Nella splendida cornice del Tennis Villa Reale Monza, che sta ospitando la prima edizione dell’Atkinson Monza Open, abbiamo avuto il piacere di fare due parole con Filippo Romano, talento ligure classe 2005 che piano piano si sta facendo spazio sia in singolare che in doppio. Un ragazzo timido, introverso, che si fida di pochi e ha una gran voglia di migliorare, senza mai perdere quell’essenza che lo rende se stesso. Dopo diversi cambi di coach e una parentesi importante al Centro Coni di Tirrenia, oggi si allena a Torino con Gipo Arbino e Federico Maccari. In doppio ha già raggiunto la posizione numero 237 ATP, mentre in singolare è ancora alla ricerca della continuità che può fare la differenza. In questa chiacchierata ci ha parlato del suo passato, del presente e del sogno di entrare, un giorno, nel circuito maggiore. E, soprattutto, di quanto credere in se stessi resti il primo passo per provare a fare la differenza.
Quando hai preso in mano una racchetta per la prima volta, e che bambino eri dentro e fuori dal campo?
“Ho preso la racchetta in mano la prima volta a cinque o sei anni. All’inizio ero più attratto dal calcio, il tennis è arrivato dopo. Col tempo ho capito che preferivo uno sport individuale, dove tutto dipende da te, e allora mi ci sono buttato. Come bambino ero molto timido, soprattutto all’apparenza. Poi quando mi aprivo diventavo uno che parlava anche troppo… anzi, parlo ancora troppo, a volte! (ride)”
Quando hai capito che il tennis poteva diventare più di una semplice passione?
“Alle medie, quando gli amici iniziavano a uscire, io mi allenavo, poi andavo a casa la sera a studiare. Da lì ho iniziato a capire che facevo scelte diverse. Poi sono arrivati i campionati italiani, i tornei internazionali, qualche successo… e ho pensato: ok, forse può davvero diventare il mio lavoro.”
Dove sei cresciuto tennisticamente e chi ti ha seguito nei primi anni?
“Sono cresciuto ad Arcola, vicino La Spezia. Il mio primo maestro è stato Massimiliano Benedetti, dai 6-7 anni fino ai 12-14.
Poi ho girato: sono stato un anno e mezzo a Tirrenia, grazie alla Federazione, perché non avevo una struttura fissa a cui appoggiarmi. Dopo ho provato un anno a Massa, uno a La Spezia, alla fine adesso mi sono stabilito a Torino.”
Adesso sei al Circolo della Stampa con Gipo Arbino e Federico Maccari. Che tipo di lavoro state facendo?
“Gipo è il primo coach di alto livello con cui lavoro seriamente. Non pensavo fosse così importante avere una figura del genere accanto, invece è davvero fondamentale. Anche Maccari mi sta aiutando tanto. Stiamo lavorando sul servizio e su tutte quelle situazioni chiave della partita: i momenti di difficoltà, i passaggi a vuoto. L’obiettivo è salire ancora un po’ in singolare, entrare nei 500 per iniziare a giocare Challenger. In doppio sono già intorno al 200, quindi ha senso cercare di crescere su entrambi i fronti.”
Hai avuto un passaggio anche a Tirrenia: che rapporto hai con la federazione?
“A Tirrenia mi sono trovato bene ma lì cambi spesso coach, non hai mai un punto di riferimento fisso. È difficile costruire un rapporto continuo come sto facendo adesso a Torino. La federazione però mi ha sempre aiutato e sta continuando a farlo, e per questo la ringrazio. Ovviamente ci sono cose che funzionano meglio e altre meno, ma in generale sono contento.”

In un percorso così lungo, la famiglia quanto ha contato?
“Tantissimo. Senza i sacrifici dei miei genitori, oggi non potrei fare questo sport. Hanno dato tutto, soprattutto economicamente, e nel tennis purtroppo quella è una parte fondamentale. Puoi essere anche fortissimo, ma se non puoi permetterti staff, allenamenti, viaggi, è difficile fare bene. Da bambino poi non decidi tu, sono loro che ti spingono, che ti supportano, che fanno tutto. Per me sono stati il 99% del percorso.”
Avevi un idolo da bambino? Qualcuno che ti ispirava?
“Djokovic. È quello che mi ha sempre trasmesso di più. Non mi rispecchio nel gioco, ma quando lo guardo mi vengono i brividi. Con gli altri non mi succede. La sua grinta, il suo modo di stare in campo, non so, mi arriva qualcosa da lui.”
C’è un bel gruppo di coetanei nel circuito. Con chi hai legato di più?
“Uno degli amici più stretti è Federico Bondioli. Ci sentiamo spesso anche fuori dal tennis. L’anno scorso siamo anche andati in vacanza insieme. Poi c’è Francesco Forti, che mi ha aiutato tanto da piccolo e con cui ho ancora un bel rapporto. Con Francesco Maestrelli ho passato tanto tempo a Tirrenia, con Jacopo Vasamì ci conosciamo da quando avevamo 11-12 anni. In generale c’è un bel gruppo, siamo cresciuti insieme.”
A 19 anni molti tuoi coetanei stanno a casa, vivono una routine normale. Tu giri il mondo. Ti pesa a volte? Ti manca qualcosa?
“Ne parlo spesso con gli amici quando torno. Da fuori sembra tutto bello, ma quando entri davvero in questa vita capisci quanto è faticosa. Stress, pressione, partite da preparare, viaggi continui, anche la giornata ‘normale’ di un torneo non è semplice.
È una vita privilegiata, per carità: giri il mondo, fai esperienze uniche ma servono tanti sacrifici. Anche chi ti sta vicino come amici, famiglia, fidanzata devono capirlo. A me manca di più la mia ragazza, i miei genitori. Gli amici li sento, ma non mi affeziono facilmente. Preferisco pochi ma buoni.”
Programmare singolare e doppio non è facile. Come ti stai organizzando?
“Devo migliorare su questo. In doppio per salire devi giocare Challenger, ma in singolo non ho ancora il ranking per farli in pianta stabile.
Sto cercando di restare intorno al 230-240 in doppio, e intanto salire in singolo per avvicinarmi ai 500. Così poi posso avere una programmazione più lineare e iniziare davvero a fare i Challenger sia in singolo che in doppio.”
Quali sono i tuoi punti di forza in campo? E su cosa stai lavorando di più?
“Il servizio sicuramente, anche se ultimamente faccio fatica a trovare continuità. Se riesco comunque a stare in partita con gente forte, anche quando non servo al meglio, vuol dire che sto crescendo in altre cose. Mi sento forte anche a rete, con le volée, e nella risposta. In generale credo di essere un giocatore abbastanza completo, senza troppe lacune grosse.”
E sul lato mentale? Come ti senti oggi?
“Ci sto lavorando. A certi livelli la testa è tutto. Entrare in campo tranquillo, dare il 100%, restare lucido nei momenti decisivi, è quello che fa la differenza. Io non ci riesco ancora sempre, non sono ancora così libero e consapevole come vorrei. Però sto cercando di migliorare anche lì.”
Due anni fa ti sei operato alla spalla. Quanto ti ha segnato quel periodo?
“Tanto. Mi aspettavo di giocare una stagione junior importante, invece mi sono ritrovato fuori praticamente un anno intero. Mi ero fatto male ad aprile e anche quando provavo a giocare, la spalla usciva. Alla fine, ho dovuto operarmi. Perdere tutta la stagione è stato pesante anche per il ranking: sono ripartito con la classifica dell’anno prima, quindi ero molto indietro e non sono riuscito a fare quello che speravo. All’inizio lo stop sembrava quasi rilassante, ma dopo un mese è diventata un’agonia. Non potevo fare niente, nemmeno camminare. Stavo sul letto tutto il giorno, vedevo gli amici andare al mare e io bloccato. È stato bruttissimo.”
Giochi la Serie A1 con Santa Margherita Ligure. Che esperienza è per te?
“Bellissima, ma con tanta responsabilità. Siamo una squadra fortissima, secondo me una delle migliori. L’anno scorso siamo usciti in semifinale a causa di una giornata storta, ma l’obiettivo resta quello di vincere. La pressione c’è, ma è giusto così. Stiamo lavorando tutti per arrivare fino in fondo.”
Fuori dal campo, che tipo sei? Hai passioni, hobby?
“Sono un po’ un vecchio dentro (ride). Ho 19 anni, ma mi piace stare a casa, fare cose tranquille. Non amo i locali, le discoteche, le serate con tanta gente. Preferisco uscire con la mia ragazza, stare con pochi amici veri. Una passeggiata, un gelato, mi bastano poche cose per stare bene.”
Che rapporto hai con la vittoria e la sconfitta? Ti godi i progressi o ti giudichi tanto?
“Mi giudico tanto. Faccio fatica a digerire le sconfitte, anche se sto migliorando. Quest’anno è successo di perdere e giocare bene, e sto cercando di viverla con più serenità. Alla fine, è una partita di tennis, non è la fine del mondo. È dura, ma l’obiettivo è riuscire a gestire meglio la tensione e vedere le cose in modo più lucido.”
Hai 19 anni, una carriera tutta da scrivere. Come ti immagini tra qualche anno?
“Il sogno è giocare nel circuito maggiore, potermela giocare con chiunque. In doppio mi sento già più pronto, ma anche in singolo penso di poter arrivare a buoni livelli. Non voglio mettermi limiti. So che posso farcela.”
Se potessi parlare al Filippo bambino, cosa gli diresti?
“Che è sulla strada giusta. Di crederci ancora di più, di allenarsi sempre. Perché è l’unica cosa che conta.”
E oggi, come stai? Non come tennista, ma proprio come persona.
“Sto bene. Anzi, benissimo. Mi sento maturato, ho tutto quello che mi serve. Le sconfitte buttano giù, è normale, ma fanno parte del percorso. A livello personale, non potrei chiedere di più”,