Guido… con una marcia in più

di Luca Brancher

La prima volta che lo sentii nominare – anzi è più corretto dire che lessi il suo nome – automaticamente mi scappò un sorriso, perché sembrava fosse una storpiatura di quello di un personaggio certamente più celebre, qui in Italia. Un possibile risultato di quell’espediente che viene spesso utilizzato nelle satire, dove, per schernire qualcuno, si muta leggermente nome e cognome della persona che si vuole colpire, così da far intendere di chi si stia parlando, senza però chiamarlo in causa direttamente. Non penso tuttavia che sia una cosa che è capitata solo a me, giammai: infatti, se pronuncio il nome di Guido Andreozzi, è facile pensare a quale altro personaggio, non sportivo, abbia in un primo tempo pensato, ahimè.

L’esplosione, anche se è avventato chiamarla ad oggi così, di Andreozzi è indissolubilmente legata alla grande “fame” che, in questi mesi, sta contraddistinguendo i giovani tennisti argentini – intesi come i giocatori nati nel decennio ’90 già presenti sul circuito principale – emersa, tra le varie epifanie, durante una manifestazione che si è tenuta in Perù, a Lima, all’inizio dello scorso mese, il tutto favorito anche da un campo partecipanti non esaltante – si era nella seconda settimana di Wimbledon, un periodo molto prolifico in quanto a tornei minori, oltre al fatto che il continente sudamericano non è dei più battuti nei mesi invernali. Molti erano i presenti provenienti dall’America Latina, corposa era in tal senso la truppa dell’albiceleste, con ben 10 giocatori al via. Di questi, ben 7 raggiunsero i quarti di finale, tanto da monopolizzare i posti in semifinale, da cui uscì poi vincitore proprio il nostro Guido Andreozzi.

Linea verde, si è scritto, ed infatti dei 4 semifinalisti della competizione qui citata il più vecchio rispondeva al nome di Guido Pella, classe ’90, già vincitore dell’Avvenire nell’anno 2008 e più alta testa di serie ancora in gara a quel livello, ma incapace di centrare il turno successivo non tanto a causa di quella strana “maledizione d’Ecuador” che sta colpendo il 22enne di Bahia Blanca – che ha finora centrato tre finali nel circuito challenger tutte all’interno dei confini dello Stato che ha regalato al tennis la famiglia Lapentti – quanto proprio per merito del nostro Guido Andreozzi, poi bravo in finale a resistere al ritorno di Facundo Arguello, classe ’92, vincitore del derby col coetaneo Agustin Velotti. Concentriamoci quindi su di lui.

Guido è nato a Buenos Aires il 5 agosto del 1991, ad inizio mese ha quindi compiuto 21 anni, ed in patria è sempre stato tenuto in buona considerazione, tanto che nel 2007 ha portato l’Argentina alla finale della Youth World Cup, disputatasi in Italia, la prima vera emozione che il nostro protagonista ha vissuto e che lo ha spinto a credere sempre di più nel sogno di diventare un pro. Nessuno, eccetto lui, può dire quanto questo si sia evoluto nei 10 anni precedenti, ovvero da quel primo giorno in cui, accompagnando i genitori nella solita ora di pratica del fine settimana, aveva cominciato ad armeggiare la prima racchetta, in uno dei campi del Club Athletic Harrods, sempre nella capitale argentina. Quel che sicuramente è cambiata è stata la sua struttura fisica, dato che può sfruttare di alte leve che gli consentono un gioco, che, erroneamente, potremmo definire “poco argentino”, laddove per “argentino” andrebbe inteso un tennista più dedito alla corsa, al sacrificio, alla regolarità – poi pensi ai principali interpreti dell’Albiceleste dell’ultimo decennio, Nalbandian, Coria, Del Potro, e ti mozzeresti la lingua per aver pronunciato un giudizio del genere.

Ad Andreozzi piace cercare il punto e se lo può permettere, grazie ad un dritto d’altissima scuola, suo colpo naturale, ed ad un servizio ed ad un rovescio, che, essendo molto migliorati negli ultimi 12 mesi, gli permettono di tenere sempre in mano il pallino del gioco e di effettuare una pressione non appena la circostanza gli è favorevole. Senza paura di niente e nessuno, ben intesi, nonostante lo spauracchio vissuto circa due stagioni fa, quando un infortunio alla schiena lo tenne fuori 9 mesi e mise in serio pericolo il suo futuro, che fino a quel momento, vista la giovane età e la mancanza d’esperienza, non era ancora definibile completamente roseo, se si valuta che rare erano state le sue vittorie e l’unico acuto era giunto in un future venezuelano – non a caso sul cemento, sua superficie preferita – dove aveva comunque sfruttato un tabellone tutt’altro che irresistibile.

Eppure, nonostante la lungodegenza, al rientro Guido, migliorato sia sotto il piano fisico che sotto quello mentale, non sembrava risentire del problema, tanto che prima che la stagione 2010 volgesse al termine coglieva un inaspettato primo titolo, nel circuito ITF, curiosamente in Perù – come se tutti i tennisti argentini abbiano una sorta di affinità con un altro Paese del medesimo continente – a Chosica, nella provincia di Lima. Sconfitto in finale un altro connazionale, Juan Pablo Amado, una sorta di garanzia a livello ITF: Andreozzi aveva effettivamente cominciato ad intraprendere la strada corretta, e nel 2011 molti appassionati biancocelesti avrebbero puntato gli occhi su di lui.

Dopo aver iniziato la stagione nelle infruttuose qualificazioni del torneo ATP che si svolge nella sua città, Guido si è diretto negli Stati Uniti, per tenere fede a quella predisposizione alle superfici veloci, complici alcuni tornei in Florida, terra magica dei tennisti, dove lui e i suoi coach, Mariano Monachesi e Mariano Hood – per intenderci, gli stessi che seguono con successo Leo Mayer – avevano capito che le qualità di Andreozzi potevano emergere al meglio. Non era proprio così, perché la tournée di Guido si rivelava un mezzo fiasco, ma non era una bocciatura totale, soltanto un piccolo ritardo di condizione, dal momento che non appena il giovane argentino rimetteva piede in Argentina, i risultati non esitavano a vedersi: varie semifinali e vari quarti, fino al nuovo titolo, questa volta ottenuto in Ecuador, che avrebbe preceduto di due mesi quello colto in Brasile, la settimana precedente al compimento del suo ventesimo compleanno. Nel 2012 la marcia procedeva spedita, con varie prestazioni anche a livello challenger, ma soprattutto il quarto ed il quinto trofeo a livello ITF. Uno in Brasile, dove Guido faceva trasparire persino le sue doti di fighter, vincendo tutti i match dai quarti a fatica, uno in Argentina, finalmente a casa, in cui invece ridicolizzava l’intero lotto in gara, rifilando a ciascuno dei cinque avversari almeno un 6-0 e non perdendo più di 10 giochi nell’arco del torneo. La conclusione, in questi casi, è che il giocatore sia ormai un “fuori categoria”, e la dimostrazione avvenne esattamente 14 giorni dopo, quando si sarebbe aggiudicato la manifestazione challenger di Lima già citata.

Il nome di Guido Andreozzi, però, ha realmente infiammato la folla non tanto per questa vittoria, in un torneo, come già più volte ricordato, in cui il campo partecipanti era di medio livello, quanto la settimana successiva, quando, grazie proprio al titolo, si è meritato l’accesso nel ricco challenger di Bogotà, dove erano presenti vari giocatori compresi tra i top-100, tra cui Feliciano Lopez, che per il secondo anno consecutivo aveva deciso di cambiare i programmi estivi e di accettare l’invito degli organizzatori della capitale colombiana. Il sorteggio avrebbe opposto lo spagnolo proprio al protagonista di questo articolo, che, oltre alla caratura dell’avversario, avrebbe anche dovuto combattere con il cambio di altitudine, passando dai 30 metri sul livello del mare della capitale peruviana agli oltre 2.500 di quella colombiana: giocare a quelle altezze, come scrisse anche, proprio in occasione di questa manifestazione, lo stesso Fabbiano su questo sito, è molto diverso, diventa, abusando un espressione inflazionata, quasi un altro sport, perché cambia tutto. Per curiosità basterebbe andare a vedere il numero di doppi falli in media per match dei giocatori, che è qualcosa di davvero inusitato.

Condizioni differenti, difficili, chiaramente per entrambi. Se a queste aggiungiamo che Feliciano Lopez, dopo l’infortunio pre-Roland Garros, non si presentava al 100% c’erano spiragli affinché si potesse assistere ad una partita, e non ad una mera formalità: va infatti ricordato che Lopez era il primo top-100 che Guido Andreozzi affrontava in carriera. Ed invece, complice lo stato d’esaltazione dell’argentino, reduce da 10 vittorie senza alcun rovescio, il match scorreva lungo i binari favorevoli al sudamericano, che non solo, alla fine, la chiudeva in due set, ma addirittura si permetteva il lusso di…vincerla due volte! Infatti, sia nel primo che nel secondo parziale, Guido non sfruttava la chance di chiudere la frazione alla prima occasione con un proprio turno di servizio, ma nonostante questo, nel primo parziale al tie break, nel secondo con un immediato contro break, l’argentino, mantenendo i nervi saldi, respingeva l’attacco di Feliciano Lopez, cogliendo l’insperato scalpo

Alla fine dell’incontro, si verificava, per la verità, una piccola caduta di stile da parte dell’iberico che non riconosceva alcun merito nella prestazione dell’argentino, lamentandosi invece delle condizioni atmosferiche – peraltro note e valide anche per l’avversario – e dell’infortunio che lo aveva in parte limitato. Eppure, ammesso che la performance di Feliciano non era stata degna del numero 29 al mondo quale era all’epoca, Andreozzi aveva giocato al massimo andando a conquistarsi punto su punto la sua vittoria. Di certo non vincerà mai gli U.S. Open come fatto dai suoi predecessori Vilas e Del Potro, il suo torneo preferito, ma, se si è soliti dire che, nel tennis attuale, si possono fare buone cose con una buona combinazione servizio e dritto, e valutando che Guido è in continuo progresso anche col rovescio, perché non dargli una chance di essere il portabandiera della nuova generazione argentina?

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