Stefano Meloccaro: “Che strano un Master senza Federer e Nadal. Fognini? Fra qualche anno lo rimpiangeremo”


A fine anno è tempo di Finals e di bilanci. Con Stefano Meloccaro, giornalista di Sky, abbiamo tirato le somme senza però distogliere lo sguardo dal futuro. Queste le sue parole ai nostri microfoni.
Archiviato anche Parigi-Bercy, domani cominciano le ATP World Tour Finals. Cosa ti aspetti quest’anno?
“C’è una considerazione preliminare da fare, un po’ come il “Non avrai altro Dio all’infuori di Me” per i Dieci Comandamenti, ovvero la contemporanea assenza di Federer e Nadal, come noto dovuta a cause diverse. E’ una dato significativo sia per quel che riguarda l’incedere del tempo sia perché, vuoi o non vuoi, sono ancora loro che portano il pubblico negli stadi e che regalano spettacolo ed emozioni. Quest’anno, probabilmente, non avrebbe vinto nessuno dei due ma è chiaro che senza di loro è un’altra storia, un altro tennis e purtroppo ci si diverte un po’ di meno”.
Ancora una volta Murray contro Djokovic. E’ veramente tutto già scritto?
“Mi fa piacere, anzitutto, notare una cosa. Basta con gruppo blu e gruppo rosso. Finalmente si sono resi conto che con tanti nomi di tennisti importanti, che hanno fatto la storia di questo sport, si poteva fare meglio. Leggere “Gruppo John McEnroe” e “Gruppo Ivan Lendl” mi fa molto piacere. Su Murray e Djokovic c’è poco da dire, sappiamo già tutto. Lo scozzese è diventato numero uno del mondo sebbene dopo Il Roland Garros sembrava impossibile che Djokovic potesse perdere lo scettro. Troppi davano il serbo come certo vincitore di altri sei o sette tornei dello Slam consecutivi, però come vedi la palla è rotonda anche nel tennis. Erano, poi, tanti anni che non si arrivava al Master di fine anno a giocarsi il primo posto nel ranking. Questo fatto, senza dubbio, restituisce al torneo quella parte di appeal persa per l’assenza di Roger e Rafa”.
Fuoriserie a parte, da quale dei due gruppi ci si può attendere più pathos?
“Provando a sommare le qualità dei singoli, Wawrinka, Nishikori e Cilic, sono un altro passo rispetto a Raonic, che non sta benissimo fisicamente, Monfils, che tutti conosciamo (ride n.d.r.) e Thiem, che in questa stagione ha giocato tantissimo e sembra essere davvero molto stanco. Vedo una gran bagarre. Le riflessioni su Wawrinka sono sempre le stesse, si rischia di essere scontati. Prima del torneo non si può mai sapere se ha voglia di giocare seriamente o meno. Se ce l’ha, ha dimostrato di non essere secondo a nessuno. Cilic e Nishikori sembrano segnati da limiti precisi e accomunati dalla finale in America di due anni fa. Anche per quel che riguarda il gruppo di Djokovic, onestamente non mi aspetto molto da Raonic, Monfils e Thiem. In una partita secca può succedere tutto, però credo sarà una lotta a due”.
A fine anno è tempo anche di riflessioni “tricolore”. Il tennis maschile in Italia sta vivendo una sorta di fase di transizione. Paolo Lorenzi si sta togliendo grandi soddisfazioni da over 30, mentre per i giovanissimi gli ingranaggi sembrano girare molto lentamente. Cosa significa questo per te?
“Paolo Lorenzi lo conosco personalmente, gli voglio un gran bene. E’ il nostro David Ferrer. Lorenzi a tennis gioca meglio di quanto sembri, pur non avendo ricevuto dal Dio del tennis quel “braccio facile”, quel talento che invece, ad esempio, è stato donato a Fabio Fognini. Si è costruito, con il tempo, una testa da vincente. Quando ha capito di poter andare oltre i tornei Challenger, la classifica ha iniziato a parlare per lui. Questa è l’ennesima dimostrazione che nel tennis dritto, rovescio e servizio contano fino ad un certo punto. In molti sanno farlo, ma non tutti hanno la testa. La classifica ATP è la classifica dei cervelli. Dietro Fognini e Lorenzi, senza dimenticare un Andreas Seppi falcidiato dagli infortuni, la situazione è grigia. Viviamo di folate, di exploit, ma certezze poche. Noto spesso che c’è poca riconoscenza per chi ha fatto grande il tennis italiano negli ultimi anni. Si parla troppo del carattere di Fognini e poco dei suoi risultati. Ne riparleremo fra tre o quattro anni, quando saranno in molti a rimpiangerlo. So che in Federazione stanno lavorando molto per i giovani. I progetti non mancano di sicuro, ma il ranking continua comunque a parlare poco in italiano. Anche in campo femminile, dopo i risultati straordinari degli ultimi anni, le cose sembrano essersi un po’ arenate. Come puoi immaginare, sarei felice, felicissimo di sbagliarmi e potermi ricredere il prima possibile”.
Volendo restare in ambito “giovani”, il prossimo anno si disputerà a Milano il Master Under 21. Un’iniziativa vincente?
“Milano è una città che ha sete di tennis, con una grande tradizione. Se fosse fine a se stesso, Il Master, sarebbe del tutto inutile. Qualora, invece, fosse un modo per gettare le basi per il futuro con il supporto di sponsor e tante persone con voglia di fare, allora può diventare davvero una grande iniziativa. L’idea del Master mi piace molto, mi interessa vedere i ragazzi che saranno il futuro del tennis. Ci sono tutte le premesse per divertirsi. Avrei solamente cambiato la formula da Under 21 ad Under 23, perché a 22-23 anni si può ancora parlare di emergenti. La soglia dell’età media si è alzata, non c’è più il Nadal che vince il primo Slam della sua carriera a 19 anni”.
Fra i giovanissimi in rampa di lancio ce ne sono alcuni che ti convincono in modo particolare?
“Nel breve periodo no. Francamente sono tutti prospetti. Si, giocano bene, alcuni molto bene, ma non è possibile fare loro un elettroencefalogramma per capire cosa hanno nella testa. Non sarebbe male se esplodesse definitivamente Taylor Fritz. L’ho intervistato e posso dirti che oltre a giocare bene a tennis è un ragazzo con la testa sulle spalle. Lo sport ha bisogno di un americano forte. L’America ha bisogno di un americano forte. Il movimento tennistico americano traina tutto il mondo del tennis, ecco perché l’eventuale consacrazione di Taylor Fritz farebbe bene a tutti quanti. I mezzi li ha. Ora sta a lui”.
Grazie mille Stefano, a presto.
“Grazie a voi, buon tennis a tutti”.

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