Claudio Pistolesi: “Vi racconto il mio Orange Bowl”

Claudio Pistolesi
(Claudio Pistolesi in una foto dell’archivio storico de L’Unità)

di Alessandro Nizegorodcew, Luca Brancher e Salvatore Greco

Orange BowlL’Orange Bowl è, da sempre, uno dei tornei più importanti al mondo del circuito juniores. I migliori tennisti del circus giovanile si affrontano nell’ultimo evento della stagione per decretare, il più delle volte, chi sia il più forte dell’annata in questione. Nella categoria under 18 maschile sono due i tennisti italiani ad essersi imposti dal 1947 ad oggi: Corrado Barazzutti nel 1971 e Claudio Pistolesi nel 1985. A sottolineare l’importanza dell’evento è possibile citare alcuni dei vincitori del passato quali Tony Roche, Bjorn Borg, John McEnroe, Ivan Lendl, Jim Courier, Roger Federer, Andy Roddick e tanti altri.

Il 1985 è l’anno di Ritorno al Futuro, Super Mario Bros, della prima versione di Windows 1.0 e del clamoroso scudetto conquistato dall’Hellas Verona. Il 1985 è l’anno del diciotenne Claudio Pistolesi, che chiuderà la stagione al numero 1 del tennis mondiale under 18.

Al giorno d’oggi sappiamo praticamente tutto in tempo reale, tra siti internet aggiornati minuto per minuto, livescore, twitter, facebook e chi più social network ha più ne metta. Provando a fare un salto indietro nel tempo, però, le cose risultano profondamente diverse. L’Italia e la Florida, all’epoca, erano molto più lontane, quasi fossero su due pianeti diversi rispetto a ora. “Viaggiare per tornei di tennis negli anni ‘80 era dura. Il senso di lontananza e isolamento dalla famiglia e amici era dieci volte più difficile da sopportare – racconta Pistolesi – ma l’incredibile voglia di avventura e sete di esperienza, soprattutto in posti che avevamo visto solo nelle serie tv americane come “Miami Vice”, ci aiutava enormemente a superare tutti i problemi”. Tante le situazioni non semplici da gestire, come le telefonate a casa. “La telefonata a nonno Ernesto in collect call è ormai entrata nella letteratura del tennis italiano anni 80…”Nonno dì Yes!”. Eravamo protagonisti di scene che viste oggi hanno veramente tanto di comico. Comprare caramelle e gomme con le banconote da un dollaro per farsi dare il resto in “quarters” pensando che i telefoni funzionassero come in Italia per poi scoprire, con tre chili di monetine in tasca, che le chiamate internazionali non funzionavano così”.

Flamingo ParkA livello tennistico, ovviamente, la questione era più facile. “Le cose importanti per noi erano molto semplici – prosegue l’ex numero 71 Atp -. Un prato per andare a correre, una fontanella per l’acqua, capire con certezza a che ora e in quale giorno dovevamo giocare il torneo e soprattutto fare i conti in pounds e non in kg per la tensione delle racchette. Qualcuno alla fine giocava con 45 kg e racchetta deformata e qualcuno a 10 kg, tensione con cui potevamo al massimo acchiappare le farfalle. Il coach era quello che la federazione, pagante, ti assegnava e bisognava tenerselo buono perché dai suoi rapporti dipendeva l’eventuale convocazione successiva. Io fui molto molto fortunato perché pur giocando l’under 18 era presente il mio coach, il Maestro Rasicci, una figura fondamentale nella mia formazione di mentalità alta di giocatore internazionale, senza la quale credo che i top-100 me li sarei potuti scordare. E c’era anche il mio coach ufficiale Roberto Lombardi, col quale ho delle foto meravigliose, che aveva capito con enorme sensibilità il mio attaccamento al maestro Rasicci, che mi seguì in quell’Orange Bowl quasi di nascosto. Lombardi ovviamente aveva capito ma lasciò andare le cose senza peraltro farmi mancare il suo supporto”.

Mentra racconta, Pistolesi è visibilmente emozionato, tornando indietro di tanti anni a una delle esperienza più intense e gratificanti della sua vita, sportiva e non. “Mentre ne parlo, il ricordo di quei dieci giorni mi mette in crisi perché mi fa rivivere profondamente sensazioni fortissime. Il tabellone dell’Orange Bowl vinto da me faceva spavento”.

Claudio arriva negli Stati Uniti da numero 2 del mondo under 18. Il numero, in quel momento, è Christian Bergström, che negli anni a seguire avrebbe raggiunto in carriera il numero 32 Atp. Nei recenti Campionati Europei Pistolesi era stato sconfitto dal coetaneo svedese nonostante un vantaggio di 5-2 al terzo set. L’obiettivo del romano è giungere al numero 1 del mondo, e per farlo dovrà vincere il torneo sperando che Bergström perda in semifinale. “Nel tabellone c’erano giocatori del calibro di Skoff, Volkov, Perez-Roldan, J.Sanchez, Davin, Korda, Bloom e tanti altri nati nel ‘67 e ‘68 che ora non mi ricordo ma che hanno tutti avuto impotanti carriere tra i professionisti. Bruno Oresar era tra i favoritissimi del torneo: aveva già vinto l’Orange Bowl nelle categorie under 12, under 14 e under 16 e se avesse vinto anche l’under 18 avrebbe raggiunto un record straordinario”.

Il torneo inizia. Il sorteggio è benevolo, ma arriva subito qualche difficoltà. “Al primo turno giocai contro un olandese allenato da Nick Bollettieri, vinsi il primo set 6-0. Poi, un po’ troppo rilassato persi 7-6 il secondo parziale nel quale sprecai tre o quattro match points. Prima dell’inizio del terzo set vidi delle telecamere in campo e un uomo con i baffi a torso nudo che urlava “You Can Do It” al mio avversario; accanto a lui il figlio dai capelli lunghi viola e arancioni. Ero un po’ intimorito, quando venne in mio soccorso Adriano Panatta, anche lui presente negli States, che mi disse che mai avrei dovuto perdere contro quella banda di buffoni. All’epoca i regolamenti erano molto più “flessibili” sul coaching e su chi poteva o non poteva intervenire in campo. Vinsi 6-0 al terzo set”.

Omar Camporese e Claudio PistolesiGiunto ai quarti di finale, arriva una lietissima notizia: Bergström è stato sconfitto. Vincendo il torneo Pistolesi sarebbe divenuto il nuovo numero 1 under 18. “In semifinale affrontai Guillermo Perez-Roldan, con cui condividevo il manager Cino Marchese, che mi predisse una sonora lezione dall’argentino per incoraggiarmi. Mi imposi 6-1 6-2 ed entrai in quello stato di “flow”, in italiano si chiama “stato di grazia”, che mi condusse sino alla finale in uno stato di isolamento, di concentrazione assoluta volta a reclutare ogni grammo di capacità fisiche, mentali e stretegiche. Non parlai con nessuno per un giorno e mezzo fino alle ore 11.00 del 22 dicembre 1985, istante in cui entrai in campo per la finale. Ricordo come fosse ieri il “self-talking”, il mio colloquio interno, nei venti minuti prima della finale. Nessuno osava avvicinarsi perché ero con la faccia tra le mani, seduto e piegato in avanti nel giardino antistante lo stadio di Flamingo Park e pensavo… Ora Claudio, vai in campo, giochi alto di diritto tutte le palle che arrivano nel tuo campo. Se hai pazienza avrai la possibilità di approfittare di una sua palla più corta. E a quel punto entri e fai un buco per terra con il diritto. Servi sempre la prima in kick così il primo colpo dopo il servizio sarà sempre un diritto. In risposta ti sposti e cominci questa goccia cinese sul rovescio a una mano di Oresar. Non lo guardare in faccia quando comincia la sua classica cantilena di piagnistei in croato, che spesso inducono a rilassarsi. Stai pronto a stare in campo fino alle nove di stasera…”.

Nello stadio di Flamingo Park, andando verso la mia panchina, Claudio riconosce subito un volto conosciuto: era uno dei due attori di Miami Vice. “In quell’istante mi sono chiesto: “E’ un film o è la realtà? Avevo appena compiuto 18 anni e in quella finale mi sarei giocato il titolo di Campione del Mondo Junior. Inoltre sarei entrato nell’albo d’oro del torneo giovanile più importante del mondo, impedendo a Oresar, che non era esattamente il massima della simpatia, di raggiungere quell’incredibile record. Si giocava sullo splendido Har-Tru, la terra verde americana, che sembrava fatta su misura per il mio gioco di spinta da fondo campo, soprattutto con il diritto, il “mio” colpo, che rasentava l’eccellenza assoluta”.

Claudio PistolesiL’Orange Bowl è sempre stato un evento anche dal punto di vista mediatico. Il commento televisivo era affidato nel 1985 a Nick Bollettieri e, soprattutto, Arthur Ashe. “La partita fu trasmessa in tv in tutti gli Stati Uniti e anche in Canada, dove la vide mio zio Vittorio, fratello di mia madre già naturalizzato canadese da venti anni (aveva capito tutto prima degli altri). Un angelo ebbe l’idea di registrare la partita e oggi, trasferita su dvd, una volta ogni tre o quattro anni posso ascoltare le parole che uno dei più grandi campioni di tutti tempi, Ashe, ebbe a dire su di me. E ogni volta mi commuovo”.

Il match non sembra iniziare nel migliore dei modi. “Cominciai con un doppio fallo ma, si anche vede dal video, non feci una piega. Dopo i primi 4 giochi lottatissimi e che durarono una vita, rimasi fedele al mio piano strategico, che mi potevo permettere di eseguire a oltranza vista la mia perfetta condizione fisica di allora. E non persi più alcun game. Celebrai la vittoria col dito indice alzato ad indicare il numero 1 del mondo junior, così come vidi fare a un atleta italiano che ha sempre costituito un esempio straordinario per me: Pietro Mennea. Accompagnai quel gesto con un “Siiiiii!!!” che credo abbiano sentito fino a Cuba. Al ritorno andai direttamente a Milano, dove con la mia faccia si aprì “La Domenica Sportiva” diretta da Tito Stagno e Sandro Ciotti. Ero l’ospite della serata insieme a uno scarso… Diego Armando Maradona! Fui sorpreso dalla gentilezza di Maradona e anche dalla sua conoscenza tennistica. Nello stato di euforia in cui mi trovavo gli chiesi anche di venire a giocare nella Roma…”.

Claudio Pistolesi, Coppa Valerio 1985 (Foto Museo del Tennis)In conclusione, avrete notato come i ricordi del vissuto di quella impresa abbiano mosso dentro di me emozioni profondissime e indelebili. Mi scuserete se in molti punti sono stato autocelebrativo, ma so che non ho né aggiunto né tolto nulla alla storia del “mio” Orange Bowl. Molti possono testimoniare che il livello medio di quel torneo era veramente pauroso, ma quell’anno un altro classe ‘67 tedesco, tale Boris Becker, vinse Wimbledon, quello vero! E già allora la mentalità italiana sottosviluppata e ignorante a livello sportivo commentava sui giornali: “Tanto Pistolesi anche se vince non conta nulla. Becker alla sua età ha già vinto Wimbledon”. Oggi il mio pensiero da coach va a quanto, anche oggi, i nostri ragazzi e ragazze di livello debbano pagare dazio a causa di questo modo errato di approcciare il tennis. Tra i nati nelle annate ’67, ’68 e ’69, a parte Becker, ho battuto tra junior e livello professionistico giocatori quali Muster, Yzaga, Carbonell, Steeb, Volkov, Korda, Krickstein, Bergstroem, Carlsson, J.Sanchez, Oresar, Perez-Roldan, Meinecke, Miniussi, Paloheimo, Delaitre, Mancini, Lavalle, Davis, Wheaton, Boetsch, Cherkasov. Ho nominato solamente ex giocatori che hanno lasciato un segno importante nel tennis “pro” negli anni ’80 e ’90. Oggi sono consapevole che, a parte Boris Becker che era fuori concorso, sono stato il miglior junior del mondo e ancora oggi il prestigio di quel titolo mi accompagna. Guarda caso risiedo in Florida… il grande prestigio che giunse da quella vittoria di portata mondiale fu mio ma anche dell’Italia, che negli anni ’80 ancora era un paese degno e meritevole di sacrfici enormi per portare in alto il tricolore”.

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