di Franco Marucci
Ieri avevo lasciato in sospeso, per sopraggiunta fame, tre incontri di sedicesimi, e vi erano impegnati Gariglio, Evangelisti e Maccari: tutti e tre out. Gariglio si deve ancora “fare” e avrà tempo di rifarsi, Evangelisti deve pure lui maturare o si spera: a preoccupare un pochino è Maccari, che è ormai al capolinea del suo percorso under 18. Ho visto ieri solo sprazzi non probanti del suo match, e non posso giudicare. C’è da augurarsi che sia stato solo un passo falso. Una rettifica: Mercuri ha vinto ieri regolarmente, non per ritiro, ma ha oggi ceduto allo slovacco Fabian.
Oggi giornata dedicata agli ottavi, da cui sono stati promossi ai quarti tre nostri maschi; nel femminile unica superstite Deborah Chiesa. Il primo nostro quarterfinalist è stato Pietro Licciardi. Domani mi riprometto di seguirlo integralmente, anche perché cozzerà contro Stanek in un match che si annuncia difficile e speriamo anche avvincente. Quello suo di oggi contro uno scorbutico romeno, tra l’altro programmato sul campo meno accessibile del circolo, era concomitante con altri match che non volevo perdere. Il derby napoletano, o campano, tra Rizzuti e Mastrelia è andato a quest’ultimo, un giocatore non brillante, non molto potente, ma paziente tessitore, oltre che più esperto di Rizzuti. Una copertura totale ho invece dedicato al match di Camilla Rosatello, perso contro la quindicenne croata Ana Konjuh. Quest’ultima, una giocatrice molto compatta di fisico, già muscolata sebbene non alta, è dotata di una prima palla tesa e robusta che quando entra avvia bene il gioco; possiede poi buone accelerazioni di diritto e di rovescio, e uno dei migliori anticipi visti in questo torneo femminile, soprattutto in risposta. In virtù di questo ha lasciato spesso ferma la Rosatello, anche se ha concesso come ovvio qualche errore e ha avuto i suoi passaggi a vuoto. Introduco un discorso che dovrò rifare per Pairone: le italiane non sembrano avere molte varianti a un gioco soprattutto palleggiato, e presto Rosatello, in altre parole, non ha più saputo cosa fare e cosa inventare. Subiva, e ha provato la smorzata, ma non è il suo colpo; ha provato anche ad alzare, ma nemmeno così andava. Piccolo sillogismo finale: Rosatello, del 1995, è 1100 WTA, e allora ciò significa che Konjuh, del 1997, è pronta per il lancio in orbita, e se ne parlerà quasi sicuramente tra qualche anno nel tennis che conta. Se supera qui la polacca tds n. 1 va in finale e magari vince il torneo.
Matteo Donati ha fatto suo abbastanza agevolmente il primo set (6/3) contro il mancino croato Franko Miocic, lasciando ben sperare (a proposito: quanti mancini e mancine a questo torneo, e quanta Croazia e quanta Slovenia). Ora questo Miocic è praticamente una fotocopia di Stanek: entrambi mancini, entrambi molto alti, entrambi dotati di una prima fuori dell’ordinario con movimento molto similare, entrambi giocatori di pressione da fondo. L’unica, o una differenza è che Stanek è muto, Miocic fin troppo chiacchierone: si lamentava platealmente ad ogni punto sbagliato, anzi teneva ad alta voce vere e proprie concioni nel suo dialetto che non parevano decisamente le preghiere del Venerdì santo. Sennonché l’incontro è improvvisamente girato nel secondo set, e Donati lo ha riacciuffato e portato a casa quasi per miracolo al terzo. Già dalle prime battute si è visto un Donati opaco, sotto tono, privo di idee e di creatività e di soluzioni vincenti. Non veniva più avanti, aggressivo come ieri, anche perché scottato da alcuni precoci passanti acrobatici del croato; commetteva anche errori marchiani e anche le smorzate erano lunghe e telefonate. Esplosivo, sia pure occasionalmente fuori misura, Miocic saliva dunque nel secondo mentre Donati ballava paurosamente e andava 4/0 contro. A questo punto Donati chiedeva saggiamente il fisioterapista per un dolore alla spalla forse inesistente, in realtà per fare mente locale. Mollato il set il nostro si è ripreso al terzo, e pur sempre tenendo basse percentuali ha messo dentro i punti che contano e ha chiuso con un 6/2. Ma occorrerà domani un pronto riscatto e maggiore smalto contro l’ispanico Esteve Lobato: se Donati gioca come oggi perde.
Nulla posso dire del nuovo trionfo (6/2 6/1!) di Deborah Chiesa: quando sono accorso al suo campo stava già stringendo la mano dell’avversaria cèca Gabriela Pantuckova. Facendo gli scongiuri potrebbe vincere anche domani e approdare in semifinale (e se sì troverebbe presumibilmente la Ferro!). Per non fare torti ho infatti optato per il match, contemporaneo, della Pairone, che permetteva di rivedere all’opera, per l’appunto, la francesina con nome italiano. Già durante il palleggio era curioso notare i rispettivi padri sistemati su una sedia all’altezza delle righe di fondo dietro la rete di cinta, uno da una parte e uno dall’altra, come per controllare le chiamate out e in. Ma le “cugine” non hanno tentato alcun furto. L’incontro è stato equilibrato ma la vittoria della Ferro non è mai stata in dubbio (6/3 6/3 lo score). È chiaro che una sconfitta del genere brucia parecchio per noi italiani: una francese semiitaliana, per di più quindicenne, che stende la migliore delle nostre sedicenni. Una diagnosi dell’incontro è la seguente: Pairone è entrata in campo con un gran fifa di perdere, e ha tirato ancora più piano del solito, imballata, ipnotizzata, poco reattiva e poco mobile. La maturità e il giudizio di questa giocatrice non sono in discussione, e comunque, alla luce di questa partita (sottolineo, questa partita), Pairone deve mettere più aggressività e più varietà nel suo tennis. La Ferro ha giocato in difesa, ma ribatteva colpo su colpo senza perdere campo, e quando possibile contrattaccando, e in maniera quasi sempre micidiale. Bisognava vedere insomma la lentezza di preparazione ed esecuzione del colpo della Pairone (palla impattata sempre mentre scende, senza montarvi sopra) contro l’estrema rapidità del movimento a frustata della sua avversaria. La cosa preoccupante è che Pairone ha giocato due set perfettamente uguali, e li ha appunto persi con l’identico punteggio. Per esempio si è incaponita a giocare sempre il rovescio bimane di spinta senza mai provare il back nemmeno in difesa; smorzate fatte zero, subite parecchie. Quando si perde tirando viene almeno in mente di alzare, di rallentare, ma nemmeno quello. Indubbiamente anche Pairone, come le altre italiane, non ha confidenza con il gioco di rete, e di attacchi in controtempo nemmeno a parlarne; e del resto le poche volées sono state molli e regolarmente “passate”. La Pairone è uscita dal campo piangendo. Tutte queste obiezioni vanno rispettosamente girate ai suoi allenatori e ai tecnici federali, perché se non mette un po’ di turbo nel suo motore la Pairone sarà presto scavalcata dalle coetanee e anche dalle più giovani.
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