Speciale “40 anni di Atp” – Il doppio


di Sergio Pastena
E arriviamo all’ultima puntata del nostro viaggio dedicato all’Atp in occasione del quarantesimo anno di attività dell’associazione. Dopo aver parlato della distribuzione dei tornei e dei risultati in singolare prima negli Atp 250/500 e poi negli Atp 100 e negli Slam, oggi è il momento di parlare del doppio.
Nessuno si aspetti un de profundis della specialità: è abbastanza chiaro, con buona pace degli organizzatori che risparmierebbero volentieri sulle spese, il fatto che il doppio sia ancora vivo e andrà avanti. A dirla tutta, anzi, ci sono stati tempi peggiori. Una prima valutazione si può fare, ad esempio comparando le classifiche di doppio e singolare. Nel 1985 quasi tutta la Top Ten del singolare giocava regolarmente il doppio: McEnroe, Lendl, Wilander, Gomez, Jarryd, Cash, Teltscher, Noah. Mancavano Connors, che però all’epoca aveva 33 anni e cominciava a gestirsi ma in passato era stato un gran doppista, e Sundstrom, l’unico tra loro a giocare quasi soltanto il singolare. Ben 54 giocatori erano presenti in tutte e due le Top 100. Nel 1990 erano ancora 43 i giocatori in entrambi le graduatorie e, tra questi, c’erano Becker, Edberg e John McEnroe, comunque il gotha del tennis mondiale. Nel 1995 la quota scende a 33 ma tra i pezzi da novanta c’erano ancora Edberg, Courier e Kafelnikov. Nel 2000 forse il punto più basso: solo 20 giocatori presenti in entrambi i ranking, anche se tra gli habituè del doppio c’erano ancora top players del calibro di Kafelnikov, Kuerten e Lapentti. Nel 2005 la quota risale a 31 ma la qualità si abbassa drasticamente: l’unico Top Ten a praticare assiduamente entrambe le specialità era Gaston Gaudio. Infine, nel 2010, troviamo 29 giocatori: ci sono Roddick, Verdasco e Tsonga, ma in posizioni di rincalzo. A conti fatti, al giorno d’oggi, la figura del giocatore polivalente è quasi totalmente scomparsa: un esempio può essere Jurgen Melzer, l’unico attualmente presente in entrambe le Top Ten di specialità, ma il doppio è profondamente cambiato.
Una prima analisi può portare a delineare un quadro storico: all’inizio degli anni ’90, con l’avvento dell’Atp Tour, ha cominciato a mettersi in moto un meccanismo che ha portato i primi della classe a risparmiarsi. In precedenza era perfettamente naturale giocare singolare e doppio, dopo lo è stato sempre di meno. Alla fine degli anni ’90 si è toccato il fondo ed è facile capirlo osservando i campioni dell’epoca: Agassi non ha quasi mai giocato in doppio, Sampras ha fatto qualche torneo da giovane con buoni risultati (vinse gli Internazionali con Courier nel 1989) ma quando ha cominciato a fare sul serio si è concentrato sul singolare. Al giorno d’oggi i big si dedicano al doppio solo per motivi particolari: ad esempio per giocare (e vincere) le Olimpiadi come Federer e Wawrinka, per riabituarsi al campo dopo un infortunio e per concedere al pubblico qualche momento di showtime. Le conseguenze sono facili da intuire: Djokovic e Nadal mettono su il Dream Team e vengono sbattuti fuori al primo turno a Toronto dalla coppia di casa Pospisil-Raonic, ovvero un discreto doppista e un bombardiere (per inciso: lo scrivente, all’epoca, non credeva minimamente nella sorpresa: si è dovuto ricredere).
In compenso, nel corso degli anni, è emersa in maniera sempre più prepotente la figura dello specialista del doppio, anche se rispetto al passato è cambiata. Abbiamo ancora casi come quello dei gemelli Bryan, doppisti fino al midollo, ma sono sempre di più i (furbi) singolaristi che, piuttosto che accontentarsi di un futuro senza mai entrare nei Top 50 del singolo e al limite vincendo un torneo, preferiscono diventare protagonisti di una specialità che mette comunque in palio il 20% dei montepremi ed è decisamente più “sguarnita” rispetto al singolare. Esistono però ancora nazioni che nel doppio reggono grazie alla presenza di una certa tradizione nella specialità, ma per capire meglio la situazione andiamo a vedere la classifica a punti. Specifichiamo che abbiamo considerato solo le coppie finaliste (quindi risultati “di qualità” a prescindere) pesando ovviamente i risultati a seconda del prestigio del torneo.

La prima cosa che salta agli occhi è il primato del tennis a stelle e strisce che, grazie al boom dei gemelli Bryan, si è trasformato in autentico dominio negli ultimi anni. Sarebbe riduttivo però dare il merito solo ai Bryan Bros: gli Usa hanno sempre prodotto ottimi doppisti a parte dai tempi di Leach e Pugh e si può tranquillamente parlare di una vera e propria scuola di specialità. Quella che c’era anche in Australia: negli anni ’90 imperavano i “woodies”, ma gli australiani avevano una decina di top ten di buon livello e contendevano il primato di specialità agli americani. La crisi del movimento, però, ha fatto sprofondare i canguri al nono posto negli ultimi anni. Parlando dell’altro movimento in crisi, quello svedese, è da notare come abbia retto, anche se si tratta di un dato da prendere con le molle: è vero che la Svezia, nonostante il comparto del singolare sia inesistente, continua a produrre discreti doppisti (Aspelin, Lindstedt, Brunstrom) ma sul quarto posto del periodo 2005-2010 pesano molto anche gli ultimi anni di attività di Bjorkman, polivalente mica da ridere.
Nazioni protagoniste del singolare come Francia, Spagna, Germania, Argentina e Russia sembrano un po’ snobbare il doppio, anche se i francesi negli ultimi anni hanno fatto bene grazie a un doppista di livello come Llodra, che ha tirato giù tre Slam in coppia prima con Santoro e poi con Clement. In compenso possiamo trovare tante nazioni che non ci si aspetterebbe, almeno visti i risultati del singolare. Sull’India poco da dire: dai tempi di Vijay Amritraj hanno sempre prodotto buoni doppisti. Si sono presi una pausa all’inizio degli anni ’90 ma poi son venuti fuori prima Ramesh Krishnan, poi i fenomeni Paes e Bhupathi e, infine, oggi Rohan Bopanna che si candida per raccogliere l’eredità dei connazionali con l’Indo-Pak Express che ha formato con Qureshi. Punte di eccellenza di un movimento che comunque ha sempre potuto contare su buone seconde linee (si pensi a Prakash Amritraj o Mustapha Ghouse, entrambi con discreti risultati Atp all’attivo). Grazie alla sua scuola l’India è costantemente nei primi 10 da quindici anni.
Altre sorprese più solide di quel che si pensi sono lo Zimbabwe e le Bahamas, e a prima vista l’appassionato di tennis potrebbe dire “Vabbè, i fratelli Black e Mark Knowles”. In realtà non è proprio così. Lo Zimbabwe risente della vicinanza con la Repubblica Sudafricana, altra scuola fortissima nei primi anni ’90 e oggi praticamente scomparsa (è rimasto solo Wesley Moodie). Certo, il grosso dei risultati viene da Byron e Wayne Black, capaci di completare il career slam, ma se lo Zimbabwe è rimasto tra i 15 anche negli ultimi anni lo si deve ad un certo Kevin Ullyett, due titoli di Slam all’attivo e finale a Wimbledon nel 2008. Dopo Ullyett il nulla? Chissà. Il giovane Garanganga, ritenuto da anni un prospetto interessante, ha iniziato il 2011 vincendo il suo primo Future di doppio: ha circa la metà degli anni di Ullyett, quindi meglio restare prudenti prima di sparare sentenze. Stesso discorso per i bahamensi, che ogni tanto riescono a tirar fuori qualcosa dal cilindro come molti stati caraibici (si pensi a Rojer delle Antille Olandesi): Knowles, ex numero 1 del doppio, è il grande protagonista, ma comprimari come Roger Smith e Mark Merklein hanno messo assieme una decina di titoli Atp, roba mica da ridere. Certo, se già produci pochi giocatori e quando ti esce fuori un Ryan Sweeting decide di andare a giocare per gli Usa, allora diventa dura…
Diverso il discorso per nazioni come Israele, Polonia e Bielorussia. In questo caso davvero si possono far coincidere i risultati delle nazioni con dei casi isolati come quelli di Ram-Erlich, Fyrstenberg-Matkowski (ma anche Kubot) e Max Mirnyi: non a caso manca una certa continuità di risultati negli anni. L’Italia, e la cosa non vi stupirà, non vanta grandissime tradizioni nel doppio maschile, tant’è che ancora in Davis stentiamo a trovare un doppio “stabile”. Tra i nostri specialisti troviamo Daniele Bracciali, un ex singolarista che col doppio si è allungato la carriera, e Alessandro Motti, ex Top 100 di specialità, forse l’ultimo nostro doppista “puro”.

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