Passione o non passione? Questo il dilemma


(Silvia Grasso)

Breve Prefazione di Marta Polidori
Silvia Grasso, nata il 4 Giugno 1995, è una ragazzina in gamba, a modo ed appassionata. Prova a scrivere per noi i suoi primi articoli, cercando di unire l’utile al dilettevole, la sua passione per questo sport ad un mestiere. Non pratica a livello agonistico, ma con grande impegno e fedeltà. 

di Silvia Grasso

Esistono diversi tipi di giocatori: amatoriali, che lo fanno per divertirsi e praticare un po’ di attività fisica; “normali” che giocano perché piace e sfruttano quel tempo per stare con gli amici o i compagni di squadra; gli appassionati, che giocano per passione, perché sentono che questo sport li rende felici e, infine, gli agonisti, spinti dalla voglia di vincere sempre e avanzare in classifica.

Questi ultimi due dovrebbero, però, coincidere. Purtroppo non accade spesso, soprattutto tra i ragazzi più giovani.

Molte volte succede che i bambini, obbligati dai genitori, inizino a praticare sport a livello agonistico senza volerlo veramente. Dedicano molte ore all’allenamento, alla preparazione atletica, conducono una vita sana, trascorrono il weekend in giro per tornei e, durante le partite, sentono molto lo stress provocato dai genitori, desiderosi che il proprio figlio vinca a tutti i costi. In questo modo viene a crearsi un rapporto sbagliato tra giocatore e sport. Il ragazzo, infatti, non si diverte a giocare ma lo sente come un peso e, una volta cresciuto abbastanza per poter decidere, smette.

Ho visto padri arrabbiarsi perché il figlio non era stato schierato come prima scelta in una squadra ed a questo punto risulta naturale domandarsi, perché farlo giocare con dei compagni se poi dovrebbe giocare solo lui?
O anche madri ammutolirsi per una sconfitta del figlio o rimproverarlo dicendo che si poteva fare sicuramente meglio. Ci sono genitori che seguono costantemente gli allenamenti del figlio, dunque conoscono benissimo sia i loro punti deboli sia quelli forti, ma che una volta in partita non sono in grado di dare i giusti consigli, lasciando così il ragazzo da solo nel momento in cui dovrebbe essere più aiutato.

Probabilmente è più facile ritrovare la passione nei “giocatori liberi”, cioè coloro che amano questo sport per com’è e lo praticano per puro piacere, senza essere costretti. È più facile che il ragazzo si alleni meglio, perché è ciò che veramente vuole e non abbia paura di commettere un doppio fallo o tirare nel corridoio e, anche in partita, sappia gestire meglio i momenti di difficoltà, anche senza il supporto di qualcuno.

Ecco perché è sempre più raro trovare un agonista che ami veramente quello che fa. Ci sono, infatti, sempre più genitori che pretendono che il figlio sfondi, solo perché magari gioca bene. Il tennis è, purtroppo, uno sport complicato. Non basta avere solo degli ottimi fondamentali e una buona preparazione atletica, ciò che conta maggiormente è la testa. Un agonista “vero” deve riuscire a rimanere concentrato durante tutta la partita, saper cogliere i momenti favorevoli e giocare bene anche nei momenti di difficoltà.

Credo allora che si debba praticare uno sport per volontà, non perché ci si sente obbligati. Solo così si potranno dimostrare le proprie capacità, cercando di migliorarle di volta in volta e, soprattutto, divertendosi. Perché se ci si diverte in campo, il resto viene da sé.

Leggi anche: