La lesa maestà

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di Sergio Pastena

Lo strano fenomeno è avvenuto sul 30-40 del quarto set, sul 5-5 e Djokovic al servizio.

Un po’ me ne vergogno, perché l’ottica giornalistica mi ha sempre impedito di andare oltre un certo limite: ho tifato, e tanto, ma raramente ho impersonificato un giocatore col bene e uno col male. E quando è avvenuto, è stato solo per palese scorrettezza di uno dei due, ad esempio quando Stepanek mandò ai matti il povero Horna (che poi perse) al Foro Italico. Questo perché, per quanto non possa piacermi un tennista e per quanto io possa aborrire il suo tennis, so che comunque dietro il suo successo c’è tanto sudore, tanto lavoro e tanto impegno quanto quello dei suoi avversari più talentuosi. Anzi, a volte di più, perché senza talento è difficile.

Tuttavia sul 30-40, dopo che un ace e un servizio vincente di Djokovic avevano rimesso in discussione il break di Federer che sarebbe stato preludio al quinto parziale, non ho avuto dubbi: al servizio c’erano i cattivi e alla risposta i buoni. E questo non perché avessi qualcosa contro il serbo, ma solo perché in quel momento il solo provare a frapporsi tra King Roger e un altro spicchio di leggenda mi pareva un motivo ragionevole per guadagnarsi il gagliardetto di Darth Vader. Chiunque ci fosse dall’altra parte della rete era colpevole di lesa maestà.

Due cadute e una vittoria, vi ricorda qualcuno?
Due cadute e una vittoria, vi ricorda qualcuno?

Il resto lo sapete: un Djokovic per tre set a prova di break che si scopre improvvisamente vulnerabile, Federer che nei suoi turni macina botte a tutto spiano mentre il serbo i suoi servizi deve sudarseli, lavorando e scambiando. Il joystick strappato dalle mani di RoboNole e consegnato di nuovo a sua maestà, come ai bei tempi. Ma dall’altra parte c’è qualcuno che lo conosce e che ha imparato come fare: tante, troppe volte la sua tigna in passato è stata sconfitta dal talento. Troppe perché accada ancora.

E così dalla palla break che avrebbe consegnato il vantaggio a Federer si passa alle tre annullate nell’ottavo game, con Federer a inventarsi volèe impossibili, in allungo e stoppate, sciorinando tutto il repertorio per cercare di contrastare il vento che cambiava ancora. Tutto inutile: quando lo svizzero si trova a servire per rimanere nel set va sotto 15-40 e cede alla prima occasione. E Djokovic si prende Londra, smorzando quel colpo di reni che tutti i tifosi dello svizzero attendevano da tempo, con una speranza incrollabile.

Ma è stato bello così, perché al di là del gioco delle parti la vittoria di Djokovic e il ritorno al primo posto mondiale sono frutto di una crescita costante che ha proiettato il serbo tra i mostri sacri in un tempo pieno zeppo di mostri sacri. E in quanto a Federer, i tifosi non si rammarichino troppo: il colpo di reni c’è stato eccome, lo svizzero ha valicato l’asticella ancora una volta. L’ha solo abbattuta col piede di richiamo, come capita anche ai più bravi, ma il volo è stato comunque stupendo.

E la lesa maestà non c’entra: oggi in campo c’erano due re.

 

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