Per chi sa aspettare

Non deve essere facile essere il fratello del numero 6 del mondo. Non deve essere facile soprattutto se tuo fratello è numero 6 del mondo nella cosa che nella vita fai anche tu. In questo caso, il tennista.

Jacopo Berrettini ha preso la racchetta in mano prima del fratello, nonostante fosse nato due anni dopo Matteo. E da bambino e poi da ragazzo è stato protagonista di una carriera giovanile di livello più alto. Sapete quante volte, in giro per i circoli capitolini, si è sentita la frase “Matteo gioca benino, ma quello forte è il fratellino”? Probabilmente no, non lo sapete.

Quello biondo era più solido, più costante, più affidabile di quello moro come atleta. Serviva meglio, si muoveva meglio (ma non era un fulmine neanche lui), sembrava più “giocatore”. Non a caso i due titoli Futures conquistati nel 2018 parevano a tutti gli effetti i primi sigilli di una carriera luminosa, le prime coppe “vere” da poggiare sugli scaffali lasciando comunque spazi più centrali per quelle che sarebbero venute più avanti.

Invece no.

Invece il tennis ti costringe ad avventurarti in un percorso difficilmente paragonabile a quello di altri sport. Ti lascia solo, più di quanto accada in tante altre discipline individuali. Non ti perdona un problema fisico, un periodo di appannamento, una fase di insicurezza tecnica o mentale. E Jacopo ci è caduto.

Gli infortuni alla schiena e in altre delicate zone del corpo, le sconfitte dolorose, le occasioni sprecate. Mentre Matteo stupiva e si prendeva il mondo avanzando di prepotenza fino all’élite internazionale, mentre prima i coetanei e poi i connazionali più piccoli aprivano stagioni storiche per il tennis italiano maschile, stagioni che per fortuna proseguono e ogni settimana ci fanno gioire per risultati straordinari a livello ATP, Challenger e ITF. Ma quando Jacopo iniziava a vincere da professionista, la situazione non era questa. Poteva essere lui il primo o uno dei primi, poteva indossarla lui la fascia da capitano di una generazione che con qualità e personalità mira ad imporsi su tutte le altre “nazionali” del pianeta.

Eppure Berrettini Jr solo non è rimasto mai. Matteo, la famiglia, il team, gli amici. Nessuno ha fatto un passo indietro quando le sconfitte erano all’ordine del giorno, la classifica piangeva e le prospettive calavano con le ambizioni. Tutto ciò, badate bene, lasciandolo autonomo nel percorso.

Perché, parliamoci chiaro: se tuo fratello fa finale a Wimbledon, diventa un sex symbol mondiale e viene apprezzato e riconosciuto da tutti come modello da imitare ed orgoglio nazionale, tu, nella peggiore delle ipotesi, caschi sempre in piedi. Invece Jacopo ha scelto la strada più difficile, senza accontentarsi. Ha deciso di rialzare la testa, si è impegnato per risolvere i problemi fisici, si è sacrificato per riprendere un cammino troppe volte rallentato dal destino. Arrivando a giocare la Serie C (lui che ha vinto da protagonista, in passato, la Serie A) con i ragazzetti del Circolo Canottieri Aniene, arrivando persino a dare una mano ai maestri di quel circolo. Per continuare a vivere il campo anche quando giocatore non poteva essere, per non perdere la confidenza con quello che, nonostante tutto, è da sempre il suo mondo.

E solo non è rimasto anche (o forse “soprattutto”) grazie a Marco Gulisano, che da assistant coach di Matteo è stato selezionato per ridare un senso, un entusiasmo e piano piano dei risultati alla carriera di Jacopo, calandosi nella parte con tutto se stesso. Davvero.

Oh, ma Jacopo?”. È la domanda che ciclicamente ha accompagnato i successi di Matteo tra gli amici e i “colleghi” di una volta, quelli che non possono dimenticare quando a dettare legge nel tennis in famiglia era il più piccolo. Per sapere come stesse, dove fosse, per sapere se fosse ancora fidanzato o se avesse piani per il sabato sera. E quante volte Gulis rispondeva “Sta dal fisio” con il tono triste di chi sente di non poter concretamente fare nulla per avanzare nella missione a cui vorrebbe dedicare ognuna delle proprie energie. Marco questo lungo periodo lo ha sofferto, non lo ha mai negato. Quando prendeva le palle depressurizzate per far palleggiare Jacopo al rientro da un infortunio, quando cancellava un volo pochi giorni prima di salirci e quando, con sorriso amaro, ammise “Jacopo ha il Covid”. Sembrava una barzelletta, ma non faceva ridere nessuno.

Per momenti così, per le teste basse, per la voglia non smettere di crederci e per tutti gli sforzi compiuti quando tutto sembrava perso, le emozioni di Acapulco sono il premio più meritato. Due turni di qualificazioni superati e poi la vittoria contro il tedesco Oscar Otte, primo tennista sconfitto da Jacopo Berrettini nel tabellone principale di un torneo ATP così come, nel 2018 al Roland Garros, primo tennista sconfitto da Matteo Berrettini in uno Slam.

Dedicato a tutti quelli che stanno aspettando” direbbe un grande cantautore nostrano che sta per diventare nonno. Perché probabilmente, da domani, quando chiederemo “Oh, ma Jacopo?” l’unica risposta che finalmente riceveremo sarà la destinazione del torneo che starà andando a giocare. E perché, indipendentemente dalla direzione che prenderà la sua carriera, questa settimana Jacopo non la dimenticherà mai.

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