Due etti di cotto e un passaporto, grazie

Aljaz Bedene
di Sergio Pastena

Business is business, baby”.

Con queste quattro parole si potrebbe rispondere alla maggior parte delle domande esistenziali che si pongono gli appassionati di tennis che fanno parte della categoria degli idealisti, compresa la sempreverde “Perché il giocatore X non viene sempre in Davis?”. Molto banalmente, al riguardo, credo che abbiano ragione le persone pragmatiche.

Innanzi tutto essere patriottici non è un obbligo, ma oltre a quello c’è da considerare la peculiarità che il tennis condivide con pochi altri sport, ovvero quella di avere giocatori che al tempo stesso sono a tutti gli effetti dei liberi professionisti. Nel calcio, ad esempio, se gioco tre o quattro partite male lo stipendio continuo a prenderlo e non è che mi licenzino per quello. E anche in molti sport individuali, come l’atletica, c’è sempre la possibilità che io faccia parte di un corpo d’armata: in quel caso anche se vado impippando come atleta il massimo rischio che corro non è di perdere lo stipendio ma di tornare a montare la guardia.

Premesso ciò, però, di fronte a casi come quello di Aljaz Bedene, tennista sloveno scopertosi improvvisamente così British da cambiare nazione, qualche dubbio me lo pongo anche io. Potrei chiamarlo il “Dilemma di Badoo”.

Apro una parentesi.

Anno 2012, casa di amici. Ragazza abituata a bazzicare i siti di social dating si lamenta di come gli uomini siano tutti maiali. Il sottoscritto ascolta mezz’ora e poi, alla frase “Ma perché su Badoo ci va certa gente?” risponde “Per scopare. Su Badoo ci si va per scopare e se la gente ci va per scopare non è che deve sentirsi i tuoi giudizi sprezzanti. Lo sanno pure i sassi a cosa serve quel sito, quindi non puoi lamentarti se ci trovi i maniaci. Se vado a cercare la compagna della mia vita in uno strip club e poi me ne esco che le donne son tutte mignotte, tu come la prendi?”.

Parentesi chiusa.

Bedene è quello a destra. Come, non lo vedete?
Bedene è quello a destra. Come, non lo vedete?

Quello che intendo dire è che il tennis è 99,9% business già oggi ed è giusto così: se costringiamo un tennista ad andare in Davis e la cosa gli condiziona la stagione, i soldi che perde non è che glieli ridanno le Federazioni. Tuttavia credo che sarebbe molto gentile lasciare ai “duri e puri” quello 0,1% che al momento è rappresentato dallo spirito patriottico di Davis/Fed Cup e dalle Olimpiadi. Intendiamoci, so benissimo che se Djokovic domani mattina scoprisse di avere un bisnonno di Sasso Marconi, ottenesse una deroga e giocasse per noi in Davis, esulteremmo tutti per il novello e italianissimo Novacco Giocovici, ma l’opportunismo di facciata possiamo lasciarlo fuori.

Personalmente credo che il sistema migliore, in questo senso, ce l’abbia il tanto bistrattato calcio. Tradotto: fossi chi di dovere, la mia risposta a Bedene sarebbe grosso modo “Dove hai fatto Pasqua fai pure Natale, mi spiace”. In teoria proprio questo le regole prevedono (alleluja!), anche se alcuni stan tentando di bypassarle con scuse tipo “Eh, ma la cittadinanza francese l’ho richiesta nel 1789 dopo aver assaltato la Bastiglia”.

Eccezioni? Qualcuna in realtà sarebbe ragionevole e qui si torna al calcio, dove se hai giocato con l’Under 16 di un paese comunque puoi scegliere un’altra nazionale.

Prima eccezione: motivi anagrafici. Se un tennista portoricano/americano viene convocato da Porto Rico a 14 anni perché il secondo miglior tennista dell’isola gioca con una padella, lui magari accetta pensando “Che bello, gioco contro il Kisandostan” ma non ha ancora la possibilità di capire dove andrà a finire la sua carriera. Se poi diventa un fenomeno, fare leva su quel singolare giocato nello spareggio interzonale del Gruppo III per negargli la Davis è pura crudeltà. Vale anche l’inverso: se sei un golden boy, ti chiamano gli Usa per “blindarti” facendoti giocare il quarto singolare di un incontro già vinto e poi la tua carriera si rivela inferiore alle attese, non credo sia malvagio consentirti di accettare una convocazione portoricana. Non fai danno a nessuno, vai a giocare contro le Isole Vergini e tra un incontro e un drink, magari, ti diverti e vedi se riesci a renderle un po’ meno vergini. Chissene…

Seconda eccezione: motivi politici. Se sono un curdo che gioca per l’Iraq e all’improvviso arriva Saddam Hussein e gasa il mio popolo, magari un po’ di comprensione la merito se chiedo di indossare un’altra maglia, no?

Terza eccezione: motivi geografici. Rojer giocava per le Antille Olandesi, le Antille Olandesi non esistono più, se gioca per l’Olanda non mi offendo.

Poi basta.

 "A morè, ciòppure na coppa devisse che è na delizzia"
“A morè, ciòppure na coppa devisse che è na delizzia”

Lasciamo la Davis ai romantici, signori, lasciamogli almeno quella. Già devono sorbirsi il Kazakistan che fa shopping da “Tutto a 1 Rublo” e prende un set completo di giocatori da World Group, se aggiungiamo al mazzo pure gli sloveni di Piccadilly Circus sti benedetti ragazzi li umiliamo.

Che dite, ce la facciamo?

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