ESCLUSIVA: Intervista a Gabe Jaramillo

Intervista di Matteo Torrioli (Esclusiva Spazio Tennis per Radio Manà Manà Sport)

Intervista esclusiva con Gabe Jaramillo, uno dei più grandi coach di tennis degli ultimi 30 anni. Ha allenato in carriera 8 numeri 1 e tantissimi altri campioni (Sampras, Agassi, Courier, Seles, Sharapova e tanti altri). Per circa 30 anni fianco a fianco con Nick Bollettieri alla IMG Academy, Gabe è attualmente direttore della Club Med Academy.

Sei un grande coach: come hai cominciato la tua carriera?
“Mia madre era un’allenatrice di nuoto. Penso di averlo nel sangue. Ho visto mia madre fare sacrifici per anni, svegliarsi presto la mattina e lavorare fino a tardi la notte: so cosa vuol dire. Quando ero all’università andavo a scuola e allo stesso tempo allenavo. Penso che per poter essere un coach bisogna amare veramente lo sport ed avere passione. È cominciata così. Mia madre nel nuoto ed io nel tennis. Ho cominciato ad allenare con Nick Bollettieri quando ero molto giovane. Mi ero fatto trovare al momento e al posto giusto per avviare l’Accademia con Nick. Si parla di 35 anni fa.”

Sei stato più o meno 30 anni con Nick Bollettieri. Come è stata quella esperienza e perché hai lasciato questa leggenda del tennis?
“Potrei parlare di Nick per ore. Ricordo che ero molto giovane e stavo al college quando ho cominciato con lui. mi ha voluto per allenare insieme a lui. ho imparato molto da Nick. Ad esempio la sua etica del lavoro, la sua voglia di stare sempre sul campo. Ricordo che io insegnavo ed allenavo dalle sei del mattino. Lui invece dalle cinque: cominciava un’ora prima di me. A fine giornata, quando cominciava a scendere la notte, mi diceva addirittura che avevo bisogno di andare a casa: voleva essere sicuro di essere il primo ad arrivare la mattina e l’ultimo ad andarsene il pomeriggio. Era un grande lavoratore. Lavorava anche di sabato e domenica. Era molto intelligente, a lui piaceva il mio sistema. Del resto, il sistema di Bollettieri era praticamente il mio sistema per insegnare ed allenare. È stato molto intelligente nell’utilizzare la mia idea. Nick è un grande motivatore. Ci sono molte storie su come riusciva a scuotere i giocatori. Per loro era sufficiente sentire la sua voce per giocare meglio. Aveva un grande carisma. Quando aprimmo l’Accademia, negli anni 90 avevamo tantissimi studenti. Non penso possa accadere una cosa del genere di nuovo. Mi ricordo che al French Open avevamo 32 studenti che giocavano il main draw: era una cosa incredibile pensare a quanti bravi giocatori abbiamo avuto la possibilità di allenare. Con Nick formavamo un vero e proprio team. Era come un padre per me, eravamo amici molto stretti. Penso che uno dei segreti del successo dell’Accademia sia nato dal fatto che abbiamo avuto benefici l’uno dall’altro.”

Cosa ci puoi dire degli otto numero uno che hai allenato? Non voglio leggere tutta la lista dei giocatori. La maggior parte di loro l’hai vista quando era piccola: hai capito subito che potevano diventare grande giocatori.
“Penso di si. Ho viaggiato per tutto il mondo cercando talenti. Ci sono vari modi per scovarne uno. La gente cerca l’intelligenza sul campo, la velocità nell’elaborare le informazioni che si ottengono durante un punto. Ma c’è una cosa che tutti cercano ed è fondamentale: il killing instinct. Bisogna capire se un giocatore sotto pressione riesce a colpire in un certo modo. È questo il caso di Agassi, Sampras, Courier, Monica Seles. Loro erano uguali, avevano la stessa attitudine al lavoro. Tutti loro lavorano molto, erano molto disciplinati, organizzati, non arrivavano mai tardi per l’allenamento e rimanevano sul campo anche ore extra. Ma la cosa che li accomunava era una: il killing instinct. Quando dovevano tirare il grilletto lo facevano. È una caratteristica che si può vedere anche quando sono piccoli e si capisce che sono campioni. Ricordo che sia con Agassi che con Sampras alcune qualità erano chiare e lampanti sin da quando erano piccoli.”

Ti trovi meglio ad allenare uomini o donne?
“Con entrambi ma è molto differente. Per fare un piccolo esempio. Con le ragazze bisogna essere molto cauti con i genitori. La maggior parte delle ragazze che alleniamo, ha i genitori molto coinvolti nella loro attività e creano una sorta di team e siamo quindi costretti a lavorare anche con loro. Quando alleniamo i ragazzi, invece, i genitori non si vedono. Con loro prendiamo decisioni autonomamente. Con le ragazze è diverso. Un piccolo esempio per capire meglio. Con i ragazzi è possibile fare paragoni. Ad Agassi, magari, potevo dire di guardare Sampras e lui non aveva problemi con un commento del genere. Con una ragazza non si può fare, mai paragonarla con un’altra donna né quando è piccola e né quando è grande. Con le ragazze, quindi, è molto differente la comunicazione.”

La tua carriera è molto lunga. Come è cambiato il tennis? Tti piace il tennis che si gioca oggi?
“Il tennis è cambiato molto e soprattutto il modo di allenarsi. Tutti i giocatori professionisti giocano un’ora e mezza al mattina ad altissima intensità. Lo stesso fanno il pomeriggio. Riescono anche a curare la parte atletica. Insomma, in un giorno lavorano su più aspetti. Chi si approccia oggi al tennis professionistico si allena cinque ore circa al giorno ad alta intensità con un metodo di lavoro molto sofisticato. Nel passato gli allenamenti duravano di più. Due – tre ore al mattino, due nel pomeriggio. Un giorno si lavorava sulla parte atletica ed un altro sulla tecnica. Anche il modo di giocare è diverso. Ci sono pochi giocatori che continuano a giocare con il continental grips, come Stephan Edberg. Oggi non c’è più nessuno che gioca serve and volley, cosa che accadevo spesso in passato. Le impugnatore più utilizzate sono semi-western e western. Il western grip ti consente di colpire più forte. Questi ragazzi sono in grado di fare molte più cose con la palla. Sono in grado di colpire in lungo linea, di stare sulla linea di fondo e di rispondere anche meglio. Potete fare caso anche agli infortuni. Ce ne sono molti di più rispetto al passato. Il tennis è più fisico. Si vedono specialmente infortuni al bacino a causa del modo di giocare. Prima il gioco era più lineare mentre ora, per dare velocità alla palla, si usa molto la torsione del bacino. Il tennis di oggi è più aggressivo e potente anche perché pure i giocatori sono più grandi e forti. Ricordo Agassi e Sampras che a 18 anni già erano dei professionisti ad ottimi livello. Oggi è difficile vedere giocatori molto giovani al top. Bisogna attendere i 22-23 anni per vederli ai massimi livelli perché bisogna attendere che diventino uomini in grado di sviluppare la giusta potenza. Insomma, oggi come oggi il tennis è un gioco diverso rispetto agli scorsi anni.”

Cosa pensi dei “Fantastici Quattro”, Djokovic, Federer, Nadal e Murray?
“Mi piacciono molto. Sono molto importanti per noi. Sono perfetti per insegnare. Sono tutti giocatori differenti che hanno una maniera diversa di impugnare la racchetta e colpire la palla. Nadal, Djokovic e Federer, per esempio, hanno tre impugnature diverse per il dritto. Il loro modo di colpire la palla è differente, anche per il rovescio. È molto utile per noi allenatori. Di base la meccanica del colpo è la stessa. Questi giocatori, comunque, sono speciali per il gioco. Nadal e Federer hanno fatto molto per il tennis perché sono molto carismatici. Si vestono in maniera elegante. Conoscono lingue differenti che permettono loro di comunicare in paesi diversi. Hanno portano il tennis ad un altro livello. Ad esempio, la Kournikova e la Sharapova hanno portato il tennis fuori dal tennis. Anche le persone che non praticano questo sport conoscono. Questi quattro sono degli ottimi ambasciatori del tennis.”

In Italia abbiamo dei problemi perché non abbiamo tanti coach di alto livello. Quali sono le caratteristiche che un allenatore dovrebbe avere?
“Il Coach deve essere molto appassionato ed amare quello che fa. io mi alzo ogni giorno alle sei del mattino e finisco di lavorare la sera alle otto senza che nessuno mi dica di farlo. Ho un’accademia e nessuno mi dice cosa devo fare. Questo però è l’unico modo per creare dei campioni. Per riuscirci, però, serve anche una squadra. E’ importante che un giocatore abbia una squadra alle spalle. È questa la maniera per rendere meno difficile il percorso per diventare campioni. Con uno staff è più facile capire gli errori per correggerli e salire di livello. Ma la passione e lo spirito di sacrificio sono fondamentali. Il giocatore sacrifica il proprio tempo e la propria famiglia e il proprio allenatore deve fare lo stesso. Noi amiamo quello che facciamo e per noi allenatori vengono sempre prima del resto i giocatori ed il lavoro. Questa è una delle chiavi ma è altrettanto importante che ci sia sempre un lavoro di squadra.”

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