L’Inevitabile

di Giacomo Bertolini

Quando da bambino mi piazzavo davanti alla televisione e mi sorbivo interi match a senso unico di Federer, l’interrogativo più ricorrente era sempre quello legato all’allenatore: “Cosa si potrà mai insegnare a uno come Federer, e nel caso, come spieghi a uno che non sbaglia mai e mette tutti alle corde con una naturalezza disarmante che potrebbe esserci variazioni da cambiare o schemi da interpretare meglio?”. “No, mi convincevo con impagabile risolutezza, Roger ha solo voglia di buttare via dei soldi ed avendone tanti può anche permetterselo!”. Non nego dunque la mia difficoltà nel trovarmi, qualche anno dopo, a scrivere di un Federer “minore” alle prese con un “problema-coach”, specie dopo il recente comunicato circa il licenziamento del 50enne Paul Annacone, guida dello svizzero negli ultimi tre anni. Anni complessi, fatti di concorrenze spietate e fisiologici cali, ma anche di riscosse improvvise e soddisfazioni insperate, come il ritorno in vetta al ranking in un 2012 da incorniciare. Ancora più intricato, con un 2012 così sorprendentemente brillante, trovarsi adesso a fare i conti con la fine del sodalizio con Annacone, in buona sostanza il primo della lista a pagare per un’annata opaca e con una piega ancora tutta da definire. E se si guardano solo i freddi risultati, fuori da ogni legittimo legame affettivo con Re Roger e dalla stima per il tecnico americano, la situazione sembra effettivamente chiara. Lo svizzero infatti, dolorosamente scivolato al numero 7 Atp, vanta un bottino dir poco magro per il suo lusinghiero curriculum: vince sull’erba di Halle, ma il Gerry Weber Open rimane, ad oggi, il suo unico acuto, viste le sue prestazioni traballanti negli Slam, nei Master 1000 e la finale persa nettamente a Roma. Il tennista di Basilea inoltre, perde, e parecchio, contro pronostico con la prevedibile conseguenza che molti si siano già messi l’anima in pace considerandolo finito. Ma cocenti delusioni e funerali sportivi a parte, quello che ancora va considerato con la massima attenzione è il delicato fattore Londra, con ogni probabilità ago della bilancia nella decisione dello svizzero di separarsi da Annacone: Roger infatti, nonostante il forfait di Murray, rischia clamorosamente di non qualificarsi per il Master di fine anno, in quella cornice prestigiosa e affascinante che 12 mesi fa lo ammirò issarsi sino in finale con Djokovic e che da sempre lo vede, nel torneo che saluta la stagione, protagonista assoluto.

Ora, stabilire la bontà della scelta dell’ex numero 1 del mondo e cercare di entrare nelle logiche che lo hanno spinto a questa rottura, è quanto mai complesso, anche se, da esterni, possiamo provarne a giudicare l’operato e i possibili effetti. Personalmente valuto la scelta di Roger incredibilmente coraggiosa, non tanto per il cambio di allenatore diventato un cult anche tra i Big (si veda ad esempio il recente caso della Sharapova che ha silurato in un Amen Connors), quanto per il preciso momento in cui esso avviene: a pochissime settimane dalle Finals lo svizzero manda un messaggio chiaro e deciso, un’azione di forza volta a scrollarsi di dosso insicurezze e frustrazioni, un tentativo estremo per risollevarsi e allontanare critiche e soluzioni sbrigative e avventate. Il grido di Roger non ammette repliche, nonostante la stagione agli sgoccioli non si aspetta il 2014 per cambiare, bensì si riparte con convinzione nell’immediato, per cercare quanto meno di cogliere quella sofferta qualificazione al Master che, se fallita (e lo diciamo sottovoce), sarebbe uno smacco troppo duro da sopportare anche considerando la pesante cambiale di punti che deve difendere. La scelta di Federer, inoltre, avviene nel periodo peggiore della sua carriera e questo, considerando che in bacheca quest’anno ha messo un solo trofeo, può solo farci sperare in una nuova, ennesima ascesa. I molti, tra cui il sottoscritto, che avevano chiesto a Roger l’ ultimo grande sussulto della sua carriera ma che si erano abbattuti oltremodo nel vederlo arrancare anche negli Atp 500, adesso possono se non altro tornare a credere in un happy ending, quella conclusione di carriera decorosa che, miracoli a parte, da uno come Federer che ha riscritto a suon di record la storia del tennis, è lecito attendersi. Nessuno, men che meno io, può chiedergli una resurrezione; 32 primavere, una valanga di tornei alle spalle, e una quantità di energie sempre più limitata da dover gestire, come nel caso dei match Slam al meglio dei cinque set, non sono cosa da poco. Quello che però potrebbe cambiare nel nuovo capitolo con il successore di Annacone è indubbiamente l’aspetto emotivo-psicologico, che, con l’allontanamento di spettri e di un atteggiamento ormai troppo passivo e rinunciatario, potrebbe caricare Roger di nuova fiducia. Scomodo ammetterlo, ma il Federer visto nell’ultima fase del suo legame con Annacone, era solo un lontano parente non tanto del dominatore di qualche anno fa, quanto del giocatore apprezzato in campo nei primi mesi di 2013. Ecco perché, a mio parere, la scelta di chiudere la collaborazione era semplicemente inevitabile, senza che questo termine debba obbligatoriamente portarsi dietro rancori o scie negative in questo particolare contesto. Ritengo, in conclusione, che l’errore più grande che un Campione possa fare sia quello di non mettersi più in discussione con umiltà e capacità di adattamento una volta raggiunti determinati livelli e trionfi. Ho sempre pensato che un Campione si vede soprattutto quando il suo status di vincente comincia inevitabilmente a offuscarsi con il passare delle stagioni… e con questa nuova partenza, frutto di una scelta sicuramente discutibile ma si spera rivoluzionaria, Federer non ha tardato, anche in questa circostanza, a dimostrarsi tale.

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