Sven Swinnen: «Vi racconto Federer e il tennis svizzero»

Sven Swinnen

di Michele Alinovi

Se da ragazzino sei stato compagno di classe di Roger Federer, di sicuro hai qualcosa in più da raccontare agli amici: difficilmente si annoieranno. Sven Swinnen, 33 anni, nel 1995 era uno dei tanti giovanissimi allievi della scuola federale di tennis in una piccola cittadina stretta tra le montagne e il lago di Ginevra. Tra di loro c’era un ragazzo un po’ taciturno e pazzo di calcio che nove anni dopo sarebbe diventato n. 1 al mondo. Swinnen, sebbene non abbia mai raggiunto alti livelli nel circuito pro, è un’ottima prova di come si possa giocare e vivere nel mondo del tennis percorrendo strade alternative; a vent’anni infatti si è trasferito negli States, in Oregon, dove ha frequentato uno dei college NCAA, associazione di istituti americani che permette di coniugare lo studio con l’attività sportiva. Dopo una breve esperienza nel circuito ATP (best ranking: 451), da sei anni ha intrapreso la carriera di coach per conto della Federazione Svizzera, dove segue, tra gli altri, Henri Laaksonen (22 anni e n.286 del mondo). Gli abbiamo fatto alcune domande sulla sua vita, su Federer e sulle aspettative del tennis svizzero.

Quando e perché hai iniziato a giocare a tennis?

Iniziai a giocare a tennis all’età di 8 anni; giocavo spesso i pomeriggi con un ragazzo della mia scuola. Il tennis divenne ben presto un chiodo fisso: non perdevo l’occasione per giocare e volevo diventare sempre più forte. Come molti miei coetanei, ero ispirato dai grandi campioni che vedevo alla Tv; ero affascinato dal loro stile, mi emozionavano le loro epiche battaglie e volevo fare anch’io parte di quel mondo.

Appena teenager hai iniziato a frequentare la scuola della federazione. Lì hai conosciuto Roger Federer, per un certo periodo siete stati anche compagni di stanza. Che ricordi hai di quel periodo?

Dai 14 ai 16 anni frequentai l’accademia federale di tennis a Ecublens, un paesino a ovest di Losanna. Fu uno dei periodi più belli e duri della mia vita. Ero ospite presso una famiglia e tutte le mattine andavo a scuola insieme a Roger Federer. A 16 anni la Federazione decise di trasferirmi nella scuola di Biel, dove continuai la scuola e gli allenamenti.

Roger FedererChe tipo era Roger da ragazzino? Qualcuno aveva riconosciuto in lui il futuro campione?

Durante i primi mesi Roger provava molta nostalgia di casa e stava lottando con quella difficile situazione. Era un ragazzino di 14 anni, come me, e capivo fin troppo bene il trauma di ritrovarsi di punto in bianco a vivere da soli, lontano dalla famiglia, per rincorrere un obiettivo ancora molto incerto. Dopo il primo periodo di difficoltà, Roger si adattò benissimo: si allenava molto duramente senza mai risparmiarsi e in breve tempo fece progressi straordinari, superando la pressione che inevitabilmente pesava sulle sue spalle. A quel tempo gli allenatori vedevano in lui un grande potenziale, anche se nessuno poteva immaginare quello che sarebbe stato in grado di fare.

Vi sentite ancora?

Sì, ci teniamo ancora in contatto ma ci vediamo molto poco; dai 16 anni in su le nostre vite hanno intrapreso percorsi totalmente differenti.

A vent’anni ti sei trasferito in Oregon, al NCAA College, dove hai fatto grandi cose. Hai iniziato a vincere un torneo dopo l’altro e sei diventato il tennista con più partite vinte di sempre in quello Stato. Perché hai scelto quella strada?

Dopo aver finito la scuola e aver prestato il servizio militare, pensai che il college poteva essere una grande opportunità per continuare a giocare a tennis senza abbandonare gli studi. Iniziai a spulciare numerose università americane: il NCCA College mi parve subito un’ottima scuola. La mia scelta cadde su quella anche grazie all’interesse del coach Chris Russell, che mi raggiunse apposta in Svizzera per convincermi a trasferirmi subito in Oregon.

Credi che il sistema americano NCAA sia un’opportunità valida per gli aspiranti tennisti pro? Quali differenze hai trovato rispetto al sistema educativo europeo?

Sì, credo che il college sia un’ottima occasione per crescere e inserirsi nella carriera professionistica. In realtà, pochi giocatori che hanno frequentato i college riescono ad entrare nella top-100, perché per diventare molto forti bisogna iniziare prima e affidarsi subito a un coach personale. Le eccezioni però non mancano. Negli Stati Uniti questo sistema funziona benissimo, mentre in Europa è ancora molto difficile, anche da un punto di vista culturale, combinare l’università con la competizione sportiva.

Il tuo coach di allora, Kevin Kowalik, affermò di essere impressionato dalla tua forza mentale; ti soprannominò “roccia”. Eri molto forte ma hai giocato pochi match nell’ATP. Perché non hai provato a insistere più a lungo nel circuito pro?

A 18 anni avevo deciso di non giocare professionalmente ma di concentrarmi negli studi. Tuttavia i notevoli miglioramenti e gli ottimi risultati raggiunti durante il periodo del college mi diedero stimoli nuovi e così pensai di riprovarci. Volevo vedere fino a quanto sarei potuto arrivare nel circuito ATP: giocai circa un paio d’anni e mi spinsi fino alla top-500. Poi, in seguito a numerose considerazioni (l’età, il denaro, il mio potenziale, le opportunità) decisi di smettere come giocatore e iniziare la carriera di coach. E’ molto difficile vivere di tennis se non sei un top-player o una giovane promessa. Chi è fuori dai top 100-200 e non è ricco di famiglia o aiutato dalla Federazione è spesso costretto a una vita frugale, piena di sacrifici. L’unica cosa che motiva molti giocatori a continuare a disputare i tornei è la passione per il tennis e la speranza di futuri successi, e quindi di denaro. Spesso però i risultati non arrivano e si inizia a rimpiangere il posto fisso.

Parlaci un po’ della tua carriera da allenatore. Da un po’ di tempo stai seguendo Henri Laaksonen, un giovane abbastanza promettente: dove pensi che possa arrivare?

Nel 2007 ho iniziato a lavorare per la Federazione Svizzera e ho iniziato a girare per il mondo con più tennisti giovani di diverse fasce di età. Negli ultimi due anni abbiamo seguito i giocatori più anziani, le donne fino ai 22 anni e gli uomini fino ai 23. Per questo ultimamente sto lavorando con Henri Laaksonen, anche se non ho smesso di seguire i ragazzini. Henri ha un buon potenziale, credo che potrà inserirsi nella top 100 in maniera stabile; solo quando e se succederà punteremo ad obiettivi più ambiziosi.

Cosa pensi dell’attuale situazione del tennis in Svizzera? Tra le donne, molti nutrono in Belinda Bencic enormi aspettative, talvolta forse troppo azzardate…

Con le ragazze stiamo facendo un ottimo lavoro. Belinda sta giocando benissimo e ha già raggiunto i primi risultati; è ovvio, deve migliorare alcune cose sul piano mentale e della potenza dei colpi, ma è ancora giovanissima e se tutto va come deve andare la vedremo molto in alto nei prossimi anni. Baczkinsky e Vögele sono top-100 ma hanno ampi margini di miglioramento. E poi c’è la Oprandi che, se riuscirà a risolvere tutti i suoi infortuni, ha il potenziale e il talento per scalare diverse posizioni.

Nel campo maschile, vedi qualche giovane che potrebbe essere in grado di ereditare il pesante fardello della ‘Roger-Stan era’?

E’ impossibile rimpiazzare l’era di Federer e Wawrinka. Entrambi hanno raggiunto successi incredibili e sono diventati gli eroi della nostra piccola nazione. Ma sappiamo che qualcosa di simile può accadere una volta ogni dieci, venti, cento anni. Il nostro scopo è quello di coltivare talenti ed avere più giocatori possibili in top 100. Magari, tra di loro, un giorno spunterà un nuovo campione.

Credi che Roger possa vincere un altro Slam? Quali pensi che siano i maggiori stimoli che lo inducono a continuare a giocare?

Sì, sono convinto che potrà vincere un altro Slam. E’ ancora in forma ed è motivato, non ha esaurito i suoi obiettivi. Nell’ultimo Wimbledon lo ha dimostrato, smentendo tutti coloro che non lo ritenevano più capace di raggiungere una finale slam: non solo l’ha raggiunta ma ha giocato una delle finali più belle degli ultimi anni. La verità è che ama follemente il tennis, è questo il suo punto di forza che lo fa andare avanti e girare il mondo nonostante quattro figli piccoli a cui badare. Molti parlano di lui come il G.O.A.T., ma io non mi sono mai posto il problema: sia Roger che Nadal hanno raggiunto risultati straordinari e senza di loro, senza la loro rivalità, il tennis non avrebbe avuto uno dei più grandiosi capitoli della sua storia.

In quest’ultima stagione si sta parlando spesso di ricambio generazionale nel circuito ATP. Tu che ne pensi?

Ci sono molti giovani rampanti che proprio quest’anno stanno iniziando a farsi notare e tagliare le prime teste illustri. Questo è un anno pieno di cambiamenti: i top player resistono ancora ma i risultati di Dimitrov e Raonic e quelli dei teenager come Kyrgios fanno capire che il ricambio ai vertici non è più lontano di quanto si creda.

Il prossimo 12 settembre a Ginevra si terrà la semifinale di Coppa Davis tra Italia e Svizzera. Non è un segreto che per Roger Federer, e per il suo paese, sia uno dei pochi trofei che ancora manca in bacheca. Pronostico?

La Svizzera è decisamente la favorita, ma non sai mai cosa può succedere da qui a settembre. Sia Seppi che Fognini giocano in un modo molto pericoloso, quindi saranno di certo incontri molto impegnativi. Non dobbiamo lasciarci scappare questa occasione.

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