Speciale 2011 – Die Hard

di Sergio Pastena

“Ma chi glielo fa fare?”. E’ una domanda che in tanti si saranno fatti per Thomas Muster, ma in quel caso la risposta era semplice: l’austriaco voleva solo vedere cosa riusciva a combinare confrontandosi coi giovanotti d’oggi (pochino, in verità). Per altri tennisti, invece, il dubbio pare più appropriato.

Prendiamo Juan Carlos Ferrero, uno che ha vinto il Roland Garros ed è stato numero uno al mondo nel famoso periodo di interregno Sampras-Federer. Ora… il tennista di Onteniente è professionista dallo scorso millennio, va per i 32 anni e, dopo la fenomenale annata del 2003, per tornare a vincere un torneo ha dovuto attendere il 2009. A suo modo è un esempio di costanza, visto che dal 2000 fa almeno una finale ogni anno, però non vede la Top Ten dagli Us Open del 2004 e rassegnarsi a una carriera da outsider è dura se sei stato in cima al mondo. A tutto questo aggiungiamo tre crisi: nel 2005 (scivolato al numero 98), nel 2009 (numero 115) e, infine, nel 2001 (ad agosto era numero 106). Spesso infortuni, sempre più pesanti andando avanti con gli anni… ma ancora una volta lo spagnolo si è ripreso, vincendo a Stoccarda e chiudendo la stagione in crescendo fino ad arrivare al numero 50 con ottime prospettive per il 2012 (nella prima metà dell’anno difende 90 punti su 910). Tutto dopo quasi un anno di assenza: più “duro a morire” di così… non si può che confermare quanto diceva l’anno scorso di lui Cesare Veneziani.

Radek Stepanek è ancora più anziano: ha appena fatto 33 anni e ha cominciato a muovere i primi passi nel circuito nel 1996. E’ stato Top Ten, ha due finali nei Masters Series ma l’occasione più grande l’ha persa forse a Roma, nel 2008, quando aveva in semifinale Djokovic, che non era ancora quello di oggi, e in finale avrebbe affrontato Wawrinka, tutto dopo aver eliminato Federer. Colpa degli straccetti coi piselli che gli rimasero sullo stomaco costringendolo al ritiro. Fino a quest’anno, il suo titolo più prestigioso era stato l’Atp 500 di Rotterdam nel 2006, peraltro vinto in finale contro un Christophe Rochus che incocciò in un tabellone fortunatissimo. Il ceco ha cominciato l’anno fuori dai 50 e lo chiude al numero 28 grazie alla vittoria di Washington, ottenuta facendo fuori per strada Verdasco e battendo in finale Monfils.

Un altro che è stato dato per morto più volte è James Blake: nel 2004, quando a Roma si ruppe due vertebre e c’era timore per la sua salute più che per la sua carriera, ma anche quest’anno, visto che nel 2010 aveva saltato mezza stagione per un infortunio alla spalla ed al rientro era intorno alla centosettantesima posizione. Roba mica da ridere a 31 anni, che tra un mese diventeranno 32. E il buon James cosa ha fatto? Si è rimesso a giocare i Challenger, vincendone due, ed è risalito lentamente fino alla semifinale di Stoccolma.Ora è il numero 59 al mondo e per due mesi avrà pochi punti da difendere.

Ancora oltre… Javier Malisse, uno con il talento di un Top Ten fisso che, invece, a stento è entrato nei primi venti e lo ha fatto quasi dieci anni fa. Ha cominciato il 2010 fuori dai 100 e il 2011 come numero 60, ma ha fatto subito finale a Chennai, è arrivato agli ottavi a Wimbledon e, di recente, è andato vicinissimo ad ottenere l’ambito scalpo di Djokovic a Basilea. Undici posizioni guadagnate per il numero 49 attuale: all’apparenza niente di eccezionale se non fosse per il fatto che il belga giocava (e gioca) praticamente sub judice. Colpa di una storia vecchia ormai di due anni che coinvolge anche la collega e connazionale Wickmayer: irreperibilità ai controlli antidoping. Prima un pronunciamento del TAS, poi il contrordine di un tribunale belga, per ottobre di quest’anno si attendeva la soluzione, con una possibile squalifica di due anni che nel suo caso sarebbe stata fatale, ma l’udienza è stata rinviata in attesa che si risolvesse il palleggio di competenze tra Losanna e Bruxelles. E lo sciupone di Kortrijk ha fatto quarti a Vienna.

Il giraffone Ivo Karlovic, quando a marzo si è presentato ai nastri di partenza ad Indian Wells, aveva 32 primavere sulle spalle, una posizione ferma al numero 239 e serie difficoltà a tornare dopo aver saltato quasi tutto il 2010. Infortunio al tendine d’Achille, non proprio una roba leggera, specie quando il suddetto tendine deve sopportare lo slancio al servizio di un ometto di oltre due metri. In California il buon Ivo ha fatto fuori Ferrer e ci è andato vicino con Nadal, poi la semifinale di Houston e un paio di Challenger giocati e vinti per mettere fieno in cascina han fatto il resto. Ha chiuso al numero 56.

Per finire, come al solito in questi speciali, un italiano. Ad inizio stagione avremmo detto Di Mauro, ancora competitivo nei Challenger a 33 anni. Scegliamo, però, Stefano Galvani per due motivi: innanzi tutto per anzianità (ha due mesi in più del siracusano) e poi perché ad inizio anno era il numero 274 e pareva ormai “cotto”. Invece ha vinto due Futures e, a San Benedetto, ha fatto finale contro Ungur. Ora è il numero 176 e, alla sua età, un salto di cento posizioni a certi livelli vale molto.

Leggi anche:

    None Found