Circa 20 anni fa a La Marsa, città balneare nella elegante periferia nord di Tunisi, dove già i cartaginesi tanti secoli fa amavano scambiare le loro merci ed immergere i loro corpi nel mare, tre fratelli giocavano a calcio in un soleggiato cortile. Il caso volle che una pallina da tennis arrivò proprio nel cortile e uno dei piccoletti andò a riportarla al di là del muro, rimanendo affascinato da ciò che vide: due signori muniti di racchette si scambiavano più o meno brillantemente una pallina gialla. Questo ragazzino si chiamava Moez, e da quel giorno ha coltivato il sogno di diventare un virtuoso del tennis. La sua è una storia a cui tutti si dovrebbero ispirare: è la favola di un ragazzo che ce l’ha fatta da solo, provenendo da una famiglia della media borghesia tunisina che equivale a poco sopra la soglia della povertà in Italia, che ha fatto del concetto di resilienza la sua filosofia di vita. Oggi ha 24 anni, e noi abbiamo avuto l’onore e il piacere di passare tre giorni con lui e il suo staff vivendo dal di dentro le emozioni di questo team: avendo avuto il privilegio di poter collaborare con Moez Echargui, facendo le analisi del match, ci siamo trovati accanto al suo coach Skander Mehir per parecchie ore fuori dal campo e per 4 match durante le performance, ricavandone una esperienza determinante. Poter ascoltare dalla viva voce di campioni e coach straordinari le loro emozioni, respirarne gli umori, captarne le sensazioni, poter comprendere le scelte tattiche e la preparazione dei match, osservare la gestione delle pause tra gli allenamenti, tutta questa serie di dettagli è una esperienza fondamentale per crescere e conoscere davvero appieno le dinamiche dei tornei. Le statistiche di questo ragazzo sono fantastiche: più del 70% di prime palle in 4 incontri di media, con la punta più bassa al 68%, 3 incontri su 4 con più winner che unforced, sempre un margine di aggressività superiore al proprio avversario tranne in occasione della sconfitta con l’australiano Polmans (il tennista col cappello da legionario) e tutta una serie di parametri che lo rendono senza dubbio uno dei prospetti più interessanti del panorama mondiale e senza dubbio il prossimo campionissimo della sua terra, la Tunisia. Attualmente è numero 511 della classifica mondiale e in questa stagione ha conquistato il suo primo titolo, in casa. Come racconterà lui stesso la federazione tunisina, presieduta da una donna, l’ex tennista Salma Mouelhi-Guizani possiede un budget modesto, che serve appena a mantenere in piedi le attività di base, per cui poco o niente resta per gli atleti che devono arrangiarsi da soli. La sua “fortuna” è stata avere un carattere di ferro, adattarsi alle situazioni velocemente ed avere in Tunisia la bellezza di 36 tornei Futures, ad Hammamet, dove poter fare un po’ di punti e giocare senza spendere un capitale. In questi tornei che si svolgono in resort buoni ma non costosissimi il nostro Moez Echargui ha costruito principalmente la sua classifica: la federazione tunisina gli mette a disposizione una camera, gli dà un braccialetto che lo identifichi all’interno del resort per mangiare e gli dice “vai”. E’ già tanto da queste parti. Anche per il numero 2 del suo Paese dopo Jaziri, che però ha già compiuto 33 anni. Preparatore atletico, Coach, racchette, abbigliamento, corde, sparring partner, analisi del match, fisio e medico, spostamenti, lavanderia e il resto, tutto a carico suo. Di lui si dice che non tiri tardi la sera, che veda sempre nascere l’alba di ogni giorno, che sia metodico, ordinato, che appena fatta una colazione sana sia in palestra e che approfondisca le tematiche di allenamento mentre segue gli ordini del suo coach. E noi che lo abbiamo visto con i nostri occhi lo possiamo confermare. Ha fatto il suo esordio nel circuito Challenger guadagnandosi la stima e la simpatia degli altri tennisti e dei loro staff che hanno fatto a gara per palleggiare con lui e riscaldarsi. Il pubblico perugino gli ha tributato un lungo applauso anche in occasione della sconfitta dopo 3 vittorie. E’ nata una stella?
Eccoci Moez, come hai cominciato a giocare a tennis?
“Ho iniziato per caso, avevo 10 anni e con i miei fratelli giocavo a calcio, quando un giorno nel nostro campo è arrivata una pallina da tennis che sono andato a riconsegnare ai tennisti. Mi è piaciuto quel che ho visto, ne sono rimasto affascinato ed ho chiesto ai miei fratelli di giocare. Settimana successiva eravamo tutti a provare.”
Da che tipo di famiglia provieni? Che fanno i tuoi genitori?
“Papà era un docente universitario in Tunisia, ora è in pensione mentre mamma faceva parte del nucleo dirigente di un ospedale, quindi dalla media borghesia tunisina, ma gli stipendi non sono eccezionali dalle mie parti anche per chi è più su nella scala sociale.”
Che rapporto hai con i tuoi? Ti seguono?
“Chi mi portava in giro per i primi tornei era papà, da piccolino ero già bravino ma non avrei pensato di fare il PRO, anche se ero affascinato dal mondo tennistico. Con mio padre ho una relazione eccezionale, lui non mi ha mai né pressato né mai criticato, in realtà durante il match non dice una parola, dopo le partite può darmi un suo feedback. Ho visto tanti papà essere troppo critici, per fortuna il mio è un supporto per me.”
Che tipo di giocatore sei?
“Ancora non so definirmi precisamente. Sul veloce sono aggressivo, mi piace cercare la rete. Sul lento gioco più sugli angoli, sullo spostamento dell’avversario, mi piace lo scambio lungo, adoro correre e so scivolare bene. Il mio primo titolo quest’anno l’ho vinto proprio sulla terra, in un $15mila ad Hammamet in finale contro lo spagnolo Esteve Lobato.”
E’ stata questa la vittoria che ti ha dato più soddisfazione?
“L’impresa è stata battere Marcos Baghdatis in Coppa Davis in casa sua a Cipro 6-1 al quinto! Baghdatis è stato numero 8 al mondo! Ed è ancora in formissima, visto che è al numero 68! Voglio ringraziare il capitano della nostra Davis, Adel Brahim, ex numero 1 tunisino, che ha fatto un ottimo lavoro mantenendomi calmo e dandomi la fiducia necessaria per portare a casa la partita.”
Che obiettivi ti sei prefissato?
“L’obiettivo di questo 2017 è finire l’anno nella top 300. Il livello c’è ma non basta, poi bisogna riportarlo in campo. Conta vincere, anche se non sono ossessionato dal farlo subito. A lungo termine dipende da mille fattori incontrollabili, per cui non ho un obiettivo in tal senso.”
Se dovessi spiegare a chi non conosce il circuito quali sono le situazioni più difficili per un ragazzo che gioca Futures e ora Challenger, cosa diresti?
“La difficoltà economica è la più complicata da affrontare. Almeno per me. Io vengo dalla Tunisia, la federazione non può fare di più che agevolarmi in qualche Futures locale, ma se devo girare devo organizzare tutto da solo con le poche risorse che possiedo. Davvero poche. Non ho sponsor, non ho aiuti. I soldi che posso investire derivano da prize money e famiglia. E sono pochi ancora.”
Come è la vita di un ragazzo di 24 anni che prova a fare il tennista Pro?
“Dura. Pensa solo alle relazioni affettive, stai sempre fuori, è molto complicato gestirle. Stando nel tour è difficile anche avere una relazione sentimentale stabile, io per fortuna ho una bellissima storia d’amore con una professional player, che si chiama Fiona Codino, è top 700 Wta e ha solo 21 anni. Lei è la più bella tennista del circuito, sul piano tecnico sta crescendo ma sul piano estetico è già la numero 1!”
Quale è il segreto per crescere come stai facendo tu?
“Non c’è un segreto. La strada giusta è quella di scegliere le persone giuste al tuo fianco. Potremmo dire che la chiave sta nello staff. Indovinare la scelta del team, in relazione alle proprie capacità economiche è fondamentale, secondo me. Io non ho tanti soldi, anzi, ne ho pochi, e chi mi segue deve credere in me e non sfruttarmi. Crescere insieme, io garantisco l’impegno massimo, forse anche di più, e chiedo l’impegno massimo, per raggiungere tutti insieme gli obiettivi e quindi crescere tutti insieme. Come una squadra.”
Quanto contano gli aspetti tipici in percentuale del tennista e dello sportivo in genere, cioè tecnica, tattica, atletica e mentale?
“Mentale predomina direi 45%, atletica 20%, tattica 20%, tecnica 15%. Ma il discorso sarebbe lungo.”
Facciamolo.
“Il fatto è che l’aspetto mentale lo devi considerare come una crescita umana, riguarda le motivazioni che hai dentro e che ti porti 365 giorni l’anno nel tuo bagaglio per allenarti e fare la vita dello sportivo, e quindi non investe solo il campo o la performance in sé. Ci sono giocatori che in campo sono determinati e fanno molto bene, poi magari potrebbero fare ancora meglio in fase di training e viceversa. Forse non è la somma che andrebbe fatta tra i vari fattori quanto una moltiplicazione. Se non hai tecnica, pensa ad un runner, o ad un calciatore che giocassero nel circuito, non è che entri in campo con un 15% di meno, e te la puoi giocare. Perdi 6-0 e vai a casa. Stesso discorso se sei infortunato o atleticamente sei messo male. Idem tatticamente, e via discorrendo. E’ una moltiplicazione, per cui la cosa migliore è avere tutti i fattori positivi. Averne a zero anche solo uno elimina tutti gli altri.”
Abbiamo parlato molto durante le ore passate insieme di questo argomento con coach Skander, Moez e Mattia Fantolino, lo sparring, ed è un argomento che ci sta molto a cuore: la crescita sotto ogni punto di vista.
Che differenze esistono tra Tunisia, Italia e Stati Uniti dove hai vissuto per qualche anno al college?
“La Tunisia non è così lontana dall’Europa sia come concezione di vita, sia come costumi o abitudini: sono diverse solo la lingua e la religione, per il resto è uguale. Io ho giocato 5 anni a tennis nel college americano e ti posso dire che invece è molto differente la mentalità negli USA. Lo stile di vita americano mi piace molto, ci sono maggiori opportunità, anche sul piano economico, e tutto si racchiude in una parola: meritocrazia.”
Su che cosa stai lavorando in particolare, Moez?
“Devo migliorare tutto, quindi stiamo lavorando sotto ogni punto di vista, in maniera specifica e dandoci obiettivi chiari. Fisicamente sto molto bene, so che posso resistere molto a lungo in campo, anche con grande intensità, e pur rischiando di apparire presuntuoso posso dirti che pochi sono alla mia altezza in questo senso. E ciò mi dà molta sicurezza in campo ovviamente. Devo dire che è una caratteristica tunisina questa dell’endurance, probabilmente c’è anche un discorso di DNA.”
Chi è l’artefice, oltre al DNA, di questa ottima capacità fisica tua?
“Molti meriti vanno al mio preparatore atletico che si chiama Raouf Hattab, ha 38 anni ed è più che un semplice preparatore, è un fratello per me. Mi infonde tante energie. Non è qui con me e lavoriamo insieme da agosto scorso, quando sono tornato dagli Stati Uniti. In futuro sarebbe bello viaggiare insieme se sarà possibile. Il discorso di creare uno staff vincente, ricordi? Anche questo è un concetto di moltiplicazione, l’energia di ognuno di noi che si ricarica e si moltiplica grazie all’energia del gruppo.”
Spettacolo, mi ha convinto ed è per questo che seguirei Moez in capo al mondo. Qui sei con Coach Skander Mehir.
“Skander mi segue qui in Italia, ed abbiamo iniziato lo scorso anno la nostra relazione con ottimi risultati mi pare no? (e sorride, sorride anche Skander, sorridiamo tutti, c’è una soddisfazione che esce fuori senza tante ipocrisie dopo queste prestazioni molto positive al Challenger perugino ndr). Skander mi è di grande aiuto, anche se la distanza, lui in Italia, io in Tunisia, non ci agevola. Il nostro modo di relazionarsi è basato sull’essere sempre attivi e ricettivi, tutti e due, e Skander ha una positività davvero coinvolgente. Lui crede tantissimo in me, e questo io lo sento, poi è un vero guru, è capace con pochi gesti di tirarti su quando serve o di riportarti allo stato di concentrazione massima e corretta attivazione quando rischi di volare via. E’ tutto top Coach Skander, ma nell’aspetto mentale è straordinario.”
Qui sei seguito anche da un ragazzo che fa lo sparring.
“Sì, è una collaborazione davvero fruttuosa, ringrazio Mattia (Fantolino ndr), la sua presenza 24 ore su 24 è stata fondamentale per i risultati di questa settimana. Senza di lui non è certo che ce l’avrei fatta.”
Sei felice, Moez?
“Come ragazzo sono felice, come tennista non mi accontento di certo. Non sono appagato. Questo è un punto di partenza, anche se sono ovviamente felice di aver raggiunto il best ranking.”
Se inventassero il pareggio nel tennis ti piacerebbe?
“No, non mi piacerebbe. Ci deve stare un vinto e un vincitore. Lo sport è la metafora della guerra. La guerra è odiosa fuori dal campo e nella società ma è bella dentro ad uno spazio di gioco.”
Pensi che giocare a tennis sia utile nella vita in generale?
“Naturalmente. Tutti gli sport lo sono, il tennis è poi così duro su molti aspetti che diventa allenante anche se poi per professione stai dietro ad una scrivania.”
Uno degli artefici del miracolo tunisino è un uomo che fa del tennis la sua vita ma che possiede anche una grande cultura e conoscenza dell’animo umano: una via di mezzo tra un guru e un maestro di tennis dal sangue arabo, dalla formazione americana e con il piacere della vita tipico dell’Italia che è il Paese in cui vive da molti anni con sua moglie e in cui sono nati i due adoratissimi figli: si chiama Skander Mehir, lo abbiamo conosciuto in occasione del torneo Challenger di Biella la scorsa stagione e da quel momento abbiamo avuto il piacere di incontrarlo più volte come in occasione di una collaborazione al Lemon Bowl di Roma dove accompagnava un suo atleta junior tunisino. Skander è una forza della natura, è capace di infondere energia anche in situazioni border line, è astuto, competente, grosso conoscitore delle dinamiche psicologiche e strategiche del tennis: stare vicino a lui e vederlo indovinare puntualmente il tipo di servizio dell’avversario di Moez e la situazione tattica che ne sarebbe scaturita è stato di grande sorpresa per noi, e anche motivo di crescita professionale. Moez è un ragazzo tranquillo, sicuramente è equilibrato di suo, ma Skander il guru riesce con una parola, con un sorriso, con una pacca sulla spalla a rendere frizzante e piacevole anche una giornata in cui si respiri aria di tensione. E’ un uomo intelligente Skander, cresciuto nell’infanzia ad Hammamet; ricordiamoci sempre che la Tunisia è il paese tradizionalmente più vicino all’Europa tra quelli del nord Africa, quello con i costumi più simili ai nostri e i figli della Tunisia ricordano molto la loro bandiera: la luna calante è il simbolo del mondo arabo, la stella simboleggia i 5 pilastri dell’Islam, il colore bianco in cui sono inseriti rappresenta la Pace. Moez e Skander sono due guerrieri nel campo da tennis, quanto uomini di pace e solidarietà appena indossati gli abiti civili, capaci di grandi slanci di generosità ed empatia. Abbiamo chiesto a Skander di raccontarci la sua esperienza e cosa pensa di Moez e del tennis tunisino: ”Ho vissuto ad Hammamet, in Tunisia, fino a 12 anni, poi con mio papà che aveva una ditta di legname e in più produceva scarpe, ci siamo traferiti a Tangeri in Marocco, e lì ho studiato alla scuola americana dove giocavo anche a tennis, a basket, facevo atletica. Mi sono laureato negli Stati Uniti più tardi in commercio internazionale al West L.A. College. Poi per 10 anni ho fatto lo sparring e il Maestro, lavoravo come oggi del resto anche 10 ore al giorno sul campo e tra i miei allievi c’è stato anche Zack Fleishman che è stato numero 1 come Under USA e poi è arrivato al numero 110 ATP: ora fa delle ruote per gli skate, “shark wheels”, che hanno delle performance straordinarie. E’ proprio vero che fare tennis rende più forti. Poi a 27 anni sono tornato in Tunisia per dare una mano al mio Paese riguardo al tennis: ho avuto quasi tutti i migliori under, ad esempio Jouini, uno per tutti, che è stato quasi top 100 ITF (101 ndr) e adesso fa il Maestro in Nevada. Ho lavorato sia per conto della Federazione tunisina sia per il Tennis Club Carthage. Più tardi ho conosciuto mia moglie Teresa iiripino, nel 2002 ci siamo sposati, poi sono nati i nostri figli Myriam e Skander Junior e siamo rimasti a vivere in Italia. Qui per i nostri figli ci sono opportunità maggiori rispetto alla Tunisia. Del tennis tunisino ti posso dire che oltre a Moez ci sono ragazzi interessanti, mediamente hanno più fame, più voglia degli italiani, ma è solo una generalizzazione. Jaziri che è entrato nella top 50 ha dato una speranza anche a tanti altri ragazzi, è stato un volano per il nostro tennis. Purtroppo non posso essere il coach a tempo pieno di Moez Echargui, lui ha tirato su la sua classifica con i tornei che si giocano in Tunisia, quasi tutti nello stesso villaggio, il Phenicia ad Hammamet, e al momento non può trasferirsi in Italia a lungo. Le sue qualità le hai viste, umiltà, pazienza, grinta, fame, adattabilità. Abbiamo fatto tanta preparazione, sia atletica sia tecnica, in particolare sul servizio. E’ un allievo perfetto, è concentrato, attivo, sereno, va a letto alle 9,30 e si alza alle 6. E’ autonomo in tutto, ordinato, preciso, alle 7 è in palestra. Devo dirti di più? Mi aspetto che cresca ancora sia come livello di gioco sia come classifica, che poi è una conseguenza, può entrare presto nella top 200. Vuoi un suo difetto? Il budget inesistente (e ride ndr). Ti spiego meglio, per girare con un coach il circuito challenger servono 20mila euro per lo staff, e mi tengo basso, più altri 20mila almeno per le altre spese, tra spostamenti, cibo e tutto il resto. Ma si troverà una soluzione anche per questo, problem solving. Le prossime settimane sarà in Marocco, un torneo a Tanger e 2 a Casablanca, sono $15mila, l’obiettivo dell’anno è arrivare ad almeno 80 partite, al momento è a poco più di metà. Forse una delle svolte della sua carriera, dove ha anche preso consapevolezza è stata la vittoria contro Baghdatis al quinto set in Coppa Davis, e lì oltre la bravura di Moez non ci dobbiamo dimenticare l’importanza del capitano della Davis tunisina, Adel Brahim, ex nostro numero 1, che ha fatto un lavoro eccezionale sul piano delle motivazioni e della gestione delle emozioni.”
Qui a Perugia Moez Echargui è arrivato con il suo coach Skander Mehir e lo sparring, un ragazzo top 10 tra gli U16 in Piemonte che risponde al nome di Mattia Fantolino e che ha le idee molto chiare pur avendo solo 16 anni: vuole anche lui fortemente diventare un giocatore Pro. Per questo Mattia Fantolino, che si allena al DLF a Torino con Ramon Abascià da 5 anni ha deciso di fare questa esperienza e ci ha confidato:” il sogno è diventare un giocatore professionista anche se sarebbe più giusto dire che vorrei raggiungere il mio massimo potenziale. Sono un attaccante, ho un rovescio naturale e il diritto con cui provo a far male al mio avversario. Il servizio è incisivo ma da migliorare. I miei lavorano nella automazione navale ed aeronautica, mi segue di più la mamma nei tornei, mentre mio papà è più un supporto morale e mi stimola. Il mio giocatore preferito è Federer. La giocatrice più carina: beh, Bouchard. E’ una esperienza totalizzante questa di fare lo sparring a tempo pieno in un Challenger, veramente si capisce quanto impegno ci metta un professionista. Moez è una forza della natura, ed è anche un ragazzo molto gentile, come ce ne sono pochi. Sono onorato di far parte di questo gruppo.”
Aggiungiamo un particolare che non sfugge a chi frequenta da vicino Moez Echargui: è un ragazzo che sa scegliere le persone che gli sono accanto, le seleziona in maniera certosina, le studia, ne approfondisce la conoscenza, e riesce a far sentire importante chi collabora con lui. Ha sempre un sorriso, è concentrato e sereno, è molto esigente e concede piena fiducia alle persone che ha scelto.
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