Prove tecniche di NextGen ATP finals: chi può arrivarci e come


L’ufficialità delle NextGen ATP Finals è ormai tale da tempo, le voci che si rincorrevano sulla sua plausibilità, sulla location o sull’opportunità o meno di tenere un torneo del genere sono ormai alle spalle. Meno sopite invece le polemiche di chi contesta il fatto che il “masterino” non assegnerà punti ATP, ma tolto questo – legittimo – argomento di discordia e dibattito, ormai quello che rimane da fare è aspettare che parta la stagione e – con essa – la Race to Milan che, in maniera quasi identica a quella che accompagna l’elezione degli otto maestri a Londra, eleggerà gli otto partecipanti, anzi sette per la verità. Differenza sostanziale rispetto al Masters vero e proprio infatti, oltre all’annosa questione dei punti, sarà l’inserimento di una wild card assieme ai primi sette under21 della stagione, wild card la cui scelta spetterà a un comitato che l’ATP condividerà con FIT e CONI per obblighi di ospitalità e che quindi rende plausibile la presenza di un giovane italiano fuor di meriti di classifica.
Per capire bene chi sono i giovani candidabili a trovare un posto nella race divideremo questa presentazione in: quelli quasi sicuri di essere presenti salvo cause di forza maggiore, quelli che se la giocheranno a vario titolo, quelli ancora troppo lontani ma che potrebbero crescere molto e gli italiani in odore di wild card. A pochi giorni dal gong che aprirà la stagione ecco i nomi che fra dieci mesi potremmo vedere a Milano.
Quelli quasi sicuri di essere presenti salvo cause di forza maggiore.
Alexander Zverev (1997) – n.24 ATP
Tra gli appassionati circola la battuta secondo cui Zverev potrebbe mancare l’appuntamento delle prime NextGen ATP Finals perché rischia seriamente di qualificarsi alle Finals dei grandi. Non sappiamo onestamente se il giovane tedesco sia già in grado di poter competere lungo la distanza di una stagione contro i più forti del pianeta e, ritenendolo improbabile, è più facile da questa prospettiva immaginarlo come la star di punta del Masterino milanese. Fossimo negli organizzatori, inizieremmo a preparare del materiale promozionale con la sua effige già da adesso. Zverev durante la stagione 2016 ha dimostrato di avere una marcia in più rispetto ad altri coetanei candidati a spaccare il circuito. Un’annata, la sua, fatta di piazzamenti egregi a livello ATP, a partire dalla semifinale nell’ATP250 di Montpellier a febbraio, le finali a Nizza e Halle e chiudendo con la proverbiale ciliegina sulla torta costituita dal trionfo nel torneo di San Pietroburgo in autunno. Con questi presupposti è difficile immaginare che Zverev possa non arrivare –e da favorito- a giocare le NextGen ATP Finals. Nel 2017 lo vedremo esordire sul “morbido” tappeto d’ingresso della Hopman Cup di Perth dove rappresenterà la Germania assieme ad Andrea Petkovic prima di volare direttamente a Melbourne per il primo slam stagionale.
Borna Coric (1996) – n.48 ATP
Per il croato vale un discorso simile a quello fatto per Zverev, con le dovute limature. Difficile infatti immaginare che Coric possa mancare le NextGen ATP Finals, ma molto improbabile pensare che in caso possa farlo perché impegnato nelle Finals dei grandi. Complici alcuni noti problemi fisici infatti, Coric ha giocato meno di quanto avrebbe sperato e ha chiuso la stagione praticamente già a settembre con la sfida in Davis contro la Francia. Non ha comunque mostrato i progressi apparsi invece nel gioco e nella testa di Zverev, resta un giocatore abbastanza (fin troppo) lineare e ancora poco in grado di graffiare a fondo le partite che contano. A “palmares” le due finali conquistate a Chennai e a Casablanca nei relativi tornei ATP 250. Proprio da Chennai ripartirà la sua stagione nel 2017 e, senza Wawrinka che per la prima volta da anni diserta l’appuntamento con il torneo indiano, chissà che non possa completare l’opera sfiorata lo scorso anno.
Quelli che se la giocheranno a vario titolo.
Karen Khachanov (1996) – n.53 ATP
Il gigante russo, idealmente terzo di questa race a bocce ferme, avrebbe in teoria le carte per rientrare nella prima categoria, specie dopo il finale di stagione giocato nel 2016 con il titolo nel giovanissimo torneo ATP250 di Chengdu conquistato ai danni di Alberto Ramos-Vinolas. Quello che è ancora in attesa di revisione per lui è una stagione interamente a livello ATP come l’attuale classifica gli permette e impone, se il 2016 è stato infatti per una buona metà anche fatto di Challenger, compreso quello vinto a Samarcanda, per mantenere posizione nel ranking e posto nella Race il ragazzone di Mosca dovrà farsi valere al livello superiore per tutta la stagione ed è ancora un’incognita per lui che battezzerà il 2017 a Doha, dove ad aspettarlo ci sarà una concorrenza come sempre nobile, costituita soprattutto dai primi due giocatori del pianeta.
Taylor Fritz (1997) – n.76 ATP
Un 2015 chiuso alle stelle e un 2016 iniziato con forza avevano acceso con forza i riflettori sul giovane di Santa Fe la cui combinazione di carnagione olivastra, servizio fulminante e dritto potente avevano scomodato facili paragoni con Pete Sampras oltre che la –pericolosa, pensando a quella di McEnroe verso Young- benedizione del medesimo. Eppure, dopo il trionfo nel challenger di Happy Valley, una battaglia al primo turno a Melbourne contro Jack Sock e la finale conquistata a Memphis e persa solo dal secondo (dopo Elvis) re della città Kei Nishikori, la stagione dello yankee più atteso è stata una lunga serie di piazzamenti validi per la sua crescita professionale e personale anche se un po’ meno brillanti di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. La forza dei fondamentali e la tranquillità apparente con cui gioca i punti importanti non sono ancora sufficienti a fare di Fritz un giocatore dominante, molto si capirà di lui in questo 2017 in cui potrà (e dovrà) portare a maturazione una serie di valutazioni sul proprio gioco e sul proprio modo di stare in campo che diranno un po’ meglio che tipo di giocatore si sta preparando ad arrivare. Inizierà la sua stagione da Happy Valley dove l’anno scorso aveva trovato il successo, una scelta tattica apprezzabile, con l’intenzione di giocare più partite in successione anziché rischiare eliminazioni troppo rapide in tornei di livello superiore (era iscritto anche come primo alternate a Brisbane). Bene partire così, ma servirà certamente più coraggio.
E secondo voi chi potrebbe conquistare il primo titolo Next Gen?
Daniil Medvedev (1996) – n.99 ATP
Tra i russi è forse quello più silenzioso, con meno hype da offrire ai famelici media in cerca di giovani da incoronare, eppure a oggi è il quinto under-21 e numero 99 del pianeta. Nel 2016 ha giocato praticamente a ogni livello, passando dai Futures (con un titolo vinto in Svizzera su carpet indoor a febbraio) agli ATP e persino a sfiorare il main draw di Wimbledon, perso solo al quarto set del turno decisivo di qualificazioni giocato contro Marcus Willis. In mezzo, anche la vittoria, a settembre, del challenger di St Remy nella splendida Provenza. Tennista, Medvedev, che si può riassumere prevalentemente nella grande efficacia del suo servizio ma sarebbe ingiusto limitarsi a inquadrarlo solo come bombardiere. È atteso anche lui al banco famelico delle conferme che inizierà, con un pizzico di sana sfacciataggine, a Chennai.
Hyeon Chung (1996) – n.104 ATP
Annata in ombra per il giovane coreano che aveva chiuso il 2015 a un passo dalla top-50 e il 2016 invece poco fuori dalla top-100. Un’involuzione silenziosa, perlopiù corrisposta a una difficoltà nel ripetere exploit che nella stagione precedente lo avevano portato molto in alto, quando aveva sorpreso con la sua grande solidità da fondo e la precisione dei suoi colpi, specialmente dal lato del rovescio. La stagione passata ha giocato a livello ATP con risultati assai magri fino al Roland Garros per poi tornare nella calda alcova dei Challenger dall’estate dove sono tornati piazzamenti e risultati con la vittoria a Taipei a settembre e a Kobe, in Giappone, a novembre. Con tutta probabilità partirà dal tabellone cadetto di Chennai e non è escluso un inizio di stagione di buon livello, sul cemento all’aperto si esprime da sempre al suo meglio.
Jared Donaldson (1996) – n.105 ATP
Il ragazzo del Rhode Island è tra i giovani americani e non solo quello che più “studia” e lavora su se stesso. Dopo una preparazione al mondo pro’ condotta sulla terra argentina per migliorare colpi e confidenza con una superficie tradizionalmente poco americana (a maggior ragione per uno che viene da uno stato così a nord come è il Rhode Island), ha iniziato un lavoro per migliorare colpi più yankee per poter aggiungere a repertorio una combinazione servizio-dritto che certo non è un peccato avere a repertorio. L’apice stagionale per Donaldson è stato certamente lo US Open giocato da qualificato fino al terzo turno dopo vittorie importanti su giocatori del calibro di Goffin e Troicki. Se avrà continuità di risultati a livello challenger e con più apparizioni solide (pur con meno exploit) a livelli più alti potrà dire la sua e guadagnarsi un posto per Milano che ne onorerebbe il posto, silenzioso, tra i migliori under-21 del momento. Il suo 2017 partirà dalle qualificazioni di Brisbane.
Frances Tiafoe (1998) – n.108 ATP
Se Donaldson è il più attento ai propri miglioramenti e con una cura certosina del perfettibile, Tiafoe si configura ancora una volta al suo totale opposto, estro purissimo e testardaggine conclamata nel ripetere imperfezioni ed errori del suo gioco non sempre all’altezza di ciò che i momenti di punta sembrano poter mostrare. Durante il 2016 è stato top-100 per il tempo di un sospiro dopo un paio di settimane ben azzeccate a livello challenger, ha chiuso la stagione assestandosi alla pur onorevole posizione n.108 e ora quello che ci si potrebbe aspettare è ancora una grossa incognita. Come Donaldson, dovrebbe esordire nel 2017 nel tabellone di quali di Brisbane e tanto –quasi tutto- sarà definito da quanto controllo avrà sulla profondità dei suoi colpi, mai come per Tiafoe il confine tra il trionfo e il tracollo equivale alla linea di fondo del campo avversario.
Stefan Kozlov (1998) – n.116 ATP
Il Messia a tinte USTA, il liberatore atteso del tennis americano, arrivato in California in pellegrinaggio da Skopje forte del suo timing istintivo e del suo gioco elegante continua a mancare appuntamenti e ormai la sua attesa non è diversa da quella proverbiale del beckettiano Godot. Chissà se Kozlov arriverà mai, chissà se sarà in grado di giocare una stagione sufficiente a valergli un posto alle ATP NextGen Finals di Milano. Cosa gli manca? Apparentemente nulla e al contempo tutto, a partire probabilmente da una maggiore consapevolezza reale dei propri mezzi e dalla libertà di poter sbagliare. Il 2016 è stato un anno sicuramente più energico dei precedenti, dopo il 2015 chiuso con la gioia effimera del primo trofeo (un insipido Futures bielorusso) la stagione appena trascorsa l’ha visto trionfare altre tre volte al livello più basso dei tornei professionistici e conquistare il suo primo –atteso fino all’esasperazione- Challenger sul cemento all’aperto di Columbus, Ohio. Il raggiungimento di una posizione a ridosso della top-100 gli permetterà di giocare tornei un po’ più ambiziosi, magari di lasciare definitivamente il circuito Futures e di tentare un salto di qualità che potrebbe fare bene al suo gioco e alla sua tranquillità. I segnali in questo senso sembrano esserci, con l’iscrizione fiera tra gli altri ragazzi americani, nelle qualificazioni dell’ATP 250 di Brisbane, vedremo se le proverbiali rose –stavolta- fioriranno davvero.
Ernesto Escobedo (1996) – n.141 ATP
Grande attesa anche per l’orgoglio dei latinos californiani Escobedo, uno dei talenti oggettivamente più validi di tutta la nidiata USTA per completezza, concretezza e capacità mentali. Superato in parte il problema con le finali, che stava già scatenando l’ironia degli appassionati nel nominarlo all’ingrato ruolo di futuro Benneteau, Escobedo in autunno ha portato a casa un bottino fatto di due tornei challenger non banali conquistati tra Cary, North Carolina, e la nativa Monterrey in Messico. Attualmente secondo alternate per il tabellone di qualificazioni a Brisbane, dove potrebbe raggiungere la già straordinariamente nutrita truppa a stelle e strisce, la speranza di quest’anno è vederlo giocare di più, vincere di più e affacciarsi più spesso sul circuito ATP dove non avrebbe nulla da invidiare a molti –ad oggi- scialbi frequentatori.
Duck-Hee Lee (1998) – n. 149 ATP
Amato dalla pletora di scadenti imitatori di Buffa perché un giocatore sordomuto si presta alle narrazioni metasportive come Emma Stone a un film diretto da Woody Allen, Lee è un giocatore che –fuori dalla retorica- potrà dire la sua nelle stagioni a venire costruendosi ranking e soddisfazioni. A meno di un exploit notevole durante la stagione, è tuttavia difficile che possa insidiare chi già gli sta davanti nella corsa per un posto a Milano, d’altronde Lee è un tennista che ancora deve dimostrare molto fuori dal livello Futures (dieci titoli nelle ultime tre stagioni) e fuori dall’Asia dove sono arrivate finora tutte le sue soddisfazioni. Questione di ambientamento, di confidenza con superfici diverse e di sfida a tennisti che esprimono un gioco di altro tipo rispetto a quello che conosce, tutte cose che non si guadagnano in un giorno. Se le cose andranno bene a Milano magari lo vedremo nel 2018. Per il momento gli appassionati del circuito Challenger lo aspettano a Noumea, in Nuova Caledonia, dove è atteso per l’inizio della stagione 2017.
Quentin Halys (1996) – n.153 ATP
Per età e per quanto mostrato nei suoi momenti migliori, ci saremmo aspettati di trovare Halys in una posizione di partenza migliore verso questo 2017 e verso le NextGen ATP Finals, ma il tennis non è decisamente una scienza esatta e i valori del giovane francese tardano a maturare nel modo in cui lui vorrebbe e potrebbe e nel modo in cui si attende da lui il pretenzioso pubblico francese. È vero, nel 2016 è arrivata la prima imposizione a livello Challenger, sulla terra verde di Tallahassee, arrivata qualche mese dopo il buon Australian Open degnamente difeso al secondo turno contro un certo Novak Djokovic, ma qualcosa poi non è girato come avrebbe dovuto e la stagione non ha assunto il cambio di passo che ci si aspettava né sulla terra né su quell’indoor che tanto gli è stato caro per molti versi negli anni passati. Partirà anche lui da Noumea dove sarà chiamato a dire la sua verosimilmente con una testa di serie e dal pacifico eventualmente si varrà la sua nobilitate.
Andrej Rublev (1997) – n.156 ATP
Non più tardi di due anni fa avremmo visto difficilmente Rublev così lontano da Alexander Zverev con i due ’97 accomunati da un talento cristallino quanto collerico, ma se il tedesco ce l’ha fatta eccome, il principino di Mosca fatica enormemente e la sua stella è ormai molto meno luminosa di quanto lo era un tempo, anche per via della concorrenza di altri giovani russi come Khachanov o il neo-kazako Bublik. Il 2016 di Rublev si è composto di tante –troppe- eliminazioni precoci in tornei nei quali avrebbe potuto dire di più e a poco sono valse la vittoria sulla terra di Quimper in primavera o la finale di chiusura di stagione a Moulleron Le Captif a novembre nel torneo indoor che l’ha visto perdere –ironia della sorte- da Julien Benneteau. Non è questo quello che ci si aspetta da lui e il sentore è che il treno dei migliori rischi di passare e lasciarlo sulla banchina. A meno che questo 2017 per lui non sia esplosivo e continuo allo stesso tempo, categorie che ahilui mal si associano, specie sotto al suo nome.
Elias Ymer (1996) – n.160 ATP
Vivendo con il sottile dubbio di essere dei due fratelli quello meno bravo, il grande di casa Ymer ha costruito una stagione prevalentemente giocata a livello Challenger con pochi acuti rilevanti e una sola soddisfazione con la vittoria a Barletta che conferma il feeling dell’etiope di Svezia con la terra rossa italiana dopo il trofeo portato a casa lo scorso anno a Caltanissetta. Rispetto al 2015 è mancata a Ymer la vena (e la scelta) di giocare al meglio le qualificazioni dei tornei del grande slam che l’anno passato gli aveva garantito risultati e punti. Nonostante il suo gioco sia ancora piuttosto monotematico e rubi poco l’occhio, una stagione giocata almeno ai livelli di quella del 2015 potrebbe garantirgli buoni risultati e magari un posto tra gli “eletti” per Milano. Al netto dell’attuale classifica ha qualche possibilità in più di chi lo precede.
Michael Mmoh (1998) – n. 197 ATP
L’americano di origine saudita ha chiuso il 2016 in uno stato di ottima forma come dimostrano la vittoria nel challenger di Knoxville e i quarti di finale in quello di Champaign. Dopo una stagione passata tra Futures e Challenger –per l’appunto- è verosimile che sia nel circuito cadetto del mondo ATP il cuore della sua stagione, magari con qualche puntata fra i grandi. Improbabile vederlo scalare tra i papabili per Milano ma le premesse della sua crescita ci sono tutte, a partire da Happy Valley dove spera di entrare, attualmente primo alternate in attesa d’autore.
Noah Rubin (1996) – n.200 ATP
Dopo l’anno in freezer per la scelta di frequentare il college e giocare NCAA forse dal newyorkese Rubin ci si aspettava qualcosa di più, ma una stagione che trova la sua punta nella finale di Stockhton, challenger californiano di ottobre, evidentemente non può essere soddisfacente. A volte l’impressione è che il tennis non sia una priorità assoluta nei pensieri di Rubin, meritoriamente concentrato (anche) su altre cose. In ogni caso dovremmo vederlo ai nastri di partenza a Noumea, in attesa di capire cosa ne sarà della sua stagione ora che è venuto il momento di capire se si vuole fare sul serio o trovare un’altra strada.
Quelli ancora troppo lontani ma che potrebbero crescere molto.
Fuori dalla top-200, scelto come limite di comodo per individuare i potenziali partecipanti alle NextGen ATP Finals, si muovono diversi giovani interessanti, alcuni già esplosi sulle grandi scene, altri ancora lungo la strada. I punti che potranno raccogliere, nei tornei che il ranking concede loro, probabilmente non basteranno a concorrere per la road to Milan, ma è interessante immaginarne gli sviluppi. Primo, per classifica, di questa carrellata è certamente il dinoccolato uomo degli exploit Reilly Opelka (1997, n.204 ATP), tennista che fatica nei Futures ma capace di esplosioni occasionali capaci di regalargli risultati come la semifinale nell’ATP di Atlanta persa da Long John Isner e la vittoria nel Challenger di Charlottesville. I dubbi sul suo gioco restano, ma le doti fisiche e al servizio quando sposano la settimana giusta possono regalargli ancora risultati in futuro. In zona anche il fresco kazako Aleksandr Bublik (1997, n.205 ATP) che aveva emozionato il suo (allora) pubblico di casa a Mosca nel locale ATP250 arrivando ai quarti di finale e il giapponese di scuola aussie Akira Santillan (1997, n.208 ATP). Un po’ più distante, ma più “anziano” e più credibile, il greco Stefanos Tsitsipas (1998, n.210) chiamato al definitivo salto di qualità dopo una stagione di troppo giocata a metà tra juniores e pro’ seguito a strettissimo giro dal diamante grezzo cileno Christian Garìn (1996 n. 211). Merito di menzione anche per il canadese Shapovalov (1999, n.253 ATP), il cui talento purissimo è stato apprezzato anche dai più grandi nella memorabile vittoria su Kyrgios all’ultima Rogers Cup.
Gli italiani in odore di wild card.
Come detto all’inizio, la concessione della wild-card sembra essere un gioco a tre gestito da FIT, CONI e ATP e se sembra facile immaginare una comunione di intenti da orgoglio nazionale tra i primi due enti dell’assemblea, altrettanto facile che l’ATP proverà a spingere su un nome spendibile a livello di competitività con gli altri sette partecipanti. Se valesse la classifica ATP di oggi, i sette tennisti qualificati sarebbero tutti in orbita top-100 mentre il primo degli azzurri a oggi sarebbe Gianluigi Quinzi, attuale 289 al mondo e -a onor del vero- lontano dal livello prospettato, perlomeno stando alle ultime annate.
Esclusi per criteri anagrafici giocatori in buono (se non ottimo) stato di forma complessivo come Napolitano e Sonego, per non parlare di Matteo Donati, restano per l’appunto Quinzi –che ha chiuso la stagione con la vittoria del Futures indoor di Oslo a novembre- o il romano Matteo Berrettini –classe ’96 e 433 ATP-  reduce dalla favolosa galoppata ad Andria e dal titolo quasi conteso al ben più esperto Lucone Vanni. Più defilato il classe ’97 Andrea Pellegrino che ha giocato un 2016 pieno di splendidi segnali ma ha ancora troppo da dimostrare per appartenere alla schiera degli eletti della NextGen che a Milano vorranno provare a sbocciare e dimostrare che il tempo delle promesse per loro è finito e che quello della riscossione è alle porte.

Leggi anche:

    None Found