Kuhn & Davidovich: spagnoli, ma non troppo


Rafa Nadal è risorto e pare proprio che abbia ancora da dire la sua per un po’, ma è inevitabile interrogarsi sul temuto Day after e sui possibli rincalzi che possano non dico sostituire, ma rendere più indolore il suo futuro ritiro. Due nomi si stanno affacciando all’orizzonte negli ultimi tempi e non si chiamano esattamente Manolo Rodríguez e Pepe Sánchez, ma Nicola Kuhn e Alejandro Davidovich Fokina. Il loro aspetto, entrambi di carnagione chiarissima e capelli paglierini, non rispecchia certo i canoni classici del fisico mediterraneo, ma quando aprono bocca sono al 100% spagnoli. Chi sono? Che origini hanno? Che talenti e meriti tennistici presentano? Scopriamolo insieme.
Nicola Kuhn, classe 2000, è nato in Austria da padre tedesco e madre russa, ma a tre mesi stava già vivendo a Torrevieja, in provincia di Alicante. Dopo aver giocato per la Germania, da qualche tempo lo fa con il passaporto spagnolo, con il sogno nel cassetto di giocare la Davis per il “suo” paese. In una recente intervista al quotidiano ABC alla domanda “Che cos’hai di russo e di tedesco?”, ha risposto: “I capelli e poco più. Alla fine qualcosa di tedesco e di russo ce l’avrò, ma il ¡Vamos! è spagnolo, questo è sicuro. Penso in molte lingue, ma propendo per lo spagnolo rispetto al tedesco e al russo. Parlo anche l’inglese e sto imparando il francese, perché il mio fisioterapista viene dalla Francia”. Mica male come mix di lingue e di culture! Fra i 5 e i 12 anni si è allenato con l’argentino Pedro Caprotta ad Alicante, dal quale è tornato da pochi mesi dopo un lungo e fondamentale periodo presso l’Accademia Equelite di Juan Carlos Ferrero. Il ritorno all’ovile è stato estremamente positivo, con la recente finale in singolare e la vittoria in doppio al Roland Garros junior, seguite dal primo titolo pro in carriera in Ungheria, dove ha rifilato un 64/60 a Attila Balazs, un giocatore ben più scafato di lui. Ma è nelle qualificazioni del Masters 1000 di Madrid dove ha fatto vedere che la stoffa non gli manca, battendo al primo turno 75/60 nientemeno che Basilashvili, fra i primi sessanta giocatori del mondo, per poi arrendersi al promettente Escobedo.
Alejandro Davidovich Fokina è nato nel ’99 a La Cala del Moral (Malaga) da padre svedese (ex pugile) e madre russa, una famiglia umile, tanto che da bambino nei primi tornei giocava con una racchetta da due lire comprata in un grande magazzino. Si allena a Marbella agli ordini di Jorge Aguirre, che parla di lui come di un talento eccezionale e con potenzialità straordinarie. Ha un anno in più di Kuhn, ma ha seguito un percorso simile in questo 2017: la semifinale a Roland Garros junior, le prime finali nei $25.5000 a Palma del Rio (battuto dal nostro Matteo Viola), e Bakia, ma soprattutto la buona prestazione alle qualificazioni del Conde de Godó di Barcellona, dove ha lottato ad armi pari con fior di professionisti, battendo Carballés al primo turno per poi perdere in tre duri set contro Giraldo.
Destrorsi e con rovescio bimane, sono il prodotto del tennis moderno, che pochissimo ha a che vedere con l’ormai tramontato prototipo del terraiolo iberico. Curiosamente nelle interviste non parlano di Nadal come del loro idolo, ma semmai di Djokovic, predilezione forse dettata dalla volontà di non vivere all’ombra del più grande giocatore della storia del tennis spagnolo. Per loro stessa ammissione, entrambi preferiscono le superfici dure, ma ben si difendono anche sulla terra, come dimostrano i risultati che abbiamo menzionato, in attesa di vedere come si comporteranno sull’erba londinese. Hanno iniziato a giocare giovanissimi (Alejandro a due anni e Nicola a tre) e sono già tennisti abbastanza maturi per la loro età; Davidovich deve lavorare soprattutto sulla costanza e sulla concentrazione ma è più maturo fisicamente, mentre Kuhn, estremamente determinato ed aggressivo in campo, sembra ancora un po’ acerbo dal punto di vista fisico.
Stanno fluttuando fra circuito junior (tutti e due nella top 10 quest’anno) e pro, in quel delicatissimo passaggio che va gestito con estrema cautela, come dimostrano i moltissimi casi di promesse non mantenute. Davidovich ha un palmarès junior molto ricco, sia a livello internazionale che nazionale (campione di Spagna under 12, 15 e 18), mentre Kuhn (che è stato tra l’altro anche campione di Spagna di Karting) sembra già più decisamente proiettato verso il circuito professionistico, il che pare essere una delle cause del cambio di coach, come possiamo leggere nell’intervista citata: “Io non do molta importanza la circuito junior, e per questo motivo ho avuto problemi con il mio professore dell’Accademia. Vedevamo le cose in modo diverso. Vincere un torneo junior è importante, ma non è decisivo. Puoi vincere il Roland Garros e poi non essere nessuno”. Come dargli torto? Gli esempi in questo senso sono moltissimi ma, solo per restare in ambito spagnolo, l’ultimo a vincere a Parigi è stato Carlos Cuadrado nel 2001, preceduto da Beto Martín (’96), Jacobo Díaz (’94) e Roberto Carretero (’93), e non stiamo parlando delle punte di diamante del tennis iberico.
Li vedremo sicuramente a Wimbledon, ma sarà uno degli ultimi tornei junior a cui parteciperanno. Sono ormai pronti per il passaggio al professionismo e hanno un ranking Atp (Kuhn 501 e Davidovich 637) che gli permette tranquillamente di entrare nei Futures e nelle qualificazioni di molti Challengers. Se son rose fioriranno, e forse saranno fra i portabandiera del tennis spagnolo del futuro, anche se le loro bandiere hanno, oltre al giallo e il rosso, molti altri colori.

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