Intervista a Massimo Ardinghi, “In Italia ci vorrebbe meno politica e più sport..”

Continua il cammino di Spazio Tennis atto a conoscere il lavoro, le idee, gli obiettivi e le speranze dei coach italiani. Quest’oggi abbiamo scambiato due chiacchiere con Massimo Ardinghi, ex top 200 Atp (numero 102 in doppio), attualmente Direttore Tecnico della Firenze Tennis Academy. Massimo ci ha raccontato dei suoi anni da professionista, della carriera da allenatore, senza tralasciare il discorso legato alla Federazione di ieri e di oggi..

Massimo Ardinghi

di Alessandro Nizegorodcew

Allora Massimo, iniziamo da quella che è stata la tua carriera da giocatore. In singolo sei entrato nei primi 200, mentre in doppio hai letteralmente sfiorato i top-100. Credi che avresti potuto fare di più?
Il mio best ranking è stato di 190 in singolo e 102 in doppio. Ovviamente, come quasi tutti noi ex giocatori, qualche rimpianto c’è sempre. Sono pochissimi i tennisti che possono dire di aver raggiunto il loro massimo livello. Io non sono tra quelli; non è un discorso di presunzione, ma sinceramente avrei potuto fare meglio sia in singolo che in doppio. Qualche problema fisico alla schiena che mi ha impedito di giocare con continuità e il totale disinteresse della Federazione, una volta superati i 18 anni, non mi hanno di certo aiutato. Anche se, a dire il vero, ho iniziato a giocare bene una volta che mi sono allontanato dal centro tecnico nazionale.”

Le maggiori soddisfazioni le hai raccolta in doppio. Come giudichi le nuove regole introdotte in questa specialità?
La mia carriera da doppista è stata decisamente più ricca di soddisfazioni. Ho giocato una decina di Slam, superando giocatori del calibro di Thomas Muster, Emilio Sanchez, due giocatori che sono stati numeri uno al mondo di singolo e doppio e sono sono arrivato ad un passo dai top-100. I miei compagni di tour sono stati Vincenzo Santopadre e Davide Sanguinetti, con i quali ho ottenuto i migliori risultati. Penso che le nuove regole abbiano penalizzato non solo i doppisti ma anche il doppio in generale, perché i giocatori specializzati in questa disciplina si impegnano al massimo, mentre i singolaristi spesso pensano solo al singolare e alcuni non sono proprio capaci in doppio!

Hai accennato al discorso FIT. Qual era la situazione ai tuoi tempi? Cosa è cambiato oggi?
Quando giocavo io, la Federazione ha avuto molto potere ed è sempre stata parecchio accentratrice; tutto ruotava intorno a Riano e i giocatoi che non facevano parte di quel giro erano considerati quasi tutti degli stranieri o comunque non ben visti in caso di vittorie. Io ho vissuto quattro anni a Riano, dove onestamente avevano investito molto su di noi. Di quel gruppo hanno fatto parte Caratti, Gaudenzi, Pescosolido, Navarra, Musa, Brandi, Mordegan, Pennisi, Camporese, Furlan e tanti altri buoni giocatori. Ci veniva pagata la scuola, il tennis, i tornei e in più spesso avevamo a disposizione delle wild card. Insomma la struttura di allenamento era buona ed eravamo curati anche dallo staff medico dell’acqua acetosa. Ogni classe di età aveva il suo gruppo e il suo tecnico e giravamo per i tornei con il tecnico assegnatoci. Il grande problema era che non potevamo scegliere l’allenatore, cosa che ho sempre trovato sbagliata. Il tennis è uno sport individuale e se non c’è sintonia tra coach e giocatore i risultati non arrivano. Non voglio scendere in particolari sulla scelta dei tecnici, ma ogni inizio di stagione ci sottoponevano ad alcuni test psicologici; io mi sono sempre chiesto se li facevano anche ai tecnici.. ma non credo proprio.. Comunque l’obiettivo della “vecchia” Federazione è sempre stato quello di far nascere il campione assoluto; quindi, se non avevi queste caratteristiche, venivi accantonato molto presto. Così facendo si sono persi tanti buoni giocatori. Il movimento lo fa sicuramente il campione assoluto, ma anche una buona massa di giocatori validi non è affatto da sottovalutare. Per quanto riguarda la “nuova” Federazione, vorrei dire che qualcosa è migliorato, per dare un senso di ottimismo, ma sarei un bugiardo!

Come è stato il passaggio da giocatore ad allenatore?
Quando giochi, mai penseresti di fare l’allenatore in futuro. Anzi, il pensiero che ti accompagna è: ho girato già troppo per il mondo, quando smetterò vorrò stare tranquillo, trovando una sistemazione comoda senza eccessivi stress. Ma quando uno ha l’agonismo nel sangue non ce la fa a resistere ad ore e ore di lezioni pagate; ha bisogno di vedere il sudore, provare rabbia, delusione; fare grandi sogni, sperare, lottare ed essere vicino ad un ragazzo o ragazza, trasmettere le proprie esperienze, le stesse sensazioni vissuto sul campo da giocatore. I giocatori si conoscono e si stimano. Ultimamente troppi “signor nessuno” hanno provato a fare gli allenatori. Si sono improvvisati e hanno scopiazzato qua e là. Tanti di questi tizi lavorano nella “nuova” e ti vogliono anche insegnare…

Da qualche anno sei divenuto Direttore Tecnico della Firenze Tennis Academy. Raccontaci di questa esperienza..
Ho creato la Firenze Tennis Academy nel 2001 e da allora sto gestendo a scuole tennis al CT Firenze, un dei circoli più prestigiosi d’Italia. Attualmente nella mia scuola ho diverse giocatrici. La punta di diamante è Ksenia Palkina, una ragazza del Kirgikistan che è numero 170 Wta. Si allenano da noi anche Nicole Clerico (400 Wta), Martina Caciotti (750 Wta) e altre giovani ragazzine di interesse come Maria Masini, una delle più forti ’94 in Italia, o Indra Bigi, che si è affacciata da poco ai tornei pro, ma che ha una grande grinta e voglia di migliorare. Nel passato ho allenato, dopo una parentesi con Sanguinetti, il toscano Leonardo Azzaro, un ragazzo eccezionale che mi ha dato grandi soddisfazioni. Insieme abbiamo raggiunto il suo miglior ranking (165 Atp). Oltre a loro ho avuto l’occasione di lavorare con l’italo-argentino Daniel Alvarez, che oggi si sta esprimendo al proprio massimo, avendo trovato un maggiore equilibrio mentale e una maggiore maturità. Sono molto contendo per lui.

Nel salutarti e ringraziarti ti sottopongo un’ultima, scottante, questione. Come giudichi il movimento tennistico italiano? Mosè Navarra e Andrea Gaudenzi, interpellati sullo stesso argomento, hanno evidenziato come gli allenatori siano oggi in Italia dei lupi solitari. Sei d’accordo?
Penso che per migliorare le cose bisognerebbe fare meno politica e più sport. Credo che bisognerebbe cercare di coinvolgere maggiormente gli ex giocatori e cercare di trasmettere ai giovani di oggi quel senso di sacrificio e di speranza, necessario per raggiungere obiettivi importanti, senza trascurare nessuno. Bisognerebbe far sentire tutti facenti parte di un sistema; un sistema legato ai valori e non agli imperativi assoluti (si deve fare così o sei fuori dal sistema!). Spesso noi tecnici assistiamo a forme che, se non sono di ricatto, molti vi si avvicinano. Non voglio dire che la colpa sia della Federazione sempre e comunque, come non accetto quando alcuni esponenti della Fit accusano i maestri di scarso livello. Chi fa diventare maestri cani e porci in Italia? Sono d’accordo con Gaudenzi e Navarra. E’ vero che i coach sono “lupi solitari”; gente che fa questo mestiere per passione e non certamente a scopo di lucro. Un maestro che da lezioni private al proprio circolo, guadagna cento volte tanto. La considerazione finale che posso fare è questa: meglio essere lupi solitari che pecore in un branco di dilettanti, che pensano solo a scaldare la poltrona in qualsiasi centro di potere. Se la Fit volesse veramente fare qualcosa di importante, secondo me dovrebbe aprire un dialogo costruttivo coi tecnici; quei tecnici che vanno in prima linea a prendere le “bombe” in faccia senza paura. Insieme bisognerebbe trovare delle soluzioni comuni per il bene del tennis italiano, che è patrimonio di tutti i tesserati e non, di tutti quelli che amano realmente il nostro sport e che non vogliono solo fare politica ed apparire.

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