Io russo, tu russi, i russi dormono

di Sergio Pastena

Verrebbe da dire “Andateci piano”, ma tutto sommato non si può fare a meno di provare una certa comprensione.

Argomento: i quarti di finale del diciassettenne Karen Khachanov a Mosca e le seguenti dichiarazioni di Yevgeny Kafelnikov, ex numero due al mondo, che lo ha profetizzato Top 20 entro il 2015. Ora, sia chiaro, non fosse stato per Khachanov, eliminato da Karlovic con un netto 6-4 6-0, anche il torneo di casa dei russi sarebbe stato privo di soddisfazioni eccezion fatta per un Gabashvili arrivato ai quarti sbuffando e poi demolito da Gasquet.

Il problema, tuttavia, è molto più pratico per il movimento russo: non ci vuole molto, infatti, a notare che rischiano di fare la stessa fine della Svezia. Ora, va detto che la Russia a livello tennistico non ha mai realmente rappresentato l’anti-Usa come in altre discipline: vent’anni fa, ad esempio, la loro presenza nei Top 100 si riduce ai soli Volkov, Cherkasov, Chesnokov e Olhovskiy, con un Kafelnikov che però era in rampa di lancio e qualche bella speranza per il futuro.

All’inizio del millennio, poi, tra Kafelnikov, Safin e un giovane di belle speranze a nome Youzhny si è toccato l’apice. Non che diventasse oro tutto ciò che toccavano, per carità, ma nel 2002 dopo non aver combinato niente per decenni i russi andarono a prendersi la Davis in Francia grazie ai tre nomi sopra elencati. E intanto, di anno in anno, cresceva anche Davydenko che, a dispetto delle critiche sul suo gioco, andò a toccare il numero tre mondiale.

Già, Davydenko e Youzhny, che hanno raccolto l’eredità di Kafelnikov e Safin e, pur senza avere gli stessi risultati, hanno stazionato nei primi dieci del ranking e raccolto, assieme al terzo incomodo Tursunov, qualcosa come 37 titoli Atp nell’ultimo decennio.

E ora?

Beh, ora ci sono sempre quei tre, che però in tre sommano 93 anni. Il quarto è Bogomolov, anche lui trentenne, seguito da un buon Donskoy che però non sembra avere esattamente le stimmate e alterna ancora tornei maggiori e Challenger.

Fuori dai cento, poi, viene davvero lo scoramento: una sfilata di tennisti che a 22-23 anni hanno lo stesso best ranking di Quinzi, un Kuznetsov ancora immaturo e una serie di mestieranti nella seconda metà della carriera. Logico che dalle parti di Mosca, mentre sperano ancora che Baluda venga fuori dalle sabbie mobili, si affidano a quei pochi aliti di vento che gli arrivano.

Nello specifico si parla di Khachanov, che è un giocatore sicuramente forte e finora ogni volta che se l’è vista con giocatori “arrivati” ha figurato molto bene. Va detto altrettanto che, a 17 anni e mezzo, gioca ancora quasi solo tornei juniores e anche in quelli non ha certo il migliore dei ranking: un onorevole numero 19 e una sfilata di coetanei davanti, oltre a vari tennisti classe ’97 e a un ’98, il talentuosissimo Kozlov che però, a dispetto del nome, batte bandiera americana.

Quali le ragioni? Difficile dirlo: la Russia non vive tempi tranquillissimi e, a livello sportivo, risente dello shopping fatto in casa loro dai kazaki. Al momento la prospettiva è quella di ripercorrere le orme degli svedesi, ormai spariti dal tennis che conta. Non è difficile, quando produci a stento un giocatore con buone prospettive all’anno: basta un mix di sfiga e promesse non realizzate e ti trovi senza nessuno su cui puntare.

Dasvidania, e buona ricostruzione.

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