Marrakesch’s Corner


(Fabio Colangelo – Foto Nizegorodcew)

di Fabio Colangelo

Nel circuito challenger accade spesso che la “fortuna” del torneo sia dovuta più alla collocazione spazio-temporale nel calendario che dal montepremi. Il recente challenger di Dallas per esempio, che si trova a cavallo tra Indian Wells e Miami, ha avuto un cut off al livello di tanti Atp 250. Un torneo con lo stesso prize money, posizionato in una settimana in cui si giocano 2-3 eventi del circuito, potrà avere al via, con un pò di fortuna, su due-tre top 100 (in Texas erano quasi 20).

E’ cosi quindi che i challenger marocchini di Marzo vantano sempre un campo di partecipazione più che buono per dei tornei da 35000$.Durante le qualificazioni, sui campi del RTCMA (Royal Tennis Club de Marrakech) vedevi allenarsi Hanescu, Mathieu, Gimeno…gente che difficilmente frequenta tornei con questo prize money. Quello che però richiamava l’attenzione, e del quale si discuteva con Alessio Di Mauro (uno che il circuito lo ha vissuto per anni con ottimi risultati), era il livello medio dei giocatori impegnati nelle qualificazioni e nel circuito in generale: la qualità di gioco si è alzata notevolmente, trovare punti deboli eclatanti sotto il profilo tecnico-fisico ai propri avversari è diventato molto difficile. Servono tutti molto bene (purtroppo meglio degli italiani e anche degli spagnoli oserei dire), colpiscono forte da fondocampo con entrambi i fondamentali e sono ben preparati atleticamente. Se non si hanno delle qualità tecniche fuori dalla media come quelle del francese già numero 12 del mondo Mathieu, l’unico che dava l’impressione in questi giorni di colpire la palla in modo “diverso”, si evince che emergere è diventato ancora più difficile che in passato. (Nella foto a sinistra: Alberto Brizzi e Fabio Colangelo a Marrakech)

Ora un “servizio bomba” o delle gambe degne di Gebresilassie non bastano per potersi ritagliare uno spazio nel tennis che conta. Nessuna scoperta sensazionale è vero, non è da ieri che il tennis viaggia verso questa direzione. Quello che ci si chiede è: fino a dove ci si può spingere? Che le qualità psicologiche avranno un peso ancora maggiore di quanto non lo abbiano ora pare quasi scontato. La capacità di concentrazione, di leggere le situazioni di gioco e di mantenere il sangue freddo nei momenti importanti sono qualità si allenabili ma più naturali, e pertanto influiranno notevolmente sull’ascesa di determinati giocatori piuttosto che altri. Può succedere però che a furia di correre e tirare sempre più forte (le finali degli ultimi due Slam ne sono la dimostrazione) si arrivi ad un punto di rottura che porti a qualche cambiamento.

E’ possibile fare di più di quello che hanno fatto Djokovic e Nadal a Melbourne? A pensarci bene, in molti non credevano fosse possibile neanche arrivare a quei livelli. La soluzione più logica sarebbe quella di tornare leggermente indietro nel tempo per quanto riguarda le superfici di gioco. Si decise di uniformarle il più possibile per evitare le eccessive specializzazioni e per non avere match dove si vedevano solo ace o servizi vincenti. Questo problema sarebbe superato grazie alle palline che sono indubbiamente più lente di un tempo, e ai nuovi attrezzi che aiutano enormemente il ribattitore. Campi più rapidi obbligherebbero i giocatori a cercare soluzioni tecniche differenti e renderebbero più vario il gioco. In parole povere si tornerebbe a cercare la rete con più frequenza (magari non come faceva Rafter) in modo che anche gli amanti del gioco attuale potrebbero apprezzare talvolta qualcosa di diverso. Una delle bellezze e delle particolarità del tennis è che è uno sport in cui la tecnica ha ancora un peso. Purtroppo questo peso è sempre meno rilevante e sarebbe veramente un peccato perdere questa peculiarità.

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