Dimitrov-Rasheed, finita la coach-story più criticata degli ultimi anni

Grigor Dimitrov e Roger Rasheed
di Fabio Ferro

Quando un tennista si separa da un coach, prima che nel gioco, la crisi è nell’identità. È esattamente il caso di Grigor Dimitrov, talento bulgaro che troppo sta facendo attendere la sua vera esplosione nel circuito ATP. Grigor è professionista dal 2008, anno in cui portò a casa i trofei Slam di Wimbledon e U.S. Open juniores, insieme alla prima piazza mondiale. Era chiaro come il sole che quel ragazzino di un metro e novanta fosse un ottimo futuro campione, ma ciò che non era chiaro era il livello che avrebbe potuto esprimere realmente.

La separazione da Roger Rasheed riaccende la speranza di tanti appassionati e addetti ai lavori, che si esaltano nel vedere il bulgaro in campo, tra acrobazie e stile classico. Il talento, infatti, non è mai stato messo in discussione, ma, probabilmente, troppe scelte affrettate e avventate hanno segnato parte della carriera di un campione che il tennis deve rivendicare.

Sarebbe da ipocriti attribuire solo colpe al coach appena scaricato, perché Rasheed ha dato veramente tanto al bulgaro, soprattutto un metodo di lavoro che funzionasse bene con il suo fisico. Infatti, la collaborazione, per quanto criticata fin da subito, ha dato frutti piuttosto importanti, come i 4 titoli ATP, gli unici, vinti tra l’ottobre 2013 e luglio 2014, anno in cui Dimitrov ha anche raggiunto i quarti agli Australian Open e la semifinale ai Championships, suo miglior risultato in carriera. Il vero problema della gestione Rasheed con Grigor, però, risiede nell’incapacità di lavorare sulla qualità reale del tennis del bulgaro che, infatti, è notevolmente involuto nell’ultimo anno dimostrando sempre meno verve tennistica e un atteggiamento estremamente attendista anche sulle superfici più tecniche, senza contare che anche sulle superfici lente non riesce più ad esprimere il livello di gioco che gli competerebbe. La strategia di Rasheed, in effetti, è elementare ed è quella di far scambiare di più e limitare gli errori, ma è evidente che un approccio del genere limita la tattica, nonché la tecnica, di un giocatore a trazione anteriore. L’approccio che ha sempre avuto Rasheed, infatti, era soprattutto di lavoro fisico, ne sanno qualcosa Monfils e Tsonga, suoi ex assistiti, che hanno preferito, però, una gestione più tecnica rispetto a quella del coach australiano, noto per essere anche piuttosto rigido e intransigente nella sua visione del sistema di allenamento.

Oggi, quindi, attendiamo con ansia che Dimitrov annunci il suo nuovo coach e non si hanno nemmeno molti elementi utili per capire quale sarà la sua scelta, considerando anche che il bulgaro non ha mai avuto grande continuità di collaborazione. Andando indietro nel tempo ed escludendo il padre Dimitar, con il quale cominciò a giocare a tennis, Grigor dai suoi 17 anni ha cambiato ben 6 allenatori ed è in procinto di nominare il settimo. Nelle passate gestioni ci sono stati anche nomi piuttosto importanti, come Peter Lundgren, coach di Safin e Federer, che dichiarava la superiorità tennistica di Dimitrov nei confronti di Federer, se considerati nelle stesse età. Ma, probabilmente, la collaborazione che più sarà rimpianta dal bulgaro è quella con la Good to Great Tennis Academy di Magnus Norman, visto che l’ex n.2 ATP ha portato Wawrinka a vincere ben 2 Slam e un Masters 1000, dimostrando una capacità di gestione anche del cavallo più imbizzarrito. Ancora oggi non è chiarissimo il motivo della separazione da Norman, ma parrebbe che allenarsi in Svezia non piacesse per nulla al bulgaro, non per il modo, ma piuttosto per l’ambiente esterno. Anche Patrick Mouratoglu, coach ed ex compagno di Serena Williams, ha curato il tennis di Dimitrov, ma per troppo poco tempo per dare una reale contribuzione. Non è escluso, però, un ritorno all’accademia del francese, visti i recenti sviluppi personali con la Williams e il maggiore tempo libero a disposizione.

Volendo, invece, fare delle ipotesi più concrete, basate sulle necessità di Dimitrov, la scelta ricadrà, molto probabilmente, su un ex campione o su un coach di grande caratura, per alcune ragioni soprattutto tattiche e psicologiche. Innanzitutto perché potrebbe essere l’ultimo treno da prendere, per diventare davvero qualcuno nel tennis. La scelta è talmente importante che non ci sono indiscrezioni di nessuna natura. Di sicuro il bulgaro ha bisogno di una “guida spirituale”, qualcuno nel suo angolo che gli testimoni che si può vincere e che si può lottare fino alla fine. Probabilmente sarà anche una figura più sanguigna rispetto al tiepido Rasheed. Inoltre, la necessità tattica impone che la scelta sia orientata verso un coach completo di tecnica e di tattica, qualcuno che possa davvero capire le dinamiche del suo gioco e immedesimarsi nel suo tennis, capendone l’evoluzione e che sia realmente capace di apportare nuovi schemi utili per rimpiazzare il gioco bidimensionale impostato dall’australiano e riattivare una visione tridimensionale del campo da tennis.

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