Schwartzman più forte della tradizione

Schwartzman

di Luca Brancher

E’ l’argentino Diego Sebastian Schwartzman, reduce da una strepitosa stagione, ad aggiudicarsi la quarta edizione delle ATP Challenger Tour Finals, succedendo in questo modo al nostro Filippo Volandri e facendo registrare il secondo nome dell’Albiceleste nell’albo d’oro, dopo quello di Guido Pella, casualmente a segno oggi nella concomitante kermesse di Lima. Diego ha trionfato al termine di una finale che non ha avuto alcuna storia – anche a causa del fatto che nella giornata di ieri Clezar, per liberarsi del dominicano Estrella, è dovuto ricorrere ad un incontro durato oltre tre ore e chiusosi soltanto per 14-12 al tie break del set finale – ed il punteggio finale, 6-2 6-3, è più eloquente di qualsiasi altro discorso. Oltre ad Estrella, in semifinale, dal futuro vincitore, era stato sconfitto il nostro Simone Bolelli, che dopo le prime due vittorie nel girone aveva subodorato la possibilità di chiudere l’anno da numero 2 d’Italia, ma le successive sconfitte ne hanno cancellato le velleità, oltre alla possibilità di apporre un secondo nome azzurro nell’elenco dei vincitori di questa manifestazione.

La bravura di Schwartzman è oltretutto legata al fatto che è stato capace di superare indenne la “la maledizione del round robin”, dal momento che nelle tre edizioni precedenti la partita finale si era già giocata nei gironi, ed a vincere era sempre stato il tennista prima sconfitto. Così nel 2011, dove il tedesco Stebe aveva perso l’incontro inaugurale dell’intera kermesse contro l’israeliano Sela, prima di vendicarsi quattro giorni più tardi, come nel 2012, dove Pella si era aggiudicato la corona al tie break del terzo set dopo aver perso con la stessa modalità nel corso della seconda giornata contro il rumeno Adrian Ungur, ed infine lo scorso anno, con Volandri capace di ribaltare le gerarchie contro il colombiano Alejandro Gonzalez. Quest’anno l’argentino si è liberato di Clezar con punteggio “a specchio”, 6-3 6-2 nel girone e 6-2 6-3 nell’atto conclusivo della competizione, attorno a cui vertono alcuni quesiti, su cui ci soffermiamo: a partire proprio dal nome di uno dei due finalisti, ed al motivo per cui si è spinto tanto avanti.

Lascia sempre interdetti quando, in una competizione che dovrebbe racchiudere i migliori tennisti di una categoria, viene concesso spazio ad un invitato, premiato per meriti esclusivamente geografici. Così come per il Tournament of Champions femminile, dove, quando tenutosi a Sofia, la chance è stata concessa ad una Tsvetana Pironkova che non ha mai ripagato appieno questa fiducia, anche in Brasile nel quadriennio in questione è accaduto qualcosa di molto simile. Thomaz Bellucci, invitato per le prime due edizioni, ha regalato risultati in chiaroscuro, con la semifinale del primo anno come miglior record, annacquato dal ritiro dopo il primo incontro dell’anno successivo, mentre il suo successore, Clezar appunto, ha di certo migliorato quanto combinato lo scorso anno, dove aveva vinto soltanto l’incontro conclusivo, inutile, contro il russo Gabashvili. La questione è però un’altra: se la wild card viene elargita nell’intento di invogliare il pubblico che, non essendo presenti i fenomeni, potrebbe indugiare se assistere o meno, aveva una sua logica anche quest’anno, che un brasiliano si era qualificato con merito? Un torneo così, in sostanza, concede buoni punti, è giusto metterli a disposizione, non solo di chi si è guadagnato il diritto, ma anche di chi ha l’unico vantaggio di essere nato in una particolare zona del mondo? In piccolo è quanto sta succedendo nella WTA, con i tanti tornei organizzati in Asia, in particolare Cina, che regalano molte più possibilità alle giocatrici locali.

Un ulteriore problema inoltre è da rintracciare nel modo in cui questa competizione viene organizzata, sempre a metà tra un evento da tenere in alta considerazione ed una sorta di esibizione di fine stagione, per accontentare un pubblico, quello sudamericano, desideroso di vedere partite di discreto livello mentre da loro si avvicina l’estate. Inspiegabile, per esempio, che il sito ufficiale esista soltanto in lingua portoghese, tralasciando la qualità media della grafica stessa, nemmeno degna di un nostro torneo di quarta categoria. Certo, il montepremi è munifico, e questo è il modo migliore per accattivarsi giocatori – l’edizione di quest’anno, dal punto di vista dei partecipanti, nonostante qualche defezione, non è stata deprecabile – ma tanti altri sentori, come l’entrata gratuita per il pubblico e l’utilizzo di una struttura, l’Esporte Clube Pinheiros, molto più piccola rispetto alle precedenti, soprattutto il Ginasio do Ibirapuera in cui erano state ospitate le prime due edizioni, non aiuta a capire quale sia la politica reale dell’ATP rispetto a questo genere di competizione.

E sì che, reduci dalla noia del Master dei grandi, l’evoluzione di questa manifestazione è stata molto più palpitante. Lo stesso Schwartzman, venerdì, giorno di chiusura dei round robin, ha dovuto fronteggiare due match-point contro Joao Souza, concretizzati i quali l’argentino sarebbe stato eliminato chiunque avesse vinto l’incontro finale tra Rola e Clezar. La vittoria del brasiliano nella sfida con lo sloveno ha poi estromesso quest’ultimo per il quoziente set nella classifica avulsa a tre – Souza, a 0 vittorie, era già fuori – ma non avrebbe avuto ragione d’essere questo calcolo, se il giorno prima, nel derby tra Souza e Clezar, Guilherme avesse perso dopo aver rischiato seriamente di venire sorpreso prima del 8-6 del tie break del terzo set. Nel girone di Bolelli, Victor Estrella, sconfitto alla prima giornata, è riuscito comunque a qualificarsi come primo, mentre Maximo Gonzalez, carnefice del dominicano all’esordio, ha effettuato il cammino inverso: dinamiche che danno lustro a questo tipo di manifestazione.

Ed è questo il motivo per cui, il tutto, sembra un pochino sacrificato, confinato, mentre il resto del mondo guardava la Svizzera salire sul tetto del mondo, con una formula che obbliga i finalisti a giocare 5 partite in 5 giorni, e, giocando sulla terra battuta, ci sta che si arrivi a fine settimana piuttosto stanchi, senza tenere in considerazione che è l’ultimo torneo prima della sosta di fine anno. Per il concetto stesso di “Finals”, muoversi in sordina ha davvero poco valore, per cui le possibilità sono due: o mettere il tutto sotto riflettori più potenti, anche a livello mediatico, oppure evitare di ripetere questo esperimento, dato che, pur essendo dal 2011 che viene svolto, la pochezza organizzativa non gli concede i crismi di una completa ufficialità.

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