La scalata di Roberto Carballés

Carballes Baena

Di Paolo Silvestri (foto Giulio Gasparin)

Non c’e peggiore sfortuna che essere cieco a Granada. Così recita la saggezza popolare, in allusione alle meraviglie architettoniche e monumentali che si possono ammirare nella città andalusa, a cominciare dall’Alhambra, il palazzo da Mille e una Notte che è forse la più mirabile traccia lasciata da secoli di dominazione araba in Spagna. Ma la storia di Granada presenta anche mirabili tracce tennistiche, perché ci sono nati nientemeno che Manolo Orantes e Pepe Higueras, e c’è cresciuto, pur essendo nato a Tenerife, Roberto Carballés Baena.

Chissà se essere cresciuto in quella che fu la capitale di un grande Califfato arabo avrà qualcosa a che fare, fatto sta che il Marocco porta fortunaal giovane giocatore iberico. Ha infatti appena vinto a Kenitra il suo primo Challenger, a scapito del compatriota e compagno di allenamenti Oriol Roca, proprio una settimana dopo aver raggiunto a Meknes la sua prima finale, battuto da un altro spagnolo, Daniel Muñóz de la Nava, che a trent’anni suonati ha coronato il suo sogno di entrare fra i Top 100. E proprio in questi due tornei l’anno scorso Carballés era arrivato in semifinale, in un paese ed in una stagione che l’avevano visto compiere il suo maggiore exploit, cioè passare le qualificazioni e raggiungere le semifinali dell’Atp 250 di Casablanca, ancora battuto (ma vendendo carissima la pelle) da uno spagnolo, Guillermo García-López.

Derby spagnoli in terra marocchina, curiose coincidenze che non hanno di per sè importanza, se non quella di confermare la costante progressione del giocatore nato nelle Canarie, cresciuto in Andalusia e tennisticamente trapiantato, tanto per cambiare, in Catalogna. Prima il CAR (Centro de Alto Rendimiento) di Sant Cugat, poi una parte della strada insieme a Pablo Carreño sotto la guida Javier ‘Dudu’ Duarte, e infine l’approdo alla ProAB Tennis Academy con un’altra vecchia volpe del tennis spagnolo, Josep María Arenas, ex prima categoria, braccio destro di Alex Corretja come capitano di Davis, e in passato coach di gente come Portas o Montañés. In Accademia Roberto è seguito da uno staff tecnico di tutto rispetto, competente e sperimentato, con la presenza trainante di Paula Suárez ed in cordata insieme Jordi Samper, Gerard Granollers (oltre al citato Oriol Roca), la campionessa del Roland Garros Junior Paula Badosa e la nostra nostra Alice Savoretti.

Roberto, “Robert” per gli amici, è ancora un giovane professionista, ma ha una storia tennistica a livello infantile e giovanile ricca di successi, soprattutto in doppio, disciplina nella quale è stato campione di Spagna in quasi tutte le categorie, dall’under 12 insieme a Carlos Boluda, fino a quella assoluta dello scorso anno con il fido Oriol Roca. E molti trofei a livello internazionale (tra l’altro l’Avvenire 2009, in cui è stato vincitore in doppio e finalista in singolo), con il fiore all’occhiello della vittoria in coppia con Andrés Artuñedo alRoland Garros Junior 2011, anno in cui è stato anche campione d’Europa under 18 sia in doppio che in in singolo, ed è entrato nella Top 10 di categoria.

Il sempre delicato passaggio al professionismo è stato nel suo caso quasi fisiologico, senza eclatanti sorprese (se escludiamo Casablanca 2014), ma neanche crisi traumatiche di adattamento al mondo dei “grandi”. Un progressione lenta ma constante, che ha privilegiato il singolo, con una decina di titoli Futures e altrettante finali, oltre a buoni piazzamenti a livello Challenger, e che è culminata appunto con la finale e la vittoria dei recenti tornei marocchini. Questo percorso compiuto senza fretta ma senza soste, sin prisa pero si pausa come si dice in spagnolo, si riflette bene nell’evoluzione del suo ranking, che lo vede chiudere il 2010 intorno al numero 700, per poi guadagnare grossomodo un centinaio di posti all’anno e riuscire a raggiungere nella classifica di questa settimana la135º posizione.

Destrorso e con rovescio bimane, ha un gioco fondamentalmente “alla spagnola”, che gli si confà anche grazie a ottime doti atletiche, ma la sua esperienza come doppista gli consente in caso di necessità soluzioni alternative alla pressione da fondo. Il servizio non è un’arma definitiva, ma è un giocatore tenace, serio e maturo rispetto alla sua ancora giovane età, qualità che gli possono consentire di continuare a progredire e di tentare un assalto alla Top 100 che a questo punto non pare una chimera.

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