Michael Lammer, il campione dei sottoclou

Michael Lammer
di Sergio Pastena

La sua storia è iniziata nel lontano 1999, al Challenger di Ginevra: dall’altra parte della rete Markus Hantschk, l’uomo dal record positivo contro Nadal e Federer. Per Michael Lammer da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti, sedici anni a lottare e sbuffare a cavallo tra Challenger e Futures con pochi ed effimeri momenti di gloria.

Eppure pochi l’avrebbero detto, nel 2000, quando Lammer raggiunse la settima posizione della classifica mondiale juniores e a Santa Croce fece secchi in sequenza Tipsarevic e Soderling per arrendersi in finale in tre set soltanto al connazionale Roman Valent, che aveva battuto il mese prima a Prato. Tempi di vacche grasse per gli svizzeri: con Federer che aveva già due Slam giovanili in bacheca (uno in doppio), Lammer nella Top Ten juniores e Valent che l’anno dopo andrà a vincere Wimbledon. Michael era quello di mezzo.

Schermata 2015-03-18 alle 10.57.06Non tocca certo a me stare a raccontarvi cosa ha fatto Federer, triste sarebbe raccontare cosa ha fatto Valent, un solo match Atp, best ranking al 300 e un paio di Futures in bacheca. Per Lammer, invece, vale la pena spendere qualche parola visto che ha annunciato il ritiro tramite Twitter dopo aver giocato il doppio di Indian Wells con Federer.

Una storia che, come detto, all’apparenza non ha molti acuti: come il suo collega Valent, Lammer ha avuto una partenza lanciata nel mondo dei Futures e poi è andato in stallo intorno alla trecentesima posizione. A differenza del suo collega, la delusione non l’ha fatto crollare e l’ha portato a togliersi qualche soddisfazione. Non nei primi anni, però. Nei primi anni Lammer se la sfangava nei tornei minori, faceva qualche toccata e fuga nei Challenger e, soprattutto, era l’incubo dei tedeschi. Analizzando i suoi tornei, si nota che quasi tutti i nomi dei giocatori passati per i Top 100 che ha battuto sono teutonici: nonno Goellner, Kohlschreiber, Waske, Andreas Beck, Petzschner.

Gente, peraltro, all’epoca sulla ventina come lui o oltre, non poppanti come i due “grandi nomi” che la premiata ditta Lammer vanta in bacheca. Vale la stessa regola di Hantschk: gran parte dei “giocatori esperti da Challenger” prima o poi incontrano il futuro campione, lo battono di tigna ed esperienza e a fine partita dichiarano “Ha bisogno di esperienza, ma quel ragazzo si farà”. Perché i Lammer e gli Hantschk, diciamocelo, tutto sono tranne che inutili: sono i pugili da sottoclou, quelli fondamentali per la formazione del grande talento, con la differenza che hanno il permesso di mettere al tappeto il futuro campione. Sono quelli che permettono ai divi da palcoscenico in terra o cemento di diventare adulti, attraverso le sconfitte. E se il ko con Lammer non sarà servito a Gulbis a diventare adulto, sicuramente quel tipo di sconfitte ha aiutato a formare Andy Murray, battuto dallo svizzero quando era poco più che un ragazzino.

Poi poco altro: come i pugili da sottoclou si torna nell’anonimato, a combattere in oscure riunioni per tenersi in forma e fare da test a qualche campione soltanto di passaggio. Eppure Lammer il suo sprazzo di luce l’ha avuto, probabilmente quando nessuno più se l’aspettava. Il suo momento d’oro, infatti, era arrivato tra il 2009 e il 2010: prima best ranking al 150 e poi quarto di finale ad Auckland, a dire il vero un po’ casuale, con il primo turno contro “mozzarella” Evans e il secondo contro Ferrero che si infortunò.

Nel 2011 l’Atp di Basilea gli riserva una wild card per le qualificazioni: piccolo premio alla carriera, riservato quell’anno anche a Bohli, per un tennista che tutto sommato la patria l’aveva servita (vedremo come) e che non aveva grosse pretese. Primo turno contro Tomic, numero 42 al mondo e primo escluso dal main draw: il cangurotto parte in sordina, vince il primo al tie-break, si illude pensando a una partita in discesa e poi scopre cos’è l’esperienza. Lammer non molla, suda, sbuffa, i due si tirano addosso break come se piovesse (12 totali alla fine) ma lo svizzero ne ottiene due in più, uno nel secondo e uno nel terzo, portando a casa un sudatissimo 6-7 6-4 7-5. Stesso copione con Chiudinelli, in momento no ma sicuramente più quotato (era stato numero 52 al mondo l’anno prima): primo set perso, secondo vinto in rimonta. Al terzo il connazionale scioglie e Lammer si guadagna il main draw. Ad attenderlo Youzhny, ex Top Ten e tennista sublime. Gli svizzeri si augurano una resa dignitosa, tipo un 6-4 6-3.

E 6-4 6-3 fu. Di Lammer.

A furia di giocare sulle nuvole, il caro Michael quasi non sorprende un Baghdatis in grande spolvero, capace di strappare un set a Djokovic nei quarti di finale: è sconfitta al terzo dopo due tie-break, ma applausi che scrosciano.

Da allora per Lammer pochi segni di vita, salvo l’inattesa semifinale a Praga dell’anno scorso. E allora finiamo il ritratto raccontando di come Michelino ha servito la patria in Davis. Il bilancio, diciamolo subito, è da Caporetto: in doppio quattro comparsate con quattro partner diversi (Allegro, Wawrinka, Chiudinelli e Bossel), con tre vittorie ma una sola decisiva (Serbia 2014). In singolare una vittoria in nove match, contro il misconosciuto ecuadoregno Quiroz. Va spiegato, però, che sette di quei nove match erano “quinti singolari a vittoria acquisita”, totalmente inutili. Due quelli seri. Il primo nel 2006, perso contro Luczak in casa con l’Australia.

Il secondo di recente, e apro una parentesi finale.

La scelta di Severin Luthi di mettere in campo Lammer in singolare contro Darcis in Belgio difficilmente trova appigli razionali, salvo l’idea di “risparmiare” Marti nel primo singolare, il tutto nell’ipotetica speranza che, in caso di singolare decisivo (come poi è stato), Van Herck preso da rincoglionimento precoce non si giocasse la carta Goffin. Più probabile pare che Severin Luthi sapesse dell’imminente ritiro di Lammer e gli abbia voluto in quel modo regalare il palcoscenico. Gli svizzeri, magari, avrebbero perso lo stesso nonostante l’eroico Laaksonen, ma così facendo Marti ha lasciato il ritiro e Lammer tutto ha avuto tranne che il meritato palcoscenico finale.

Ricordate quando nel 2011 Schaller, durante Austria-Francia, mise in campo la salma di Koubek contro Simon? Ecco, siamo lì, salvo due games in più fatti dal generosissimo Lammer. Un’asfaltata in piena regola e pienamente prevedibile, visto che Lammer da giugno dell’anno scorso non aveva vinto un match di main draw di un Challenger e non poteva certo battere Darcis tre set su cinque. I dietrologi han fatto notare che Lammer è amico di Federer: sarà, ma spetta al tecnico Roger Federer e Michael Lammerfare le scelte e, per quanto potessero essere buone le intenzioni, tutto è stato tranne che un regalo. Il vero palcoscenico finale l’aveva avuto l’anno scorso, alzando la Coppa coi suoi compagni di squadra dopo tanti anni passati al servizio della squadra.

L’ultimo regalo, tuttavia, a Lammer l’ha fatto proprio il buon Roger. Come detto, Lammer aveva giocato il doppio con ogni svizzero possibile e immaginabile: Allegro, Wawrinka, Chiudinelli e Bossel in Davis, ma anche Bohli, Ehrat, Sadecky, Laaksonen, Roshardt, Kratochvil, Heuberger, Valent e il temibilissimo Dillschneider. Fateci caso, mancava un solo svizzero: il più importante. A Dubai e a Indian Wells Lammer era dalla stessa parte della barricata di King Roger, e in America si è passato lo sfizio di far sudare fino all’11-9 del terzo due specialisti come Zimonjic e Matkowski.

Tutto un momento prima di abbassare il sipario e abbandonare il mondo dei sottoclou, pugile-tennista ricco di cicatrici ma ancora più di esperienze.

Buon proseguimento, Michael.

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