Melanie Oudin: il cuore rallenta, la testa cammina

Melanie Oudin

di Alessandro Mastroluca

Un segreto a lungo nascosto ad amici e avversari. Il cuore che sembra voler balzare fuori dal petto senza una ragione, senza un perché. Le forze che mancano, la testa che gira e nessuno che sappia cosa fare. Per anni, almeno dal 2011, Melanie Oudin ha vissuto così, in campo e fuori. “I dottori mi dicevano che erano solo attacchi di panico” ha spiegato. “Mi capitavano anche in partita. Ho cercato di capire se fossero legati al momento, ma non ho trovato nessuno schema. Mi è successo dopo che avevo vinto 60 il primo set e un’altra volta sul 44 al terzo”. L’anno scorso, poi, all’ultimo turno di qualificazione allo Us Open, sul campo 13 contro Ashleigh Barty, l’attacco è drammatico, lungo, troppo lungo. “Mi girava la testa, ero senza forze, non potevo nemmeno sollevare il braccio” dirà. Arriva a una frequenza di 230 battiti al minuto: la media per un tennista è di 150. E va avanti così per ore, anche dopo la partita. Melanie, che si è fatta visitare per la prima volta da un cardiologo nel 2012, dopo anni di diagnosi infruttuose, non ha opzioni. Non sa che fare.

Non ha mai voluto rendere pubblico il suo problema, anche per non dare vantaggi psicologici alle avversarie. Lo sanno solo Alison Riske, sua grande amica e compagna di stanza, e Grace Min, con cui gioca il doppio: gliel’ha confessato quando una crisi le ha impedito di scendere in campo in un torneo a Dothan, in Alabama.

Verso la fine del 2014, un altro attacco piuttosto forte spaventa i suoi nonni. Sta giocando un torneo in Georgia, lo stato dove è nata, e i parenti l’accompagnano immediatamente in ospedale. Mentre i battiti sono ancora accelerati, le fanno un elettrocardiogramma e scoprono che ha un’aritmia, la tachicardia da rientro atrio-ventricolare di tipo nodale, la più comune delle tachicardie cosiddette sopra ventricolari, che comporta palpitazioni, battiti rapidi e regolari, senza la presenza di un evento precipitante, di un innesco.

L’unico trattamento possibile è l’ablazione trans-catetere, una procedura medica moderatamente invasiva che prevede l’utilizzo di un catetere molto particolare, inserito attraverso la vena femorale o la giugulare e condotto al cuore per eliminare la causa dell’aritmia. Attraverso il catetere, di fatto, viene fatta passare una corrente elettrica a radiofrequenza che, riscaldando la punta metallica, provoca la distruzione del tessuto miocardico patogeno responsabile dell’innesco o del mantenimento dell’aritmia, senza danneggiare i tessuti sani circostanti.

Per un cardiologo, è un intervento relativamente semplice. Per una tennista giovane e piena di dubbi, le prospettive suonano diverse. Così Melanie decide di chiamare l’unico che nel suo ambiente sa esattamente cosa stia passando, Mardy Fish. E lui la rassicura. Le spiega che l’operazione la farà sentire come se avesse corso una maratona, perché verrà usata l’adrenalina per accelerare il battito e determinare dove intervenire per rimuovere i collegamenti disfunzionali nel cuore, ma le conferma che si tratta di una delle operazioni cardiache meno rischiose possibili.

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L’operazione sembra funzionare. Si allena puntando all’Australian Open 2014, ma si sforza troppo e le viene diagnosticata la rabdomiolisi, la rottura delle cellule del muscolo scheletrico, dovuto al rilascio non fluido di mioglobina nelle fibre muscolari interessate. Nel suo caso, il problema riguardava solo i muscoli delle braccia. Deve restare ferma ancora, ma i medici escludono un legame con l’aritmia cardiaca.

Allora, fissa come ipotesi di rientro il torneo di Indian Wells, dove anche Mardy Fish ha giocato il suo primo match dopo 18 mesi. Ma durante una sessione d’allenamento, il cuore torna a battere come non dovrebbe. “I medici non mi credevano” dice Oudin, che torna nello stesso ospedale dove era stata operata. “Ma gli dicevo che provavo esattamente le stesse sensazioni di prima”.

I medici accettano di visitarla ancora, ma non sembrano troppo convinti che davvero l’intervento non abbia avuto effetto. Ed è un altro incontro a cambiare la storia. Melanie, infatti, parla con Robbie Ginepri, che nel 2013 è stato a sua volta curato per un’aritmia. Ginepri è stato operato dal dottor Jacob Blatt di Atlanta, laureato in anatomia e antropologia biologica, specialista in elettrofisiologia cardiaca, membro della Heart Rhythm Society, American Heart Association e dell’Alpha Omega Alpha, società che riunisce solo i migliori medici d’America.

“L’ho incontrato nella sua clinica” ha detto Oudin. “Mi ha spiegato che è un difetto congenito, anche se non si manifesta fino ai 18-22 anni, ed è scatenato da un insieme di adrenalina, stress e attività intensa. In tanti magari ci nascono ma non si trovano mai in situazioni che lo fanno scattare”. Blatt le spiega le ragioni del problema, ma non può darle garanzie sull’efficacia della cura. “Avevo paura, ma sentivo che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi”. Si sottopone a un secondo intervento, che conferma due elementi: c’è più di una sezione del miocardio da bruciare e il primo intervento non le ha identificate tutte.

Dopo tre settimane, Melanie torna in campo, anche se solo per colpire qualche palla. I medici le vietano di giocare partite. Vogliono essere del tutto sicuri di aver cancellato tutte le fonti dell’aritmia: se così non fosse, potrebbe rischiare anche di morire durante un match. Ma l’intervento stavolta ha avuto successo e Oudin si riaffaccia al circuito, in un’estate di grandi ritorni, arrivati e promessi, dallo stesso Fish a Jennifer Capriati.

A Oudin, che quando è esplosa con i quarti a Flushing Meadows 2009 portava la scritta “Believe” sulle scarpe, rientrare comunque non basta. “Ovvio, sono felice di poter giocare di nuovo” ha detto, “ma voglio tornare al mio livello di prima, e purtroppo è quasi impossibile. Oggi i colpi ci sono, ma mi manca un po’ di timing, mi manca la concentrazione, la capacitò di rimanere focalizzata su ogni singolo punto per tutta la durata della partita, come prima riuscivo a fare.

Ma, come Mardy Fish ha imparato sulla sua pelle, anche quando il cuore smette di dimostrarsi batto, la battaglia non è ancora vinta. Anche quando il cuore rallenta, la testa cammina. E solo il tempo potrà dire se Melanie avrà vinto la partita più importante della sua vita.

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