Spazio (all’altro) Tennis: Isole Vergini


(Eugene Highfield)

di Giacomo Bertolini

SPAZIO(ALL’ALTRO)TENNIS: ISOLE VERGINI

Non solo superpotenze, incassi faraonici, tornei sfavillanti e popolarità alle stelle. Il tennis che ti porta in alto, si sa, parte dal basso e allora ecco la nuova rubrica di Spazio Tennis che, con un occhio ai paesi outsider del circuito, si propone di svelare quei numerosi scenari sommersi ma fortemente radicati nei “sobborghi” del tennis. Altre realtà, altre difficoltà, altri eroi… altro tennis!.

Puntata 11 in salsa caraibica per Spazio (all’altro) Tennis che scopre il tennis nelle Isole Vergini affidandosi al pilastro di Coppa Davis Eugene Highfield

Gli inizi, i primi tornei e il trasferimento alla Newcombe Academy: “Ciao a tutti e grazie per esservi interessati al tennis nelle Isole Vergini. Sono Eugene Highfield e ho cominciato a giocare a tennis ad appena due anni, determinato ad imparare lo stesso sport che faceva mio padre. Devo dire che ho imparato abbastanza facilmente e così già a nove disputavo tornei in giro per i Caraibi. Successivamente, negli ultimi tre anni di scuola superiore ho deciso di trasferirmi alla Tennis Academy di John Newcombe, per poi accettare una borsa di studio presso l’Università di Oklahoma dove mi sono laureato”.

Le Isole Vergini entrano in Davis, è la svolta per il tennista di Christiansted: “Poco dopo alle Isole Vergini è stato concesso lo status di Coppa Davis e per me è stata la realizzazione di un sogno che cullavo sin da bambino. Ero davvero entusiasta di entrare a far parte di questo team, per me significava tutto. Abbiamo giocato la Coppa Davis a Trinidad, St. Lucia, St. Vincent, Costa Rica, Honduras e El Salvador, per poi provare anche l’esperienza dei Giochi Panamericani a Cuba, in Canada e Brasile e Centroamericani in Venezuela e Colombia. Un anno abbiamo battuto tutti nel nostro girone e così siamo stati promossi nel Group 3 di Davis Cup, assicurandoci in questo modo la permanenza in quel raggruppamento senza fare gli spareggi.

Un “gettone” Davis, per Highfield, sempre guadagnato sul campo: “Non era semplice staccare il pass per la squadra dal momento che c’erano sempre delle sorte di “turbolenze” e pressioni politiche. La selezione per il team ufficiale non rispettava la reale bravura dei giocatori e così io sapevo che se volevo far parte di quella compagine dovevo conquistarmi il posto sul campo, battendo tutti nei provini interni. E dal momento che l’unica cosa che volevo realmente era giocare per quella bandiera ho ignorato tutti e pensato solamente a vincere ogni singolo match. Giocare in quella manifestazione mi rendeva veramente felice e così io ero sempre quello che caricava e rallegrava tutti i miei compagni!”.

Le “altre” realtà Davis e le esperienze vissute in prima persona da “Gene”: “La nostra organizzazione, limitatamente ai nostri gironi, era buona, potevamo accogliere le squadre avversarie e disponevamo di sufficienti campi. Quello che preoccupava invece era la sicurezza quando giocavamo in trasferta e così molte volte eravamo scortati da guardie armate con mitragliatrici sul nostro bus da e per i campi principali. Tutto ciò era molto confortante perché il livello di pericolo era francamente alto. A tal proposito ricordo molto bene un episodio capitato a St. Lucia quando, durante un match, cinque uomini si appostarono sul tetto del campo e, appena mi accingevo a servire, mi urlavano contro frasi come “stiamo venendo ad ucciderti, uomo bianco!”. Ovviamente tutto questo mi turbò non poco, visto che, essendo impegnato a giocare, non capivo se fossero seri o meno”.

Coppa Davis che, tuttavia, rimane sempre sinonimo di grandi gioie per il veterano delle Isole Vergini; ecco il suo ricordo più emozionante: “Senza ombra di dubbio la mia partita più memorabile l’ho disputata nell’anno della nostra promozione in Coppa Davis. Eravamo impegnati in Costa Rica e io ero sceso in campo per primo. Fu una partita tiratissima sin dall’inizio, contrassegnata da tie break e sempre nel segno dell’equilibrio. Sono riuscito a portare a casa il punto dopo aver annullato un match point… ed è stata la sensazione più bella del mondo!”.

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