Paire: “Fognini è anche più matto di me”

Benoit Paire

di Alessandro Mastroluca

“Fognini è anche più matto di me”. Parola di Benoit Paire, che contro il qualificato Gastao Elias ha vinto la sua prima partita al quinto set al Roland Garros (si è imposto 57 63 46 64 62) e si troverà di fronte al secondo turno l’azzurro, uno dei giocatori che, racconta, gli piace di più veder giocare. “L’avevo detto al mio coach, Lionel Zimbler, che oggi non avrei giocato il mio miglior tennis, che non sarebbe stata una bella partita e avrei solo pensato a vincere”.

Avrebbe preferito affrontare qualcun altro, ammette, e non doversi confrontare con Fabio per la terza volta in carriera (1-1 il bilancio negli scontri diretti). “Adoro il suo modo di giocare ma farò di tutto per batterlo” spiega, “Fabio è capace di tutto e gioca sempre bene al Roland Garros. Io so che avrò il pubblico della mia parte e spero di poter arrivare a giocare meglio, più libero rispetto a oggi”. Anche se Fabio è un giocatore particolare, analizza, “ha una base di gioco che conosco. Ha un ottimo dritto, ha meno alternative col rovescio. Dovrò servire bene, attaccarlo quanto più possibile dalla parte del rovescio e cominciare bene. In fondo è un giocatore classico da terra battuta, capace comunque di colpi di genio, e so di poterlo battere, soprattutto qui al Roland Garros”.

Con l’Italia ha un legame particolare qui in Italia quest’anno, con la vittoria al Challenger di Bergamo si è messo finalmente alle spalle l’infortunio che ne ha frenato l’ascesa, lanciata proprio in Italia con la semifinale di Roma del 2013 persa contro Federer, preludio al best ranking di numero 24 del mondo. “Si è fermato quando era in piena fase ascendente” ha spiegato Zimbler, “non era una situazione facile, l’infortunio non era semplice da controllare e Benoit si è rifugiato in famiglia”. La sua isola, la sua ancora di salvezza, il rifugio della Tige (il giunco, questo il suo soprannome) che ha fatto a lungo parlare di sé più per l’amicizia, ai limiti della “bromance”, con Stan Wawrinka.

È in nome della famiglia, per non dover lasciare casa e spostarsi in un centro di formazione a 13-14 anni, che Paire opta per lasciare il calcio, il suo primo sport che ora segue solo da tifoso dell’Olympique Marsiglia, ma ancora sogna di trovarsi al posto di Gignac e segnare un gol al Velodrome, e darsi al tennis. Non si sente ancora pronto a partire, ma non è ancora maturo abbastanza da prendere una strada e seguirla ovunque porti. È una stagione di dubbi, di risultati che non arrivano, di studi che non vanno da nessuna parte. E la Federazione gli toglie i finanziamenti. È un momento sliding doors. “In quel momento una persona amica di mio padre è venuto a trovarlo e gli ha detto: Credo in Benoît, sono convinto che possa fare qualcosa. Sono pronto a pagargli un anno, dovunque lui voglia” ha raccontato in un’intervista del 2013. “All’inizio i miei genitori hanno esitato ma poi si sono detti che così non potevo andare avanti, che qualcosa bisognava fare. Hanno accettato e ho scelto di andare all’ISP Tennis Academy a Sophia Antipolis” in Costa Azzurra, vicino a Nizza, dove ora Patrick Mouratoglou conta di inaugurare per il 2016 la struttura privata più grande d’Europa. “Lì qualcosa è scattato. Mi sono reso conto di quanto l’allenamento fosse importante. Poi, visto che era qualcun altro a pagare e non i miei genitori, non avevo il diritto di sprecare quell’occasione, di fregarmene e fare quello che volevo. Sono diventato più serio e questo ha pagato perché quell’anno ho vinto i miei primi tornei junior, a Cap d’Ail e Istres, e un po’ più tardi il mio primo Future”. Anche questo è un colpo di fortuna, perché Benoit a quel tempo è molto amico di Léo Dominguez, figlio di Patrice, allora Direttore Tecnico Nazionale, che, dopo aver contattato il direttore dell’accademia di Sophia Antipolis, Charles Auffray, gli assegna una wild card. Benoit perde il primo set del torneo 6-0 e finisce per alzare la coppa.

Dal CNE si ritrova a Parigi, al CNE (il centro tecnico nazionale). È un’esperienza fallimentare, la nostalgia di casa è troppo forte, e il nuovo direttore tecnico, Patrice Hagelauer, nel 2009 gli dice chiaro e tondo che non rientra più nei piani della federazione. Per due mesi Paire non prende una racchetta in mano. È il secondo momento sliding doors, il secondo incontro che gli cambia la vita. “Sono andato a parlare con Rodolphe Cadart. A Aix-en-Provence. Aveva una piccola struttura in cui si allenavano quattro o cinque giocatori” raccontava. “Mi ha proposto di fare una prova, e il test è stato superato perché è lì che ho incontrato il mio attuale coach, Lionel Zimbler, che se n’era appena andato dalla Lagardère ed era nella mia stessa situazione”.

“Benoit funziona a modo suo” ammetteva l’ex coach di Fabrice Santoro, che in cinque anni ha portato Paire dal numero 491 al 24 del ranking. “Essendo molto sensibile, ha avuto difficoltà a realizzare di essere nella top 30 e non ha saputo controllare le sue emozioni. Lui vorrebbe solo giocare con Federer o Nadal sui campi principali, vorrebbe disputare solo match che gli procurino grandi emozioni”.

Di sicuro, contro Fognini a Parigi, quasi certamente su uno showcourt, le emozioni non mancheranno. Per nessuno.

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