Paolo Lorenzi, ieri, oggi e domani…

Paolo Lorenzi
di Luca Fiorino (@LucaFiorino24)

Nulla si ottiene senza sacrificio e coraggio. Chi ha la pazienza di saper aspettare ed è disposto a lottare per i propri obiettivi, alla fine, vince. Impegnato in questi giorni con tanti bambini a Tirrenia, sede di uno dei centri estivi FIT, Paolo Lorenzi si è raccontato ai “microfoni” di Spazio Tennis. Reduce da un piccolo problema muscolare alla coscia accusato durante il Challenger di Mestre, il tennista toscano ha confessato di aver recuperato e di essere pronto per Wimbledon. Un’intervista a tutto tondo in cui Paolo si è aperto spaziando su vari temi: storie del passato, curiosità relative al suo futuro ed anche aneddoti interessanti e spiritosi.

Qual è la tua condizione dopo l’infortunio alla coscia? Ti stai allenando in vista di Wimbledon?

Mi sono stirato il flessore ed ho ripreso ad allenarmi solo da questa settimana. Fortunatamente non sento più dolore e mi sento bene. Ci metterò un po’ a rientrare in forma ma già per Wimbledon avrò una settimana sulle gambe. Giocherò probabilmente con una piccola fasciatura come quella che avevo a Roma ma sarà più che altro per precauzione. Mi sto allenando a Tirrenia, dove in questi giorni ho avuto il piacere di stare a contatto con circa 90 bambini. Ogni anno passo in qualche centro estivo a giocare, mi porta indietro nel tempo a quando anche io li frequentavo. Ammetto che sia un po’ faticoso ma ne vale davvero la pena.

Settimana prossima inizia Wimbledon. Ho letto in un’intervista di un paio di anni fa che non ti dispiace giocare sui prati. Come ti immagini dunque questo Slam londinese? Qual è il modo migliore per arrivarci?

E’ vero che non mi dispiace giocarci ma allo stesso tempo devo ammettere che i risultati non sono stati un granché. Un paio di volte sono arrivato in buonissime condizioni a Wimbledon: la prima quando persi nel 2012 al quinto contro Nicolas Mahut e l’anno scorso contro Roger Federer anche se il risultato farebbe pensar tutt’altro ma si sa, contro di lui le possibilità sono sempre minime in ogni caso. Quest’anno non ho avuto tempo di prepararmi molto sull’erba ma chissà, magari avrò un tabellone favorevole. Se ne giochi tanti di Slam prima o poi la chance arriva, forse arriva quest’anno, chi può dirlo. Ci sono due modi per entrare in condizione su questa superficie: andare a giocare 2-3 settimane sull’erba o arrivare all’ultimo momento. Andare 4-5 giorni prima per quanto mi riguarda è la cosa peggiore, visto che non ho avuto la possibilità di disputare tornei su erba molto tempo prima mi recherò a Londra all’ultimo. L’erba d’altronde non è uguale dappertutto, ad ‘s-Hertogenbosch la palla rimbalza molto più alta rispetto al Queen’s mentre ad Halle non ho mai giocato e non saprei dirti.

A proposito di Slam: alla fine quella famosa cena te l’ha offerta Matosevic? Ci racconti come è nata la scommessa?

No ancora no! Me la dovrebbe offrire essendo stato lui il primo a vincere e spero mi porti al più presto (ride,ndr). Tutto è nato in un periodo in cui giocavamo in America. Ci siamo ritrovati più volte a cena assieme, eravamo gli unici tra quelli che giocavano più spesso partite negli Slam a non aver ancora vinto ed una sera, chiacchierando, ci eravamo accordati in questa maniera. E’ una cosa nata così, per caso. Tra l’altro a lui piace mangiare in ristoranti molto costosi, non appena lo vedo glielo ricordo e gli faccio spendere un po’ di soldi (ride,ndr).

C’è stato un particolare momento della tua vita in cui ti sei detto: basta la smetto qui? Qual è stato l’episodio chiave che ti ha fatto capire che ce l’avresti poi fatta?

Momenti in cui ho pensato di mollare non ce ne sono stati perché come ho sempre detto il tennis è la mia vita ed è la cosa che più mi piace fare. Posso aver avuto periodi di sconforto ma non mi è mai balenata l’idea di lasciar perdere, anche quando il ranking non era dei migliori. Ho avuto invece maggiore consapevolezza dei miei mezzi quando nell’estate del 2009 ho vinto due challenger consecutivi, a Reggio Emilia e Rijeka. Piano piano mi sono avvicinato ai 100 e sentivo che le cose stessero andando decisamente meglio.

Qual è stata la partita più bella ed emozionate della tua carriera? Sbaglio nell’affermare che nel torneo di Sao Paulo si è visto il miglior Lorenzi di sempre? Sempre propositivo e presente a rete?

Quella che tutta la gente si ricorda quando mi ferma è quella con Rafael Nadal a Roma. E’ stata una partita epica, giocata sul centrale del Foro Italico in un momento in cui Rafa sulla terra era il numero uno indiscusso. Però la partita del giorno prima contro Thomaz Bellucci è stata speciale. La SuperTennis Arena era ancora aperta a chi aveva il ground, lo stadio era strapieno, la gente durante il tie break provava ad entrare ma non c’era posto, il pubblico era come se fosse dentro al campo a giocare con me. Sono state emozioni indescrivibili. Riguardo il torneo sono d’accordo, a San Paolo lo scorso anno è stato il torneo in cui ho giocato nel miglior modo. Ho espresso un ottimo tennis dall’inizio sino alla finale poi persa contro Delbonis. La partita con Juan Monaco poi è stata pazzesca, due tie break lottati e poi un solo break nel terzo e decisivo set. Le condizioni abbastanza veloci mi hanno aiutato, ricordo che spesso mi presentavo a rete ed è una cosa che dovrei fare più spesso. Adesso stiamo cercando di ritornare a giocare un po’ più nei pressi della rete perché nell’ultimo periodo sono arretrato troppo a fondo campo. Delle volte mi viene spontaneo andare avanti e altre volte rimanere incollato dietro, non c’è una grandissima idea tattica a dire il vero e vado più che altro a fiducia a seconda dei periodi. Oggi è difficile lavorarci più di tanto ma vediamo cosa ne uscirà fuori.

Che differenza c’è secondo te tra un numero 200-250 e un numero 70-80? 

Secondo me a livello di tennis non c’è tantissima differenza tra il numero 70 e 500 del mondo a parte ovviamente qualche eccezione. La differenza sta nella continuità, nell’essere sempre pronti, perché non sai mai quando arriverà l’occasione giusta. Il numero 70 lavora bene, ci crede di più e alla fine raggiunge i risultati. Altre differenze sono nella convinzione e nel modo in cui si affrontano gli allenamenti, ho visto molti giocatori sfiduciati che ci credono poco e lo vedi anche da come si allenano.

Ti definiresti un giramondo? Quanto pensi ti abbia penalizzato l’allergia nel corso della tua carriera?

Sì e no, nel senso che se un torneo è in Europa o in Sudamerica non mi faccio problemi, quindi mi posso definire così se per altri è più problematico viaggiare. Non ho alcun problemi nell’affrontare più ore di viaggio, anche perché fino ad ora non ho mai avuto grossi problemi di jet lag. Poi penso che ci siano tennisti che viaggiano molto più di me, in Asia ad esempio ci sono andato di rado. Credo mi abbia penalizzato un bel po’ perdendomi di fatto l’inizio dei tornei sulla terra rossa in Europa. A dir la verità nelle prime settimane i giocatori che giocano bene sul veloce, anche i più bravi, arrivati poi sulla terra perdono qualche partita e per cui chi è terraiolo ha buonissime chance di fare la sorpresa in attesa che poi questi si riabituino alla superficie. Non ho mai potuto giocare Monte Carlo, sono andato a Barcellona pochissimi giorni prima dell’inizio del torneo quando però mi ero già fatto la trasferta in Sudamerica. Anche a Roma, a parte quella parentesi che ti ho raccontato, non sono mai riuscito ad esprimermi al meglio. Che dire, mi dispiace…

Uno dei tuoi segreti principale nella tua scalata in classifica Atp è stata una programmazione a dir poco esemplare.  A parte la superficie, guardi più al tabellone o al prize money? Come si costruisce una programmazione “ideale”?

Ti sembrerà strano ma molti giocatori guardano le liste, il prize money e tantissime altre cose. Io la prima cosa che osservo è il calendario coi vari tornei e decido se il posto è di mio gradimento. I challenger che gioco è perché mi piace il posto o in particolare l’organizzazione, insomma, sono tornei in cui so che mi troverò bene. Sono ormai 3-4 anni che ragiono in questa maniera. Non saprei dirti se vado a Cordenons se sono prima testa di serie o meno, so solo che andrò lì. Per dirla in maniera spicciola io le liste non le guardo. Per farti un esempio non sono mai andato e non credo che andrò mai a giocare in Repubblica Ceca perché non mi piace quel tipo di terra rossa. La scelta di andare in Turchia è dovuta sempre a motivi di allergia in quanto lì faceva già caldo ed era appena terminato il torneo a Roma. Cercavo un posto dove potermi allenare con altri giocatori perché tre anni fa andai a Tenerife ma non trovai nessuno (ride,ndr). Anche se avessi perso ai primi turni non sarei andato a Parigi tanto tempo prima per evitare di incorrere nei soliti problemi dovuti all’allergia e mi sarei allenato ugualmente lì.

Nella classifica all time di chi ha vinto più partite challenger c’è Ruben Ramirez Hidalgo a quota 372, tu sei a 302. Pensi di poterlo riprendere?

Sì, ho non da molto superato Yen-hsun Lu ma ho Ramirez Hidalgo davanti a me e credo il gap sia quasi irraggiungibile. Speriamo smetta presto (ride, ndr) sennò non lo sorpasserò mai.

Come vedi Lorenzi da qui a 10-15 anni? Ti senti portato per una carriera da coach?

Ora come ora ti risponderei che mi piacerebbe rimanere nel tennis cosa che fino a qualche anno fa non credevo visto che sinceramente nutrivo qualche dubbio. Non so ancora in che veste, l’unica cosa che so è che il tennis è la mia passione ed è difficile che riesca a staccarmene del tutto quindi ci sono buone possibilità che resti all’interno di questo fantastico mondo. Ancora non mi sono fatto un’idea perché sono ancora molto concentrato nel giocare, amo stare in campo ed allenarmi. Spero che un giorno se diverrò coach possa riuscire a trasmettere tutti questi aspetti ai miei allievi. Molto francamente ti confido che mi sento troppo portato per una carriera da allenatore, sento di avere una predisposizione. Mi accorgo di vedere prima tante cose, il problema principale è riuscire a comunicarle e ad intendersi col proprio giocatore. A livello alto poi è importante che ci sia molto feeling tra il tennista ed il coach, il rapporto diventa molto personale, non a caso ci sono giocatori bravissimi ma che con alcuni allenatori non riescono ad esprimersi al meglio.

Ci racconti qualche episodio divertente con Enrico Becuzzi e tuo fratello Bruno?

Ne ho avuti tantissimi e devo ammettere che non è da tutti avere la fortuna di girare con degli amici, specialmente quando poi le persone in questione sono mio fratello ed un grande amico come Enrico. Non dimenticherò mai il doppio giocato assieme a Bruno in Colombia. Lui era tantissimo che non giocava (la sua professione tanto per intenderci è quella di chirurgo a Londra) ma eravamo da una settimana insieme e non potemmo sottrarci. Mi diceva che avrebbe servito sul rovescio quando poi batteva dalla parte del diritto (ride, ndr). Con Enrico invece c’è il ricordo di quando battemmo al challenger di Caltanissetta nel 2012 Julian Knowle e Philipp Oswald per 0-6 6-4 [11-9], una vittoria memorabile. Sono tanti altri gli episodi curiosi che mi legano ad  Enrico anche al di fuori dei campi da gioco. A San Paolo ad esempio mi aveva fatto compagnia tutta la settimana e si vestiva sempre allo stesso modo il giorno della partita, era un rituale che aveva portato fortuna, almeno sino alla finale.

Come riesce un tennista numero 150-200 al mondo a “campare” onestamente? Che cosa gli consiglieresti? Non sarebbe il caso di aumentare il prize money?

Sono del parere che la ripartizione del prize money sia ingiusta. A parte i primi 100 gli altri guadagnano quasi niente. Diventa indispensabile per chi è 150-200 al mondo e vuole mettere qualcosa da parte giocare le competizioni a squadre, la Bundesliga, qualificarsi in tornei dello Slam e fare qualche qualche apparizione nei tornei Atp. Non può esistere che un 150 del mondo debba fare riferimento alle competizioni a squadre per avere qualche guadagno. Bisogna alzare i prize money perché sono troppo bassi, l’hanno fatto per semifinali, finale e vittoria mentre ai primi turni sono rimasti più o meno identici. Chi perde al primo turno di qualificazione in un Atp 250 prende 600 dollari, non esiste per chi deve soggiornare in hotel e andare in giro col proprio allenatore. Delle volte non danno nemmeno il pass per continuare a stare dentro al torneo, sono cose abbastanza ridicole. Il consiglio che posso dare è quello di giocare obbligatoriamente le qualificazioni dello Slam, poi nei tornei uno deve essere bravo a variare, magari perde nei challenger ma trova 3-4 settimane positive in tornei Atp. Non c’è una regola fissa a parte gli Slam, bisogna essere bravi a variare.

Per chiudere, quali sono gli obiettivi per questa seconda parte di stagione?

Il mio obiettivo è quello di migliorare il ranking con cui ho chiuso l’anno precedente. Ora a causa di qualche problema fisico sono indietro nella tabella di marcia però ciò non mi distoglie dall’obiettivo. Per certo avrò bisogno di una seconda parte di stagione migliore della prima. Riguardo i programmi dopo Wimbledon starò fermo una settimana ad allenarmi per poi andare a San Benedetto, Umago e Gstaad . Diciamo che mi dividerò tra challenger e tornei del circuito maggiore più o meno nella stessa misura. Quasi sicuramente non andrò negli Stati Uniti come di solito faccio in occasione dei Masters 1000. Sarò presente invece a New York per gli Us Open. Col fatto che sono stato fermo per via degli infortuni ho preso questa decisione per evitare il rischio di stare due mesi fuori. Tra l’altro questo era l’unico anno che avevo deciso di giocare un po’ di più negli Stati Uniti ma il caso ha voluto che cambiassi subito idea.

Ah, hai visto il restyling del sito Atp con la tua nuovo foto? A differenza degli altri indossi un maglioncino grigio…

No, ultimamente sono stato un po’ in vacanza e non ho seguito moltissimo neanche il tennis, ho staccato la spina. Non ho visto ma andrò a vedere non appena terminerà questa chiacchierata. Di sicuro immagino sia tra i pochi se non l’unico, mi contraddistinguo dagli altri  anche per questo (ride, ndr).

 

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