Alberto Brizzi: “Tornare nel circuito? Non sarà facile, ma…”

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di Matteo Mosciatti

Ore ed ore di allenamento, anni di sacrifici, spese esagerate e tanta, tantissima pazienza per centrare l’obiettivo, diventare un professionista di alto livello e trasformare nel proprio lavoro la passione che si coltiva sin da bambino. Sotto certi punti di vista, per il rapporto tra le fatiche sostenute e il guadagno effettivo se non entri nell’élite dei primi giocatori al mondo, il tennis è uno degli sport più difficili. Secondo le testimonianze di numerosi tennisti, soltanto i primi 150 del Ranking ATP chiudono la stagione in positivo economicamente. Tutti gli altri, chi più chi meno, spendono cifre superiori rispetto a quelle guadagnate con i montepremi dei tornei.

E se ti fai male? Magari smetti, vendi le tue amate racchette e ti metti a fare altro. O magari ci riprovi, ti concedi altro tempo ma il tuo fisico ti limita fino al declino. Se ti chiami Alberto Brizzi, invece, a mollare non ci pensi nemmeno, da ogni “stop” torni più forte di prima e a 31 anni sei ancora lì, carico e determinato per strappare qualche altra soddisfazione allo sport che è diventato la tua vita.

Dopo un anno ai box per un’operazione al ginocchio, l’ex numero 230 del mondo, nativo di Breno in provincia di Brescia, ha fatto il suo ritorno all’attività agonistica in estate vincendo alcuni tornei open ed ora è impegnato nella fase a gironi della Serie A1 con il Canottieri Casale Monferrato. Lo abbiamo sentito a proposito del suo calvario, dei suoi prossimi impegni e di un futuro legato ancora al tennis…

Ciao Alberto, partiamo con una domanda semplice ma tutt’altro che scontata: come stai?
Abbastanza bene, anche perché mi basta il fatto di poter giocare a tennis dopo oltre un anno di stop. Ho ancora fastidio al tendine, ma i dottori dicono di giocarci sopra considerando che non peggiora dopo gli allenamenti e che il tendine stesso deve un po’ riadattarsi.

Quanto è difficile tornare a buoni livelli dopo un intervento chirurgico al quindicesimo anno di carriera?
Beh, di sicuro non sarà facile rientrare nel circuito considerando che ripartirò completamente da zero e che il livello migliora di anno in anno. Di base c’è la voglia di fare ancora qualche stagione, ma innanzitutto devo vedere dopo qualche mese di allenamento come reagisce il ginocchio e poi non ti nascondo che ripartire da zero con i futures avrebbe un certo costo. Dopo un anno di inattività e di non guadagno economico, non è così semplice. Ora sto facendo un mix di lezioni, allenamento e Serie A1.

Hai pensato di chiudere con le competizioni dopo l’operazione?
A dir la verità se avessi le possibilità economiche giocherei fino a 50 anni perché il nostro è uno sport bellissimo che ti fa crescere un sacco, giri molto e fai tanta esperienza che ti servirà poi in un futuro lavorativo. Purtroppo non essendo più un ventenne devo anche fare i conti con la realtà e infatti cercherò di capire nei prossimi mesi cosa fare l’anno prossimo. Diciamo che la voglia di giocare e tornare a certi livelli e tanta, soprattutto perché sento di non aver raggiunto quei risultati che in realtà penso siano alla mia portata.

Quello al ginocchio non è stato il primo problema che ha condizionato il tuo tennis. Da ragazzo, per esempio, il rovescio lo giocavi a due mani…
Sì, gli infortuni fanno parte del gioco e mi hanno accompagnato spesso e volentieri: penso di non aver quasi mai finito un anno senza essere stato fermo qualche mese per infortunio e questo ti limita molto. Detto ciò, fino all’età di 17 anni giocavo il rovescio a due mani e poi ho subito un intervento per un problema di cartilagine al polso sinistro che mi ha tenuto fuori dal circuito per 6 mesi. Purtroppo l’intervento non è andato bene e quindi dopo aver provato e riprovato a giocare il rovescio a due mani ho dovuto prendere una decisione drastica, iniziare a giocarlo a una mano. I primi anni è stato davvero difficile, soprattutto se pensi che a 17 anni un ragazzo è nel pieno della sua crescita tennistica, ma per fortuna dopo anni e anni di allenamenti, col tempo sono riuscito a costruirmi un buon rovescio. Per farti un esempio, ho giocato il Roland Garros Juniores a 17 anni con il rovescio a due mani, mentre l’anno dopo con il rovescio a una. È stato parecchio difficile!

Eri considerato una delle migliori promesse del panorama juniores italiano, hai vinto 10 titoli in singolare e 13 in doppio e disputato le qualificazioni di 3 tornei dello Slam. Traccia un bilancio della tua importante carriera.
Da junior sono stato numero 19 del mondo ed ero considerato una buona promessa insieme a Seppi. Purtroppo il passaggio ai “Pro” non è così semplice, cambiano tanti meccanismi e tante abitudini. Diciamo che da junior hai la vita semplificata e ti senti quasi già arrivato in un mondo che in realtà è lontano anni luce. I tornei junior sono quasi sempre in posti belli e accoglienti mentre quando metti piede nel tennis che conta, partendo da zero, passi per tornei sperduti, brutti e a volte con condizioni poco favorevoli. Tutto sommato sono molto contento delle mie esperienze junior perché ho partecipato a varie competizioni a squadre con la Nazionale Italiana, ho giocato tutti e 4 gli Slam e queste esperienze mi hanno fatto crescere molto avendo avuto la fortuna di confrontarmi e allenarmi con giocatori di altissimo livello.

L’avversario più forte contro cui hai giocato?
Stan Wawrinka quando era 12 del mondo al Challenger $100.000 di Lugano. Quel giorno me lo ricorderò per tutta la vita, perché ero partito dalle qualificazioni e sapendo della sua presenza fin dal primo turno di quali dicevo “Spero di non beccarlo se mi qualifico” e ovviamente così è stato. Mi sono qualificato, ho vinto il primo turno e al secondo c’era Wawrinka che mi aspettava. In genere non sono teso prima di un match ma in quel caso ero terrorizzato e non so bene il perché, anche se in realtà ce ne sarebbero stati molti, tipo che poche settimane prima aveva battuto un certo Roger Federer a Montecarlo e questo non mi dava troppa serenità. Probabilmente ho scaricato così tanta energia prima della partita che poi sono entrato in campo abbastanza sereno e in effetti mi sono comunque giocato la partita perdendo 6-4 7-6 avendo un set point a mio favore nel secondo set.

Un argomento parecchio discusso è quello delle spese dei giocatori fuori dalla “prima fascia”: se sei 200 del mondo non guadagni una lira ma, al contrario, finisci l’anno in rosso; se ti aggiri intorno alla 400esima posizione ATP fai davvero fatica per non parlare di quelli più indietro. Che ne pensi? Colpa dei montepremi troppo bassi?
Di sicuro i montepremi non sono all’altezza del livello di gioco. Penso che ci sia troppa disparità tra i montepremi Slam e quelli dei tornei ATP rispetto ai futures e ai challenger. Il fatto di non guadagnare se sei 500-400 ATP è vero, infatti quello è un passaggio per poi arrivare ad alti livelli, d’altronde vuoi o non vuoi tutti sono partiti da zero, poi chi resta intorno a quella classifica fa più fatica e deve essere molto bravo a gestire la propria attività con varie competizioni a squadre sia in Italia che all’estero. Di base deve esserci tanta, ma tanta passione per questo sport.

Hai già le idee chiare su cosa farai una volta terminato di girare per tornei?
Quando smetterò sicuramente rimarrò nell’ambito del tennis. Penso che sarebbe davvero un peccato buttare via una vita dedicata a questo sport che, come tante cose nella vita, ti dà gioie e sofferenze, ma non per questo non va vissuto a pieno. Non so ancora se farò il maestro da club, lavorerò in un accademia o seguirò qualche ragazzo ai tornei, ma la cosa certa è che avrò sempre la racchetta con me.

Qual è il tuo sogno? Scegli tu se legato al tennis agonistico o a ciò che farai dopo.
Il mio sogno tennistico era entrare nei primi 100 giocatori al mondo ma purtroppo non ci sono riuscito. Tuttavia dentro di me sento di poter fare ancora qualcosa di buono nonostante non sia più tanto giovane. Di sicuro, se fisicamente sarò in grado, giocherò ancora qualche anno per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.

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