di Samuel Nazim
Una venezuelana che quasi conquista gli Stati Uniti. Quasi avventato pensarlo, di questi tempi. In un’epoca in cui ripicche, minacce e aggressioni verbali rendono turbolenti i rapporti tra la potenza nordamericana e lo stato più a nord del Sudamerica, c’è anche chi è in grado di farsi strada, facendosi beffe di questa situazione politica tutt’altro che rosea, provando a ritagliarsi uno spazio grazie ad uno strumento, lo sport, che come spesso succede sa sconfessare tante altre manifestazioni per poter dare vita ad una storia che emana un soffice sapore di verità.
Il Venezuela non è una terra di grandi sportivi: Se si esclude qualche giocatore di baseball, sono davvero pochi i campioni di sport provenienti dalla “Culla di Bolivar e Regina del Mare Fatto Terra” (la nuova denominazione di Caracas, stando al presidente Chavez). Chi ha intrapreso la strada dello sport – del tennis in particolare – per provare a risplendere di luce propria è Gaby Paz, giovane tennista che tra pochi giorni compirà 17 anni e che proprio dividendosi tra i due paesi, al momento ai ferri corti, prova a recitare la sua in uno scenario alquanto singolare.
Giunta negli Stati Uniti nel 2003, Gabriela si è stanziata in Florida, cominciando però solo 3 anni fa ad allenarsi alla Extreme Tennis di Diego Dominguez, a Miami. Sin da piccola era considerata una buona giocatrice, ma soltanto con questo radicale cambio di vita ha potuto effettivamente mettere a frutto quanto il suo talento le aveva preservato per il futuro. Schematizzando, in poche righe, quale sia la tipologia di gioco dell’attuale numero 2 del Venezuela (dietro alla sempreverde Sequera), mi pare d’uopo osservare come, non essendo dotata di un fisico scultoreo, gioca principalmente da fondocampo, con il classico difetto dei giocatori moderni i quali, pur riuscendo ad imprimere una buona aggressività con entrambi i fondamentali, non hanno una sicurezza tale per venire a chiudere il punto a rete.
Fatte le debite proporzioni, un po’ come il suo idolo Andre Agassi. Gabriela ricorda la tristezza con cui, recatasi per la prima volta nella sua vita a Flushing Meadows, abbia assistito all’addio del campione del Nevada. Sorte analoga, sebbene avvenuta in maniera differente e più di recente, per l’altro suo modello tennistico: Justine Henin.
Henin, Agassi: tutti piccoli grandi campioni, che, chi col talento, chi con l’anticipo, hanno saputo sopperire alle proprie lacune fisiche: sarà così anche per la Paz? La quale, intanto, ha da poco vissuto un (quasi) momento di gloria, con l’inaspettata finale raggiunta agli Us Open Juniores. La ragazza di Valencia ha trovato la forza di issarsi fino all’ultimo atto del torneo new-yorkese, superando la sua bestia nera, Melanie Oudin, contro la quale era stata sconfitta per quattro volte in precedenza. La maggiore forza fisica di Coco Vandeweghe non è però stata contrastata nella finale di domenica, lasciando tuttavia in Gabriela più gioia che non delusione.
Certo, il dedicarsi ai tornei junior non le ha permesso di perseguire costantemente il suo obbiettivo stagionale, che la voleva approcciarsi alle prime 200 giocatrici della classifica Wta (ora è poco fuori dalle 400), per poter disputare dal 2009 le qualificazioni dei tornei maggiori, tra cui gli Slam. Il tentativo resta comunque in atto, anche se, giocando soltanto ITF con montepremi elevati sul suolo statunitense, sta nella natura delle cose che la giovane venezuelana possa trovare alcune difficoltà. Come Devendra Banhart, che, rientrato negli Stati Uniti dal Venezuela, ha saputo ritagliarsi uno spazio nel cuore degli appassionati di musica indie americana, anche la Paz proverà a raccontarci qualcosa, grazie al suo tennis.
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