Galovic: “Aspetto da tanto una firma per la cittadinanza italiana”

Viktor Galovic
Viktor Galovic

di Alessandro Mastroluca

Come cambiano orizzonte il tempo e il modo di vedere. Ora che ha ritrovato fiducia e continuità di gioco e di allenamenti, il futuro non sembra più una terra straniera per Viktor Galovic. Risolti i tanti problemi fisici, seguito adesso da Panajotti, l’italo-croato si è raccontato a Spazio Tennis. Gli inizi difficili, la scelta di emigrare in Italia e di giocare gli open. L’incontro decisivo col maestro Menati e la rivelazione: “Sono sempre stato croato di nascita e passaporto. Ma è tanto tempo che aspetto una firma sulle pratiche per la cittadinanza italiana”.

La qualificazione raggiunta a Cordenons conferma il tuo buon momento di forma: c’è stato un momento in cui hai sentito che la stagione stava prendendo una svolta positiva?
Già a inizio anno sentivo che il mio tennis era in netto miglioramento e iniziavo a vincere qualche partita, finalmente, dopo un anno abbastanza povero di risultati. Dal torneo vinto in Sardegna (il Future da $10,000 Italy F8 a Santa Margherita di Pula) ho iniziato a credere di aver raggiunto un buon livello visti anche gli avversari che ho battuto in quel torneo. Così ho ripreso un po di fiducia in me stesso e nei miei mezzi.

Quanto e in che modo ha influito sul tuo rendimento recente l’inizio della collaborazione con Panajotti?
Daniel Panajotti mi ha concesso una chance, un’opportunità che credo a pochi sia permessa. Ha influito tantissimo sui miei risultati: ho iniziato a lavorare come non mai, ha cambiato tante cose del mio gioco, mi ha fatto migliorare in alcuni aspetti tecnici in cui ero abbastanza carente. Ma soprattutto ho trovato un posto e delle persone vivono davvero per il tennis, Panajotti in primis. Tutta l’accademia funziona alla grande, si lavora per grandi obiettivi e tutto è curato nei minimi dettagli. Chi ne fa parte si sente parte di un gruppo, e ci si supporta a vicenda dal più grande al più piccolo, dal più forte al meno talentuoso: qui si insegna una disciplina e un’attitudine al lavoro che in nessun altro posto avevo visto. E credo faccia una grandissima differenza.

Su quale aspetto avete lavorato meglio, secondo te, e su quali vuoi lavorare di più per il futuro?
Un po’ su tutto in modo: sto cercando di alzare il livello su tutto, di non avere dei grossi punti deboli, e continueremo su questa strada cercando di migliorare tutto volta per volta.

Dopo Cordenons quali sono i tuoi programmi? Dove giocherai?
Dopo Cordenons finirò di giocare tutti i challenger italiani: Como, Genova, Biella e poi vedremo… Voglio solo migliorare giorno dopo giorno e sono convinto che la strada sia quella giusta. Ci sono ancora tante cose da aggiustare, ma credo sia un bene perché almeno ho ancora margine per migliorare e tutti i risultati che verranno saranno i benvenuti. Se non adesso l’anno prossimo, ma sono convinto che arriveranno.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza con Puci?
A Massimo Puci devo tanto. E’ stato il primo che mi ha dato una vera opportunità per diventare forte e per questo gli sarò sempre grato. Credo sia uno dei migliori maestri in italia. Ho imparato tanto da lui, ho vissuto due anni molto belli a Bra allenandomi con Golubev: tra l’altro l’ho rivisto dopo tanto tempo proprio a Kitzbuhel poco tempo fa e abbiamo parlato proprio di quei tempi…

In questi anni hai avuto parecchi infortuni alla schiena: che problemi erano, nello specifico? Li hai risolti?
L’anno scorso in particolare non riuscivo ad avere continuità per problemi alla schiena a causa di una piccola protrusione nella zona lombare: se non la tengo sotto controllo con attenzione può crearmi grossi problemi, però per fortuna ora è tutto risolto. Sempre l’anno scorso poi mi era uscita la spalla destra al torneo di Umago, ma per fortuna non era nulla di cosi grave come poteva sembrare, anzi da quel momento alcuni fastidi alla spalla sono svaniti, quindi forse è stato un bene.

Per chi ti conosce poco, potresti dirci qualcosa di più della tua storia? Dove sei nato? Quando sei arrivato in Italia?
Io sono nato a Nova Gradiska in Croazia e mi sono trasferito a Milano con tutta la famiglia all’età di 5 anni a causa della guerra. Sono arrivato in cerca di lavoro e di opportunità che ormai, in una Croazia devastata, mancavano. Devo ringraziare molto i miei genitori per questo, perché credo che non tutti siano disposti a lasciare il luogoo dove sono nati e cresciuti per partire quasi alla cieca e andare in un altro Paese per poter dare un futuro migliore ai propri figli. Senza la loro forza non sarei nemmeno qui, non avrei certo la possibilità di godermi la vita del tennista, di fare una cosa che mi piace e girare i tornei come tutti gli altri.

All’inizio, prima di partire con gli ITF ti ricordo giocare tanti tornei open: guardando indietro a quel periodo, rifaresti la stessa scelta?
All’inizio della carriera mi avete visto giocare tanti open, è vero, perché non avevo altra scelta. Non sono nato in una famiglia che si poteva permettere di farmi girare il mondo, o che poteva rischiare di dire: “Smetti con la scuola e vai a fare il professionista”. Quello l’ho deciso io da solo quando un maestro, Fabio Menati, ha creduto un pochino in me -non che i miei genitori non lo facessero, anzi, ma avevo bisogno di sentirlo da qualcun altro- e mi ha spinto a provare a fare qualcosa con le qualità che secondo lui avevo. Questa è stata la vera spinta. Dovevo giocare tornei open per potermi permettere di giocare qualche Future ogni tanto.

L’anno scorso, al primo challenger che hai giocato, sei arrivato in semifinale a Bergamo: cosa hai imparato da quell’esperienza?
Dalla semifinale di Bergamo ho imparato molto. Ho capito che posso vincere con avversari di valore, che forse avrei potuto competere abbastanza bene anche a quel livello. Ma ho capito anche che non sapevo il vero motivo per cui avevo fatto quel risultato, non ero abbastanza consapevole di quel che avevo raggiunto e di come lo avessi raggiunto. Soprattutto non avevo ben chiaro ancora cosa avrei dovuto fare per mantenere quel livello e in che direzione andare con il mio gioco.

Perché hai deciso di cambiare nazionalità e tornare a giocare per la Croazia?
Io sono sempre stato croato di passaporto e di cittadinanza. C’è stato un malinteso durante il mio primo tesseramento quando ero piccolo quindi alla prima tessera e da allora per il tennis sono sempre rimasto come italiano. Come sapete sono da molto più tempo in Italia che in Croazia, ho fatto tutte le scuole in Italia, posso dire che praticamente tutta la mia vita si è svolta qui. Le mie pratiche per la cittadinanza sono già a Roma al Ministero degli Interni da parecchio tempo solo in attesa di una firma. E vi posso dire che è da tanto che aspetto.

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