Melanie Oudin, un tunnel senza fine

Melanie Oudin

di Alessandro Mastroluca

Un destino avverso, piantato tra l’aorta e l’intenzione. Melanie Oudin non trova pace, non riesce a uscire dalla selva oscura di un 2014 che peggiore non avrebbe potuto essere. Oggi, giovedì 6 novembre, dovrà operarsi al cuore, poi entro fine anno per risolvere un problema agli occhi dovuto alla troppa esposizione al sole.

“E’ più di un anno che occasionalmente ho avuto attacchi di tachicardia, di battito accelerato” ha raccontato in un’intervista telefonica all’Associated Press, “sempre durante o subito dopo le partite. Pensavo fosse una forma d’ansia, è stato molto frustrante quando mi capitava durante le partite. Giocavo con il battito accelerato, poi cercavo di rilassarmi, di fare dei respiri profondi e mi sentivo un po’ meglio”.

Una condizione che non era emersa dai test cui si era sottoposta alla fine del 2013. Il mese scorso, invece, i medici le hanno riscontrato una forma di aritmia, la tachicardia da rientro atrio-ventricolare di tipo nodale, la più comune delle tachicardie cosiddette sopra ventricolari, che comporta palpitazioni, battiti rapidi e regolari, senza la presenza di un evento precipitante, di un innesco.

“Spero che dopo quest’anno non dovrò avere mai e poi mai altri attacchi del genere” ha detto Melanie prima dell’operazione, all’ospedale di Atlanta. “Non è un intervento a cuore aperto, ma comunque è la prima volta che vado sotto i ferri, e ho un po’ paura” ha ammesso.

Già lo scorso dicembre il suo tunnel fatto di dubbi, di crisi di identità, di continui tradimenti da parte di un fisico che non regge le sue ambizioni, si era fatto più minaccioso, più scuro, più opprimente. Per colpa della rabdomiolisi, la rottura delle cellule del muscolo scheletrico, dovuto al rilascio non fluido di mioglobina nelle fibre muscolari interessate. Nel suo caso, il problema riguardava solo i muscoli delle braccia. “Ho sollevato pesi per un’ora e mezza, un po’ troppo e sopratutto troppo presto perché era da tanto tempo che non facevo esercizi di questo tipo. I medici pensano che anche che fossi un po’ disidratata” raccontava. “I primi due giorni avevo le braccia gonfie come palloncini, non avevo mai sentito un dolore così”.

I medici, comunque, hanno escluso ogni tipo di relazione fra l’aritmia e la rabdomiolisi, che ha tenuto Melanie Oudin fuori per la prima parte del 2014, fino al Masters di Miami, in cui è uscita al primo turno delle qualificazioni. Non è stato un anno semplice per l’attuale numero 165 del mondo, che nel circuito maggiore ha vinto una sola partita, al primo turno del WTA di Quebec City su Alize Lim (negli altri tornei WTA non ha mai passato le qualificazioni). Qualche soddisfazione in più, certo sbiadita rispetto al grande exploit degli Us Open 2009, se l’è presa negli ITF, con la finale nel 50K di Yakima, battuta da Nicole Gibbs, la semifinale del 100K di Contrexeville, ha sconfitto Annika Beck nei quarti prima di cedere a Begu in semifinale, e tre quarti di finale.

Melanie, che non vince un titolo da successo nel 50K di Las Vegas dell’anno scorso in finale su Coco Vandeveghe in cui sconfisse, per ritiro, negli ottavi Shelby Rodgers con cui condivideva l’appartamento nei primi mesi a Boca Raton, è adesso in cerca di una nuova guida tecnica.

Era arrivata in Florida dopo l’addio allo storico coach Brian De Villiers, che l’ha seguita da quando aveva nove anni, l’ha portata ai quarti agli Us Open e al best ranking di numero 31 ad aprile 2010, ed è rimasta al suo fianco fino a settembre 2011. Ha affrontato con Melanie anche uno dei momenti più duri nella sua vita, il divorzio dei genitori John e Leslie, sposati dal 1989. Un divorzio rancoroso, in cui John accusa la ex moglie di averlo tradito proprio il coach della figlia.

Si è trasferita allora a Boca Raton, per allenarsi con Tom Gullikson, ex capitano di Davis e coach di Pete Sampras dopo la morte del gemello Tim che per Pistol Pete è stato padre, fratello, psicologo, compagno di infinite partite di golf insieme a Jim Loehr, prima che allenatore. Per lui, colpito da un cancro al cervello, Sampras piangerà prima del quinto set contro Courier agli Australian Open. Per essere al suo funerale, non parteciperà agli Internazionali di Roma 1996 e verserà altre, inconsolabili lacrime mentre tenta invano di completarne l’elogio funebre.

Melanie prende un appartamento a Westchester, quello che divide con Shelby Rodgers, di cui continua a lungo a pagare l’affitto anche dopo essersi spostata al Billie Jean King National Tennis Center a Flushing Meadows, teatro degli Us Open. Riavvicinarsi al teatro del suo più grande successo, però, non basta. Non basta nemmeno l’aiuto dei coach USTA Jay Gooding e Jorge Todero. I fasti di quella settimana magica, in cui eliminò quattro stelle di un colore solo, quattro russe formidabili, Anastasia Pavlyuchenkova, Elena Dementieva, Maria Sharapova e Nadia Petrova, non sono più tornati.

La gioia per la prima partita in uno Slam dopo due anni, su Johanna Larsson al Roland Garros 2012, è un’epifania beffarda di quei giorni di gloria ormai passati, svaniti nell’occhiolino ammiccante di una giovane ragazza con un destino avverso piantato tra l’aorta e l’intenzione.

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