Fulvio Fognini: “Ecco chi era ed è realmente Fabio”

Fognini
di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)

Per caratteristiche fisiche e tecniche, nonostante il servizio lo penalizzi un po’ rispetto altri giganti del circuito, Fabio può giocare meglio più sul cemento che non sulla terra“. Questa è solo una delle tante affermazioni di Fulvio Fognini su proprio figlio nel corso della chiacchierata avuta l’altro ieri. Il papà del tennis più famoso d’Italia si è raccontato ai “microfoni” di Spazio Tennis partendo dagli inizi, da quando Fabio ha iniziato a tenere la prima racchetta tra le mani, sino ad oggi, spaziando tra aneddoti, curiosità e molto altro ancora…

Com’era Fabio da piccolo? Quanto e come è cambiato col tempo caratterialmente? Qual è primo torneo che ricorda pensando a lui da bambino?

Fabio è sempre stato un ragazzino portato per lo sport, non solo per il tennis. Tutto è iniziato quando aveva circa 4 anni, lo portavo al circolo vicino casa (circolo A.T. Armesi) dove palleggiava contro il muro per ore e ore senza stancarsi mai. Da lì ha cominciato a fare le varie trafile dei tornei giovanili fino ad arrivare dov’è oggi. Era ed è un ragazzo tranquillo e anche per certi versi timido. In campo può dare un’immagine di sé diversa, ma non è così nella realtà, te lo assicuro. Colgo l’occasione per dire di essere stato un padre fortunato che ha avuto il piacere di godersi i figli fino in fondo, di seguirli e di fare ciò che era possibile fare nelle mie possibilità. Primo torneo? Il primo ricordo in ambito sportivo è legato al campionato under 10 regionale della Liguria, da lì è partito tutto…

Quando ha pensato che Fabio sarebbe potuto diventare un tennista professionista? Vi eravate dati una scadenza? 

Dopo i campionati under 16 europei che aveva vinto, ha iniziato a subire pressioni da parte della Federazione e di altre accademie private perché intravedevano in lui un ottimo futuro, non un campione, ma comunque un buon giocatore. Io che mi reputo uomo di sport vedevo che le doti fisiche le possedeva e, seppur non avessi conoscenze estreme, anche quelle tecniche, vista e considerata la differenza con gli altri. Tutto ciò nonostante lui fosse più piccolino dei suoi coetanei. Ha iniziato a disputare i primi tornei futures e la stoffa c’era ed era sotto gli occhi di tutti, fortunatamente non ci eravamo sbagliati. Devo inoltre aggiungere che al tempo era seguito da Leonardo Caperchi, scelto per le doti umane, professionali ma anche per il suo background. La tranquillità me la dava lui quando, con delle tabelle sottomano, mi indicava i vari step che Fabio avrebbe superato anno dopo anno. Tutto ciò che aveva previsto all’epoca si è avverato e, col senno di poi, posso solo dire che aveva ragione lui. Ci eravamo prefissati una data di scadenza che erano i 21 anni. Se non fosse entrato nei primi 100 entro quell’età avrebbe continuato con gli studi e si sarebbe laureato. Il caso ha voluto che abbia raggiunto quel traguardo anche un anno prima rispetto alla nostra tabella di marcia.

Fabio intonava “Un’avventura” di Battisti dopo il punto della vittoria contro l’Argentina in Coppa Davis nel 2014. Questa canzone ha un sapore particolare, vero?

Sì e ti spiego anche il perché. Con la mamma, quando si avviavano con la macchina la mattina verso i campi in cui avrebbe dovuto giocare le finali dei vari tornei, ascoltavano principalmente due canzoni: “L’avvelenata” di Guccini e “Un’avventura” di Battisti. Così un po’ per scaramanzia, un po’ per ricordo nel momento opportuno si mette a canticchiare queste canzoni.

A proposito di scongiuri… Avete qualche rito scaramantico? 

Quando comincia un torneo io e mia moglie se siamo a casa e lui vince manteniamo le stesse postazioni, lo stesso vale nella postazione live dal box, la disposizione se si vince non si cambia, questo è poco ma sicuro. Anche Fabio ha qualche rito scaramantico ma si tiene tutto per sé, non le dice neanche a noi. Ti posso dire che se è fuori e la sera prima non l’ho chiamato e lui ha vinto, allora non ci sentiamo fino a quando non termina il suo torneo. Siamo molto scaramantici…

Quale siparietto di suoi figlio l’è rimasto più impresso in positivo? Ultimamente sembra essersi “calmato” un pochino. Sarà anche la presenza di Flavia?

Si potrebbe scrive un’enciclopedia. Il siparietto più simpatico, se proprio devo scegliere, è stato a Wimbledon nel 2013, quando, in occasione del match contro Melzer, Fabio chiese al giudice di sedia come potesse dargli il warning. Queste scenette sono iniziate dopo che è entrato nei primi 100 ed ha iniziato ad accusare la tensione e la pressione di dover riuscire a tutti i costi a dover dimostrare qualcosa. A volte lo rendevano talmente nervoso che andava sopra le righe, decisamente troppo. Parlo al passato perché il tutto è successo fino a poco tempo fa. Da un anno a questa parte, siccome sono io che gli tengo i conti a livello finanziario, ti assicuro che non ha preso una multa né è stato sanzionato per neanche un dollaro. Di sicuro i rimproveri in casa e la presenza di Flavia in questo senso l’hanno cambiato e gli sono serviti. Flavia l’ha fatto maturare molto e lui si è responsabilizzato di più. C’è da dire che anche lui rivedendosi in certe situazioni ha capito di essere caduto in errore, per cui ha pensato bene che fosse il caso di cambiare atteggiamento. Se ci fai caso spesso ha avuto reazioni di cattivo gusto contro giocatori che lui riteneva essere più deboli, perché si ritrova ad avere solo da perdere.

Riguardo Flavia… cosa ha pensato dopo l’annuncio dell’addio al tennis? La sua assenza dal circuito può in un certo senso influire nella testa di Fabio?

Rimangono scelte personali. Flavia probabilmente ha raggiunto uno step della sua vita in cui aveva bisogno di altro oltre che del tennis, inoltre chiudere come ha fatto lei, da campionessa, è il sogno di qualsiasi giocatore. Riguardo il suo futuro atteggiamento non cambierà assolutamente nulla, tra non molto si sposeranno – se ne sta parlando ci conferma Fulvio – formeranno una famiglia, per cui sarà, spero, tutto un miglioramento continuo. Anzi, penso che Flavia vicino a lui, una che da anni è nel mondo del tennis, che sa quando parlargli e cosa consigliargli, non possa che giovargli.

Fabio è un personaggio pubblico e viene preso come esempio da una nuova generazione di piccoli tennisti. Avverte qualche responsabilità da questo punto di vista?

Il fatto di essere un personaggio famoso non gli interessa particolarmente, apparire non è nella sua natura anche se forse dal di fuori non sembra, anzi, è un ragazzo molto riservato. La sua è sicuramente una vita diversa da altri ragazzi ma lui vive la cosa tranquillamente. Detto questo Fabio è più stimato ed apprezzato all’estero che non in Italia mentre nel circuito è cercato, stimato e ben voluto praticamente da tutti. Spesso riceve lettere ed email di complimenti da ragazzi che sognano di sfondare nel suo mondo. Ora è decisamente più cosciente dell’importanza del ruolo che ricopre, questo senza dubbio.

Montecarlo 2014: nel match contro Tsonga se ne sono dette tante su te e Fabio. A parte chiarire questo episodio, non pensi che quella partita abbia cambiato ed inevitabilmente frenato il cammino verso una classifica migliore?

Montecarlo 2014, come ben sai, è una menzogna montata all’epoca in cui si scrisse che le parole di Fabio fossero rivolte al sottoscritto. Al momento non dissi nulla per evitare di peggiorare le cose. Mio figlio si era girato verso il fisioterapista rivolgendosi in italiano e, essendo io l’unico italiano lì in mezzo, subito avevano pensato che fossi io la persona a cui fossero indirizzate quelle parole. Chi mi conosce sa che se davvero avesse sbraitato nei miei riguardi sarei sceso in campo, Montecarlo o meno, e gli avrei dato una pedata sul sedere. Quella è stata una circostanza in cui non ha retto la pressione del momento, d’altronde era sotto la luce dei riflettori, un periodo in cui la televisione, i giornalisti e chi più ne ha ne metta avevano focalizzato le attenzioni su di lui. Avesse portato a compimento il match contro Tsonga avrebbe oggi un best ranking diverso e migliore di quello attuale, e parlo di top 10. Non a caso poi per alcuni mesi non ha più avuto la testa e le gambe per il tennis. Sono situazioni che nella vita di un tennista o uno sportivo possono capitare…

Lei è un grande amante del tennis ed un  vero e proprio collezionista… È vero che spesso chiede a Fabio di procurarsi qualcosa? Cosa le manca alla collezione?

In casa avrò una ventina di racchette firmate e ce ne sono tre a cui tengo particolarmente: quella di colui che ritengo essere il migliore, Roger Federer, di Novak Djokovic, che conosco da quando Fabio aveva 10 anni e giocavano i tornei assieme, ed infine di Marat Safin, il mio giocatore preferito da sempre. Cosa mi manca? Colleziono principalmente quelle dei top 10. A Londra l’ho chiesta a Berdych e a Ferrer e mi hanno promesso che, non appena nella prossima stagione affronteranno Fabio, me la daranno.

Cosa dobbiamo aspettarci da Fabio il prossimo anno? Nel finale di stagione ha fatto capire chiaramente che può dire la sua ovunque e non solo sulla terra. 

Io continuo a dire, da quattro anni a questa parte, che se Fabio si rendesse conto di poter giocare alla grande pure sul cemento, non avrebbe bisogno di quei 3-4 mesi ad alto livello per costruirsi l’attuale classifica. Per caratteristiche fisiche e tecniche lui, nonostante il servizio lo penalizzi un pochino rispetto gli altri giganti del circuito, può giocare meglio sul cemento che non altrove, anche della stessa terra. Lui è uno dei pochi che su questa superficie la palla la sa muovere come si deve. La speranza è che anche in lui scatti presto questa convinzione.

Spesso la sensazione è che i genitori vogliano in un certo qual modo sostituirsi ai maestri o comunque entrare in una sfera di competenze che, per l’appunto, non dovrebbe riguardarli. Lei da questo punto di vista come si è comportato e quale pensa sia il rapporto ideale che dovrebbe intercorrere tra padre, figlio e maestro?

Nella costruzione del ragazzo è inevitabile una forte e costante presenza del padre. Il nostro ruolo è fondamentale: se il figlio arriva è perché ha un genitore dietro che ha la voglia e la passione di seguirlo e, non ultimo, le possibilità finanziarie per poterlo sostenere. Poi ci vuole la fortuna e la bravura di affidare il proprio ragazzo durante quella che io definisco età critica, ovvero dai 14 ai 18 anni, nelle mani di una persona competente e non in quelle di uno pseudo maestro alla ricerca di facili guadagni. Ma ti ripeto, chi dice che la figura del genitore non è importante racconta solo chiacchiere…

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