina affine al basket e alla pallavolo, e per i normotipi sarà sempre più difficile emergere.

Un rimedio? Da più parti si richiede all’ITF di accorciare di una decina di centimetri il rettangolo del servizio. Ciò limiterebbe l’incidenza della battuta sul gioco e forse potrebbe riequilibrare i rapporti di forza tra potenti battitori e giocatori di difesa. Staremo a vedere.

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