Il “Brutto” che piace…

di Marco Mazzoni

“Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Poche massime di saggezza popolare sono più adatte per descrivere il sig. Radek Stepanek, 34enne funambolo ceco che da ieri sera è diventato eroe tennistico del suo paese, portando a casa il quinto e decisivo punto per la conquista della centesima finale di Coppa Davis (32 anni dopo l’unico successo per la Rep. Ceca). Ad uno sguardo distratto, Stepanek può apparire un uomo veramente brutto. Lineamenti del volto troppo scolpiti, a sottolinearne espressioni ardite, quasi un ideale soggetto per un fumetto di Andrea Pazienza… il tutto amplificato da una fisicità tutt’altro che imponente, e piena di linguaggi del corpo contraddittori tra saltelli da furetto e gestualità esagerata, irridente. Un concentrato di energie diffuse e disordinate. Se poi cerchi sul web e trovi pure le immagini del suo guardaroba tennistico improbabile, fatto da completini inguardabili, compreso uno mimetico-militare, beh… la frittata è fatta. Eppure… il nostro Davis-hero vanta un palmares di fidanzate Doc da far concorrenza ai bellocci di turno, compresa la campionessa Martina Hingis che quasi ha sposato, e la sua attuale consorte, Nicole Vaidisova, bellissima biondona moldava che ha ben pensato di preferire l’attività più rilassante di moglie ad una avviatissima ma faticosa carriera on court (arrivò al n.5 del mondo a 17 anni!). Ma il nocciolo della questione è tutt’altro.

Stepanek è uno dei pochissimi tennisti in attività ad essere davvero Bello in campo, a produrre un tennis spettacolare, nel mero senso del termine. Dotato di una tecnica piuttosto classica ma personale, è capace di inventare tennis, sfruttando ogni centimetro del rettangolo di gioco, e con la dote dei grandi: l’imprevedibilità. Nato e arrivato sul grande tour come doppista, ha nei colpi di inizio gioco il punto di forza. Con leggerezza e caviglie d’acciaio riesce a schizzare sulla palla avventandosi in pieno anticipo, e trovando spesso le righe o aperture di campo meravigliose, che segue a rete chiudendo con tocchi sapienti e volée ficcanti. Il tocco è quasi sempre educato, anche se spesso tende ad esagerare, cercando il colpo ad effetto. Tuttavia il suo è un modo istintivo ma sapiente di applicare un tennis percentuale: non avendo un dritto molto costante (è il colpo che sente di meno) e nemmeno una potenza tale da reggere gli scambi forsennati in top del tennis moderno, esce da questi forcing scappando a rete, cercando il winner, la smorzata, la giocata ad effetto. E’ stato anche n.8 del mondo nel 2006, vincendo 5 titoli Atp in singolare e 16 in doppio (tra cui quest’anno gli Australian Open), ma non ci interessano tanto i numeri, perché il tennis di Stepanek oggi va oltre le rigide categorie delle statistiche.

Nella tre giorni di Praga Radek ha messo in campo il suo meglio, la sua forte personalità e pugnacità, riuscendo nel doppio a prendere per mano il compagno Berdych (dimostratosi una volta di più “morbido sparapalle con paraocchi”). Un doppio che alla fine s’è rivelato il punto decisivo, come si sospettava alla vigilia. Nel primo match di singolare Stepanek poco ha potuto contro il Ferrer incredibile di questo fine stagione, che sorretto da una condizione fisica e mentale straripante ha bombardato il ceco da tutte le parti, rendendo troppo fragili le sue contromosse. Ma nel match decisivo contro Almagro, Stepanek ha giocato una partita epica, a tratti perfetta, ed era la partita più importante, probabilmente della carriera. Era la partita da non sbagliare, quella in cui si mette tutto quel che si ha, ma anche da giocare con lucidità. A differenza di Berdych, che contro Ferrer ha deluso producendo in modo disordinato e casuale le solite accelerazioni, Stepanek contro Almagro ha saputo reggere, resistere, attaccare e contrattaccare. Non s’è fatto accecare dalla “garra”, dalla voglia di strafare e spaccare tutto. E’ stato molto paziente, in certe fasi quasi attendista, ma così facendo non ha regalato molto. Tenendo buone percentuali di servizio e variando molto angoli e spin, non ha dato ad Almagro un ritmo costante, così che l’iberico (gran braccio ma non proprio un mostro di intelligenza tennistica…) a volte sparava malamente, andando tanto fuori giri, proprio come il toro che accecato carica a tutta e va a sbattere malamente. Bravissimo anche a riprendersi a tutta nel quarto, quando perso il terzo set si temeva che alla lunga la partita potesse girare verso la Spagna. Vedere un giocatore con un fisico “normale”, senza un talento divino, senza spin eccessivi, senza energie illimitate e continuità misteriose, pennellare tocchi a tutto campo, alternando ogni soluzione possibile e creare tennis, è stato il modo più bello per salutare la stagione tennistica 2012. Un ultimo match da incorniciare, almeno per coloro amano l’essenza di questo magnifico sport, nato “500 anni fa” come disciplina di destrezza e fantasia, ma che si sta sempre più trasformando, ahimé, in tutt’altro.

Era 100esima finale della storia della più antica competizione sportiva a squadre “all sports”, ed era soprattutto una rivincita per i Cechi, dopo la sconfitta patita a Barcellona nel 2009, quando le furie iberiche sul rosso catalano inflissero un severo cappotto a Berdych e Stepanek, con quest’ultimo rimontato di due set da un indomito Ferrer. Se l’era legata al dito il buon Radek. Del resto, la vendetta va consumata fredda.

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