Aisam Qureshi: “Dalla mia carriera ho imparato a non mollare mai”

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di Daniele Sforza

Siamo in Asia, precisamente in Pakistan, il paese con capitale Islamabad e situato in una posizione non certo positiva se si pensa ai conflitti con i paesi confinanti quali Afghanistan e India. Il paese dove lo sport più importante è il cricket ha visto crearsi una tradizione tennistica grazie alla figura di Aisam Qureshi, tennista che ormai si può considerare una leggenda nella sua nazione. Aisam, classe 1980, ha avuto una carriera fantastica. Vicinissimo ad entrare nella top 100 in singolare (best ranking al numero 125), ha conquistato il main draw di uno Slam (Wimbledon, dove vinse anche il primo turno prima di fermarsi contro Marat Safin, non un tennista qualunque), ha portato per la prima volta nella storia la sua nazione ai playoff per il World Group e ha raggiunto due finali Slam (doppio e doppio misto) nello stesso torneo (Us Open del 2010). Ci ha quindi raccontato tutta la carriera, dagli inizi alla scelta di lasciare il singolare per concentrarsi sul doppio, in cui ha giocato anche le Finals, mentre ora è n.38 del ranking di questa specialità.

Quando hai preso per la prima volta in mano la racchetta?

Ho iniziato a giocare a tennis all’età di 14 anni, grazie a mia madre che è stata una anche lei una tennista e a mia nonna che è stata per 10 anni (fino al 1947) campionessa nazionale. Il tennis quindi era uno sport di famiglia ed era anche nel mio dna. Prima di iniziare a giocare a tennis ero un nuotatore, sono stato il migliore in questo sport nella mia scuola per 5 anni consecutivi poi, quando avevo tempo, partecipavo a qualsiasi sport, cricket, hockey, football, badminton, ping pong e tanti altri. Iniziato il tennis, non ho più smesso…

Quanto è stato complicato cominciare a giocare a tennis in Pakistan?

Si, è stato difficile giocare a tennis in Pakistan per diverse ragioni: non avevo il supporto del governo, della federazione. Sono stato fortunato ad avere il sostegno della mia famiglia che mi ha finanziato avendo fiducia in me. All’età di 17 anni sono anche stato sponsorizzato per due anni dall’Itf, che mi ha anche inserito nella sua squadra, esperienza che mi ha aiutato per tutta la mia carriera. Senza di loro sicuramente non avrei preso la decisione di diventare un tennista professionista e posso dire che ancora oggi è arduo per un pakistano giocare a tennis poiché non si hanno opportunità, infrastrutture e aiuti dalla federazione.

Hai una carriera decennale, ricca di successi. Quanto è cambiato nel corso degli anni il tennis?

Il tennis è cambiato tantissimo nel corso di questi anni. Ricordo 10 anni fa quando il gioco era basato su diverse caratteristiche: buon gioco a rete, servizi forti e buon tocco in qualsiasi posizione del campo. Ora invece sento che sta diventando più uno sport fisico, questo fattore sta diventando più importante del talento. I campi stanno diventando sempre più lenti, le palline sono più pesanti e questi sono i motivi per cui il tennis sta diventando sempre più fisico e tennisti come Djokovic, Nadal, Murray con l’eccezione di Federer che sono atleti fantastici li vedi giocare, arrivare a 4, 5 set e giocare sempre nello stesso modo. È un peccato che stia scomparendo il “serve&volley” perché era sempre bello vedere questo stile di gioco poiché vedevi partite “diverse” mentre ora sembra quasi che il 90% dei giocatori giochi allo stesso modo, tirando la pallina in campo da fondocampo. Per questo motivo spero che cambi nuovamente la situazione, con campi più veloci, facendo tornare quello stile che contraddistingueva la generazione di 20 anni fa.

Qual è il tuo più bel ricordo, in singolo e in doppio, nella tua carriera?

Sicuramente il mio più bel ricordo in singolare è stata la qualificazione a Wimbledon, perché era sempre stato un mio sogno giocare in un main draw di uno Slam. Poi sull’erba di Wimbledon, la mia superficie preferita, è stato ancora più emozionante.  Qualificarmi e vincere anche un match di primo turno è stata una bellissima sensazione. È stato un peccato aver finito subito la carriera da singolarista, ma come ti ho detto in Pakistan non c’era un supporto economico per il sottoscritto. Così quando con la finale degli Us Open il mio ranking di doppio è arrivato alla top 20, dovevo giocare ovviamente i tornei più importanti (Slam, Master Series…) e, non potendo giocare quei tornei con il mio ranking di singolare, ho deciso di smettere e concentrarmi sul doppio. C’è un po’ di rimpianto perché ero davvero vicino a raggiungere la top 100 in singolare però sono felice così, la vita va avanti e sono contento per la scelta presa.

Hai giocato tantissimi match con la maglia della tua nazione e hai portato a questa squadra tantissimi successi. Impossibile non dimenticare quando nel 2005 siete arrivati a giocarvi i playoff per salire nel World Group I… hai qualche rimpianto?

Sicuramente il match del 2005 con il Cile è stato veramente difficile per noi ma penso lo fosse per chiunque. Andare a vincere in Cile con Gonzalez e Massu che poi avevano vinto medaglie alle Olimpiadi e giocavano quel tennis favoloso era veramente un compito arduo. Aggiungi il fatto che ovviamente ospitandoci scelsero come superficie la terra battuta, puoi ben capire come ci fossero 0 chance per noi. Probabilmente giocando su erba c’era qualche possibilità di vincere ma in ogni caso ero felice per aver portato per la prima volta il Pakistan ai playoff per il World Group. È stata una grande occasione per noi, mi sono sentito fiero di me, della mia squadra, con cui abbiamo eliminato Thailandia e Taipei che erano teste di serie nel nostro gruppo. Un peccato per il sorteggio finale, magari con un’altra squadra potevamo creare un altro pezzo di storia per la nostra nazione…

Come hai già detto, hai giocato la finale di doppio e doppio misto agli Us Open nel 2010. Che ricordi hai di questi match?

Le finali agli Us Open (in doppio e doppio misto) hanno cambiato completamente la mia vita. Il mio sogno era di diventare il miglior tennista del paese e dopo queste finali, tornando a casa, il popolo ha capito che c’era un tennista della sua nazione che otteneva ottimi risultati nel tennis. Arrivato a casa era come se avessi vinto gli Us Open. Ho un po’ di rimpianti per la finale di doppio, che è stata decisa su pochissimi punti (7-6 7-6) e abbiamo avuto diverse chance contro i fratelli Bryan. Purtroppo è andata così ma proverò ancora a raggiungere questo traguardo.

Hai creato insieme a Rohan Bopanna, con cui hai giocato il doppio per un anno, la fondazione “stop war, start tennis” per combattere la guerra tra India e Pakistan. Puoi dirmi qualcosa a riguardo di quest’idea? Come è nata?

Non era basato solo su Pakistan e India. L’idea era quella di promuovere amicizia, sportività e fratellanza in tutti gli sport di squadra come football, cricket… Questo è quello che abbiamo provato a fare con Bopanna e il nome è stato scelto dal mio coach (Robert Davis) per diffondere al meglio questo messaggio di pace, amicizia e amore dando importanza al fatto di non giudicare le persone dal colore della pelle, dal paese da cui vengono. È una cosa che mi è piaciuta tantissimo soprattutto perché alla fine il mio motto è proprio questo, quello di non giudicare nessuno dal colore della pelle o dal paese di origine ed questo è quello che insegna lo sport.

In questa stagione hai “faticato” rispetto ai tuoi standard, cosa è successo?

Quest’anno è stato difficile per me, sono sceso nel ranking, ho cambiato tanti partner e sono stato anche infortunato per un po’. Purtroppo questa è la vita del tennista, ci sono alti e bassi e devi saper gestire entrambi i momenti. Così è stata la mia carriera e la cosa che ho capito, in tutti questi anni, è “never give up”, non smettere di inseguire i tuoi obiettivi, sogni e continua a lavorare sodo per raggiungerli, cosa che faccio ancora oggi. Per questo spero che il prossimo anno sia un anno migliore rispetto a questo. Devo guardare alle cose positive, al fatto di fare un lavoro che amo per raggiungere i miei sogni.

Il Pakistan è situato in una posizione difficile per diverse ragioni, cosa puoi dirmi a riguardo?

Sicuramente la situazione in Pakistan non è delle migliori ma spero che questa cambi molto presto e comunque negli ultimi mesi si è visto già qualcosa e sono sicuro che il peggio è passato, tempi migliori arriveranno presto e ci sarà un lieto fine. Ripeto, penso che con quello che è successo negli ultimi tre mesi ci stiamo muovendo nella giusta direzione e quindi credo che torneremo presto al posto che ci spetta.

Cosa diresti per descriverti come persona fuori dal campo da tennis?

Penso di essere una persona normale, mi piace la musica, mi piace uscire e quando non gioco preferisco restare a casa, con i miei nipoti, con la mia famiglia. Mi piace aiutare le persone anche perché penso che se siamo nella posizione di farlo, siamo obbligati ad aiutare chi invece è in difficoltà. Mi piace usare la mia posizione in Pakistan e nel mondo per aiutare le persone che hanno bisogno ed è anche il motivo per cui poi ho creato la fondazione di cui ho parlato prima. Oltretutto ho spesso donato per aiutare le persone che vivono in condizioni difficili che possono essere la guerra o la povertà…

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