Diario di bordo: Genova, i campioni alla “Grande Sfida”

centrale genova grande sfida

di Marco Mazzoni

Prato, primissimo pomeriggio. Il cielo è plumbeo quando varco il casello autostradale imboccando la A11 in direzione Genova. Mi aspetta “La Grande Sfida”, alla terza edizione in Italia. Quest’anno il programma è diverso, più ricco. Non una semplice giornata di esibizione a Milano ma una due giorni: è la tappa italiana del Senior Tour, che prevede un quartetto deluxe di “vecchietti” che hanno segnato come pochi la storia del tennis recente: Chang, Ivanisevic, McEnroe e Lendl, in campo venerdì 17 per le semifinali. Poi al sabato le finali a Milano.

Il viaggio inizia sotto qualche scroscio d’acqua, e la mente corre spontanea ai disastri del maltempo degli ultimi giorni. Mi aspetta la città della Lanterna (antico e suggestivo faro, che mi sono trovato letteralmente di fronte alla camera dell’hotel!), segnata dall’ennesima tragedia provocata dalle bizze di un Giove pluvio sempre più violento, quanto dalla stupidità umana per lavori necessari e mai eseguiti. “Burocrazia….” mi diranno sconsolati alcuni genovesi… “Terrorismo e ingordigia”, rispondo ad una collega, simpatica ma poco avvezza al nostro sport viste le domande che mi rivolge su cose troppo banali per esser sconosciute a chi di tennis qualcosa mastica, anche solo come appassionato. Temevo di trovare ferite ovunque della marea di acqua, fango e detriti che ha messo in ginocchio il centro città. Nell’area del nuovissimo 105 Stadium è tutto in ordine, oltre al solito via vai chiassoso e disordinato del traffico genovese tra tangenziali a più piani e svincoli complicati. Forse vedrò detriti e fango al sabato, quando mi addentrerò nel centro storico per la mostra d’arte a Palazzo Ducale sulla coppia di pittori messicani Frida Kahlo e Diego Rivera (consigliatissima). Dopo un veloce check in all’hotel, è ancora presto per andare all’arena. Scelgo di addentrarmi nella “pancia di Genova”, il porto, dirigendomi a piedi fino alla Lanterna. Scopro che c’è un percorso “panoramico”. Incuriosito seguo le frecce, che per colpa di un cantiere aperto mi fanno passare dal dopolavoro dei portuali, un po’ malmesso ma col suo fascino. Ascolto divertito qualche chiacchiera con il simpatico slang genovese, e mi sorprende una terrazza sul porto dalle cui finestre attigue sventolano le bandiere del Genoa e della Samp, una di fianco all’altra. Due club diversi, uno accanto all’altro! Per una volta, una bella foto di sport dalla città che vive ogni anno il derby più bello e viscerale.

La veduta sul porto dal percorso verso la Lanterna è estrema e affascinante. Milioni di containers, disposti con un ordine rigoroso, geometrico, pronti a partire per chissà dove, carichi di tutto un po’. Penso alla fatica di tutti coloro che qua sono arrivati a cercar fortuna, e di quando secoli fa è partita la scoperta del mondo. All’improvviso appare anche la mole dell’enorme “ecomostro” della centrale elettrica a carbone, con una piramide inquietante di blocchi neri pronti ad esser bruciati. Il tutto a 200 metri in linea d’area da palazzine abitate. Un contrasto stridente che fa “tanto Genova”, una città che non riesco a definire bella, abituato forse troppo bene dalla mia Firenze e dintorni; ma è una città che ha un carattere unico, come la sua storia e l’umanità dei suoi abitanti. La Lanterna è un punto di osservazione privilegiato del mare, oggi calmo, del porto, delle merci, delle navi, del piccolo universo che si muove lentamente. Scorgo all’orizzonte in direzione Francia anche il 105 Stadium, che ormai mi aspetta. Giusto il tempo di un panino nell’adiacente centro commerciale e via a ritirare l’accredito.

IMG_0890Entro e trovo subito Vincenzo Martucci della Gazzetta, che si aggira sotto le tribune controllando l’andamento dei preparativi. Strana questa arena, nuova (5 anni di vita, mi hanno riferito, e poco usata…), con le tribune più grandi ai lati stretti e pochissime file nei lati lunghi. Non male per il tennis, tutto sommato. Cerco i posti della stampa, pensando che siano come al solito in alto, in un angolo. Invece i tavoli press sono proprio a bordo campo, nell’angolo sud-est del palazzetto. Fantastico, sono letteralmente in seconda fila, già pronto a difendermi con lo schermo del pc dalla traiettoria mancina delle bordate al servizio di Ivanisevic, che effettivamente un paio di volte sono venute a farmi visita! Nel cercare la postazione ho fatto su e giù più volte le scale laterali, incrociando anche uno dei campioni, Goran Ivanisevic. Sorridente, in ottima forma e con un capello più lungo del solito, lo saluto e risponde con cenno, scappando via con il solito accento ruvido e quello sguardo che ti fulmina, come ai bei tempi. Saluto alcuni amici colleghi, come Ricky Bisti, Lorenzo Cazzaniga, Matteo Veneri, il lendeliano “doc” Luca Marianantoni (ma senza la mitica maglia a scacchi di Lendl ’87, come aveva promesso!) ed il genovese doc Pierre Consigliere con il quale è sempre un piacere parlare dell’oggi e del domani del nostro amatissimo sport in città e non solo.

Il palazzetto inizia a riempirsi. Molti bambini tra gli spalti, è una gradita sorpresa perché mi sarei aspettato soprattutto ondate di spettatori vintage. Si trovano caramelle Ricola ovunque, regalate a piene mani da ragazze ammiccanti, ma son troppo dolci per il mio palato un po’ rustico. Il momento dolcissimo arriva poco prima delle 21, quando fanno il loro ingresso in campo, in rigoroso ordine di applausometro, Chang, Ivanisevic, Lendl e McEnroe, con il mancino americano che ha letteralmente infiammato gli spalti. Brevissima presentazione e restano in campo Mac e Goran, per il primo match.

Già dal palleggio resto estasiato nel vedere quei gesti sempre così puliti, educati. La bellissima Dunlop di Mac fende l’aria sicura, lenta rispetto ai bei tempi, ma con quegli swing così unici da essere totalmente riconoscibili. Le aperture inesistenti, quel tempo sulla palla che, accarezzata e non violentata, scivola via leggera a pizzicare gli angoli del campo. Una sua demi volée giocata al centro del mio campo visivo, così perfetta da superare appena la rete e morire al di là di tre dita, è stata vissuta dagli spalti quasi in silenzio, c’è voluto più di un attimo per capire la grandezza e bellezza di quel gesto, quasi accompagnato da religioso silenzio. L’applauso è scoccato quindi convinto, ma composto, segno di un pubblico presente e compiaciuto. Goran ha risposto con qualche frustata delle sue insieme a tocchi di classe. Chi, quando era al top della carriera, lo liquidava come una macchina di puro servizio è stato ingiusto e lacunoso rispetto al suo talento, a quel modo così personale di aggredire la palla e imprimergli angoli e velocità uniche.

Non ha molto senso seguire punto dopo punto l’andamento del match, lo spettatore cerca la giocata, la magia del gesto, l’attimo. La partita poi non conta granché (anche se è evidente che nessuno dei due ci tenga a perdere…), e scivola via leggera, tra qualche errore e tanti scambi raffinati, per intenditori e nostalgici del tennis di qualche lustro fa, quando la palla usciva dalle corde meno veloce ma più retta, più offensiva. Gli anni in più di Johnny si fanno sentire, qualche errore di troppo, soprattutto di misura; al contrario Goran pare assai centrato, e rilassato. Il servizio del croato non è più lo spauracchio di una volta ma resta veloce, ancora pronto a flirtare con gli angoli; come certi suoi rovesci a castigare le discese a rete troppo avventurose del newyorkese. Vedendoli insieme in campo, tornano alla mente tanti ricordi, soprattutto la loro incredibile finale a Basilea 1990, uno dei match di tennis più belli che io abbia mai visto… Oggi è tutto al rallentatore rispetto a 24 anni fa, ma c’è divertimento in campo. Arriva qualche siparietto (più di Ivanisevic che di uno stranamente calmo Mac) condito da alcune giocate di classe. Come tennis puro a questi due non puoi insegnare proprio niente. Goran rompe pure le corde a due racchette in pochi minuti e serve una sosta tecnica per incordarne una, aveva solo un paio di fide Prestige nella sacca! Cronaca del match? Primo set piuttosto dominato dal croato; Mac avanti nel secondo, ma quando va a servire sul 5-3 per chiudere il secondo si fa brekkare con un paio di errori di troppo. E’ tiebreak nel secondo. Goran serve bene e scappa via. McEnroe affossa un dritto a rete e poi doppio fallo, 5-0 Ivanisevic, è la resa del campione americano, che esce comunque tra gli applausi grazie ad una volee impossibile giocata in uno dei match point con una delicatezza e maestria inarrivabile.

IMG_0899Prima di assistere al “mio” match of the night Lendl vs Chang, Bisti mi avverte che c’è una piccola press conference di Goran e Mac nell’area hospitality. I due si fanno un po’ attendere. Eccoli appena docciati: firmano le t-shirt della serata per raccogliere fondi a favore degli alluvionati genovesi, e rispondono a qualche domanda – senza grandi guizzi – tra l’andamento della serata, il nuovo ruolo di coach di Ivanisevic (“a volte è frustante, ho dovuto imparare tanto…”) e quello che il tennis può insegnare ai giovani. Mi rituffo a bordo campo, giusto per vedere Lendl al servizio che inizia il suo classico rituale diventato leggendario quanto il suo tennis. Lo scambio si gioca sul rovescio: Ivan in back e Michael in top. All’improvviso uno sprint di Chang è meno vigoroso, la palla gli esce corta e Lendl fa un passo avanti, si gira sul dritto e via la sua frustata maestosa a trovare un inside out vincente. Applausi spontanei. Ecco Mr. Ivan Lendl, lo Zar, uno dei campioni che ha accompagnato la mia crescita col tennis e che ho sempre ammirato, nella sua algida regalità. Appesantito, invecchiato, prova addirittura a fare un siparietto spiritoso col pubblico, roba che 25 anni fa era inimmaginabile! Oggi è un lontano parente di quella macchina sportiva che concedeva pochissimo in totale efficienza agonistica.

Però molta della meccanica eleganza del suo gesto è rimasta, anche se con più lentezza e meno violenza. Dalla sua racchetta la palla esce secca, con un suono nettamente più corposo rispetto a quello più ovattato delle racchette del match precedente. E’ la prima volta che vedo Lendl in campo coi miei occhi, ammetto di esser venuto spinto dalla voglia di colmare questa importante lacuna nella mia piccola memoria storica. E contro Chang poi… Che storia. Il loro match a Parigi è andato oltre al puro fatto sportivo, per la rottura che determinò e per quegli episodi diventati un classico. Ho un ricordo vivissimo di quel giorno. 1989, tornai da Firenze dove ero a fare rieducazione (insieme al povero Stefano Borgonovo…), e accesa la tv rimasi sorpreso da come quel piccoletto americano reggeva l’impatto contro il grande Ivan, tiranno dell’epoca. Successe di tutto, inutile ricordarlo, è storia nota. Ma credo che ogni appassionato che ebbe il privilegio di vedere quel match non se lo possa dimenticare. Rivederli adesso assieme a dividere il campo è qualcosa di particolare, anche se il forcing e la spinta di Michael è davvero lontanissima rispetto a quella dei tempi d’oro. Stasera ha buon gioco “lo Zar” a prendere il centro del campo e lasciar mulinare nell’aria degli sventagli imprendibili. E’ evidente come Ivan abbia lavorato un sacco per presentarsi a questo Senior Tour in buono spolvero, nonostante l’età. Sarà invecchiato, ma non lascia niente di intentato. E’ sempre Lendl, dopo tutto… e credo che avesse ragione quando disse “Lascio Murray perché mi è tornata voglia di giocare e devo allenarmi…”. Avrei voluto chiederlo, purtroppo non c’è stata l’occasione. Chang è come sempre una maschera, un po’ intristita dall’evidente stempiatura e da qualche ruga a segnarne il volto, sempre inespressivo. Le sgommate micidiali con cui cambiava direzione e impattava passanti disperati non ci sono più e la sua palla viaggia davvero poco. A dirla tutta, la sua presenza in mezzo agli altri campioni un po’ stonava, si avvertiva nettamente nell’aria ed in campo che fosse un po’ il brutto anatroccolo. Lendl è nettamente in vantaggio nel punteggio, lo ha dominato in ogni angolo del campo, facendolo correre da tutte le parti e lasciandolo poi spesso fermo con drittoni dei suoi e qualche rovescio a tutto braccio assai pregevole. Ivan s’è pure divertito a stuzzicare “michelino” spingendolo a battere da sotto, ma Chang non c’ha mai provato. Vince in due set Ivan, tanti applausi e tutti a nanna, ma non prima di quasi 1h di attesa nel parcheggio sotterraneo del palazzetto, la cui uscita sulla tangenziale è assai problematica. Uscendo cadono 3 gocce di pioggia. Forse è la malinconia del tempo che passa, per noi e per questi grandi campioni.

 

Leggi anche:

    None Found