Challenger, dal Master al 2013…


(Adrian Ungur e Guido Pella)

di Guido Pietrosanti

In chiusura della stagione challenger, anche quest’anno si è disputato in Brasile  il master tra i migliori 7 giocatori del circuito, con l’aggiunta di una WC, utile sicuramente a far aumentare l’interesse per questa manifestazione, almeno nel paese organizzatore. Infatti, per il secondo anno consecutivo, la WC è stata concessa al brasiliano Thomaz Bellucci, idolo di casa e numero 33 del ranking atp. Purtroppo Bellucci si è dovuto ritirare dopo aver disputato una sola partita, lasciando il pubblico di casa orfano dell’enfant du pays da tifare e togliendo buona parte dell’interesse dei media all’intera manifestazione.

In realtà il master ha comunque avuto una buonissima finale, vinta dall’argentino Guido Pella sul rumeno Adrian Ungur per 63 67 76. Grazie a questa vittoria, che vale a Pella ben 110 punti atp, l’argentino entra per la prima volta nei primi 100 giocatori del mondo, portando il suo best ranking al numero 97. Solo due posizioni dietro Pella, al numero 99, finisce il rumeno Ungur, che con la finale in Brasile porta a casa 60 punti atp e si riporta nei top 100.

A San Paolo era presente anche il nostro Paolo Lorenzi, arrivato in Brasile al termine della sua migliore  stagione di sempre, non solo per i risultati ottenuti nel circuito challenger, ma anche per le vittorie ottenute nel circuito maggiore su tutte le superfici. Purtroppo Paolino è riuscito a vincere solo la prima partita del suo girone contro il portoghese Elias, perdendo poi contro Hanescu e Bedene. Probabilmente Lorenzi è arrivato un po’ scarico a questo master al quale non era nemmeno sicuro di voler partecipare, proprio per la data, troppo lontana dall’ultimo torneo disputato dal senese.

Proprio la data di svolgimento di questo master dovrebbe probabilmente essere rivista, per valorizzarne le potenzialità. Farlo disputare così tardi, quando la classifica year-end è già stata stabilita e quando quasi tutti i migliori 100 giocatori del mondo sono già in vacanza ne limita l’interesse a partecipare, nonostante l’ottimo montepremi e i tanti punti assegnati. Inoltre, se per il master “vero” può avere senso dividere i giocatori in due gironi, per far disputare ai migliori 8 giocatori del mondo almeno 3 partite, nelle challenger finals, sarebbe forse più opportuno il classico tabellone ad eliminazione diretta, per non stancare i migliori giocatori con partite inutili e garantire giocatori freschi per le semifinali e la finale. Infine, anche la superficie sulla quale disputare il masterino, andrebbe forse rivista. In Sud America,  gli ultimi challenger che si giocano poco prima delle finals, si giocano sulla terra battuta e forse avrebbe senso continuare sulla stessa superficie. Inoltre, lasciare due settimane tra l’ultimo torneo in Sud America e le challenger finals, non invoglia i giocatori europei a partecipare. Insomma la formula va sicuramente rivista, ma l’idea non è da buttare e può favorire il successo e il riconoscimento (anche economico) di giocatori che per gran parte dell’anno giocano lontani dai grandi palcoscenici, senza destare particolari attenzioni dagli sponsor e dal grande pubblico, ma che sostengono sforzi e sopportano sacrifici, molto simili (se non maggiori) a quelli dei top player.

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