Giocare al Foro sognando il Foro: grazie ragazzi, gli Internazionali siete voi

E se qualcuno mi facesse la fatidica domanda ‘Ernesto, ne è valsa la pena?’, io risponderei ‘Ne è valsa la pena. Ne è valsa veramente la pena’”.

La sveglia presto, il traffico dell’Olimpica, il parcheggio nelle strisce blu a due km dall’ingresso, le corse dal Pietrangeli al campo 2, la birra-e-porchetta a pranzo alle 15, i pezzi consegnati sul filo della scadenza, i tweet scritti controsole a 34 gradi centigradi. E ci fermiamo qui, ma la lista potrebbe occuparne un paio di quegli schermi verticali dai quali leggete queste righe scritte in boxer e ciabatte ma con ancora al collo l’accredito e sul petto la scritta verde e bianca sportface.it. Perché è stata dura, ma per citare un’icona della storia cinematografica e non solo di Roma, ne è valsa veramente la pena.

Sono finite le prequalificazioni degli Internazionali BNL d’Italia, finalmente tornate a casa, ovvero al Foro Italico, dopo l’edizione saltata causa pandemia nel 2020 e quella ridotta disputata a Tirrenia e a Formia nel 2021. Un’edizione per questo più attesa di altre, perché magari non tutti se ne sono accorti ma alcuni dei talenti più cristallini del nostro tennis hanno saltato tappe importanti del percorso che li potrebbe portare al vertice del circuito mondiale. E quindi il tempo bisogna recuperarlo, le esperienze bisogna riprenderle per i capelli, l’altalena bisogna riportarla al ritmo che ognuno ed ognuna, soggettivamente, riesce a gestire per vivere il viaggio nel migliore dei modi.

Le prequali sono un torneo straordinario perché concentrano sul palcoscenico più prestigioso del nostro Paese la quasi totalità delle promesse più talentuose d’Italia, minacciate (e a volte sconfitte) da vecchie volpi che il Foro lo conoscono bene e da ragazzi e ragazze che con il Foro hanno poco a che fare ma che un giorno racconteranno ai rispettivi nipotini “Lo vedi quel campo in televisione? Una volta ci ho giocato anch’io?”. Il teatro dei sogni diventa l’arena del concreto, mettendo a nudo fragilità, carenze e paure di atleti all’apparenza già formati, ma anche esaltando personalità e coraggio di giovani e meno giovani capaci di domare meglio di altri emozioni inevitabili. Una settimana l’anno, una maledetta settimana l’anno che sa diventare memorabile o devastante, gloriosa o tragica (sempre sportivamente parlando, ma spesso anche qualcosa in più).

Eleonora Alvisi, Lisa Pigato, Claudia Giovine ed Anastasia Grymalska - Foto Adelchi Fioriti
Eleonora Alvisi, Lisa Pigato, Claudia Giovine ed Anastasia Grymalska – Foto Adelchi Fioriti

L’occasione è ghiotta: battere avversari sprovvisti di una classifica molto alta (che altrimenti sarebbero di diritto nel tabellone principale o in qualificazioni) per conquistare una wild card per il torneo “vero”, in cui poter affrontare leggende quali Nadal e Djokovic o campionesse quali Swiatek, Muguruza e Azarenka. Con la spinta del pubblico azzurro dalla propria parte.

Piuttosto semplice a dirsi, molto complicato da realizzare. Perché quando metti il primo piede dentro il villaggio con le statue nude realizzi di essere entrato nel tempio in cui per tutta la tua giovinezza hai ammirato battagliare i tuoi eroi, ma quando metti il secondo ti trovi davanti il tuo compagno di allenamento, l’amico e rivale dei tornei under 12, la ragazza di cui temi di essere innamorato da qualche anno, l’ex allievo del tuo maestro e quello che avrai al tuo fianco in doppio ma non vorresti mai trovarti dalla parte opposta della rete. È il torneo sociale più affascinante d’Italia.

Per questo, al di là dei risultati, queste resteranno per sempre le prequali degli autografi di Gianmarco Ferrari e del “profilo preferito” di Lisa Pigato, della voce tremolante di Francesco Passaro e delle lacrime sincere di Stefania Rubini. Queste resteranno le prequali di “E io le foto dove le trovo?” di Francesco Forti e dell’intervista saltata a Melania Delai, di nonno Romano di Matteo Gigante e della bacchetta per fare stretching e riflettere di Deborah Chiesa. Vi garantisco che resteranno le prequali dei soprannomi di Giulio Zeppieri incappucciato, del passeggino di Anastasia Grymalska, dell’interismo viscerale di Federico Arnaboldi, del tendine d’Achille quasi saltato a fine intervista a Martina Spigarelli, del 4 di bastoni sul tappetino a fine giornata di Luca Potenza e delle esultanze multilinguistiche di Angelica Raggi. Saranno anche un po’ le prequali del giro di boa di noi classe 1995: il giocatore Antonio Massara, il maestro Camillo Lucchese, l’arbitro Matteo Polimanti, la giocatrice Miriana Tona e quello in boxer e ciabatte di cui sopra che per starvi appresso dalla mattina alla sera si è ustionato braccia e collo. Ma di quell’annata di ferro non dimentico certo Daniele Capecchi e Gianluca Di Nicola, che faccio fatica a guardare dall’altra parte della barricata dopo tutte le avventure condivise da junior. E queste resteranno le prequali, dicevamo, della cyclette di Giovanni Fonio e dei libri di Claudia Giovine, del “compare” Gabriele Piraino, del biliardo di Eleonora Alvisi, del padel di Luca Nardi e degli scherzi telefonici di Nuria Brancaccio. E poi voi non lo sapete, ma sei giorni prima di diventare l’idolo del Pietrangeli un giovane magrolino arrivato da Sanremo entrava per la prima volta nella sua vita al Foro Italico e, con espressione dubbiosa quanto ingenua, mi toccava la spalla “Ma quello è il Pietrangeli?”. Lunga vita alle prequali e ai colori differenti dell’animo dei suoi interpreti.

Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso. E ognuno in fondo perso dentro i cazzi suoi”.

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