Due volte nella polvere, due volte sull’altare

di Sergio Pastena

Scrivo questo pezzo a mezzogiorno spaccato, ovvero a tre ore giuste dalla finale di Wimbledon, in barba a qualunque forma di scaramanzia. Il problema è che quella che sembrava una remota eventualità alla vigilia del torneo, via via si è trasformata in un’opportunità sempre più concreta e dopo la semifinale contro Djokovic ha assunto i tratti della congiuntura astrale ineluttabile. Federer, questa finale, non poteva non vincerla. E quando gli ho visto sollevare il trofeo ero felice come un bambino.

A qualcuno magari potrà sembrare eccessiva e stucchevole tutta questa retorica, e magari lo è: King Roger ha fatto un gran torneo, ma ha anche avuto la fortuna di non beccare Nadal in finale e di giocare contro un Djokovic in giornata no. Inoltre chi scrive un articolo dovrebbe essere super partes e, sebbene io non mi sia fatto problemi a mazzolare lo svizzero dopo la semifinale degli Australian Open, resta alta la possibilità di essere coinvolto in un noiosissimo dibattito tra federiani e nadalisti, in ossequio alle regole non scritte della faida tra tifosi più ridicola della storia del tennis per cui, se si parla dello svizzero, si deve fare il paragone con lo spagnolo e viceversa.

Eppure devo dirlo: tifavo per Federer come un invasato. Mi avessero ripreso, avrei avuto una cattedra di diritto nell’Università degli Hooligan.

Esagerato? Forse sì, ma mettetevi nei panni di un appassionato di tennis, amante dell’estetica applicata allo sport, che abbia avuto la sventura di nascere all’inizio degli anni ’80. Non sono pochi e tra loro ci sono io, che per una vita ho tifato Fabrice Santoro. Beh, piaccia o no questa condizione non è facile, se andiamo a vedere: sei nato troppo presto per poterti godere il periodo d’oro di SuperMac e ai tuoi primi ricordi tennistici “seri” fai risalire anche le tue ultime gioie da tifoso, con le vittorie di quello svedese che a rete aveva una calamita al posto della racchetta e rispondeva al nome di Stefan Edberg. Ricordi anche, però, che nel complesso ha vinto di più Becker e che Lendl, di cui hai vissuto coscientemente gli ultimi scampoli di carriera restando traumatizzato per cotanto obbrobrio, in quanto a vittorie se li è messi in tasca tutti e due. Come se non bastasse, mentre la stella di Stefan cominciava ad eclissarsi, sorgeva quella di Jim Courier, yankee capace di salire al numero uno producendo diritti in catena di montaggio.

Già lì si cominciava a capire che non era aria: nuovi materiali, nuove metodologie di allenamento, superfici e palle che cambiavano, il talento che contava sempre meno rispetto all’atletismo e alla potenza.

Così ti sei dovuto accontentare di un Sampras, tennista immenso ma che certo non aveva la delicatezza del soffiatore di vetri di Murano. Oppure di Agassi: coinvolgente, piacevole, ma non proprio un Federer. Il regno brevissimo di Rafter, una settimana sola, suonò beffardo come un risarcimento di cento euro dato a uno a cui han bruciato la casa. Poco dopo, infatti, per un annetto buono il divertente Kuerten e il talentuosissimo Safin ti han fatto sperare in qualcosa di meglio, prima che il brasiliano cadesse sotto i colpi degli infortuni e il russo sotto quelli delle Safinette. Safin e Nalbandian, che sprechi: tutti e due fermati dal letto, sebbene l’argentino lo usasse per dormire e il russo per fare altro.

Poi arrivò il peggio.

Ne abbiamo viste di tutti i colori, noi. Terraioli anonimi salire in vetta sull’onda di un Roland Garros, corridori australiani prendere la testa macinando chilometri, sgraziati battitori americani col mondo ai loro piedi. E pure dopo abbiamo avuto la nostra dose abbondante, tra Spagna e Serbia, tra arrotatori folli e sadici divoratori del romanticismo tennistico.

In mezzo qualche anno di luce, solo qualche anno e scusate se è troppo. In mezzo uno svizzero dal braccio predestinato, che ha sacrificato parte dello spettacolo alla concretezza per spazzare via mezzo circuito. Comprensibile, umano, tanto più che una vittoria netta di Federer è piacevole da vedere per il semplice motivo che sarebbe bello anche vederlo giocare da solo contro un muro.

E’ vero che Roger, come dice sempre il buon Scanzi, è coinvolgente come un frigorifero. E’ altrettanto vero che il suo dominio per anni è stato così netto ed incontrastato che proprio non vedo come potesse dare pathos alle partite, a meno di non prensentarsi in campo con un braccio amputato. Poi venne Nadal e cominciarono i problemi: da quello stesso momento, però, la storia dello svizzero ha cominciato a somigliare paurosamente a quella di Napoleone.

Nel 2009, dopo numerose Trafalgar, è arrivata la riscossa di Austerlitz al Roland Garros, complice un Nadal fermo ai box. Poi lo spagnolo è tornato e si è aggiunto quel bel tipo di Djokovic, e a quel punto sono arrivate tantissime Waterloo: sconfitte dolorosissime, stop imprevisti, ogni tanto set giocati magistralmente che però non servivano ad evitare le sconfitte. Fino a non crederci più, fino a non sperarci più, fino a vedere Federer con meno della metà dei punti di Djokovic in classifica, alla vigilia delle Atp Finals del 2011.

E poi l’ultima Restaurazione. Imprevista e imprevedibile, per questo molto più goduta.

Gentilmente taccia, quindi, il tifoso di Nadal che vorrebbe far notare che Federer quest’anno comunque non ha mai vinto con lo spagnolo in uno Slam, pur battendolo due volte in altre occasioni. Taccia, se non è chiedere troppo, chi vuole far notare che anche i suoi rivali gli han dato una bella mano, dividendosi i punti e incorrendo in qualche sconfitta imprevista. Taccia chi vuole attaccare la solfa che lo svizzero è troppo politically correct, manco che un tennista fosse un editorialista del Times.

Lasciateci gioire in pace, ce lo meritiamo dopo tanta sofferenza. In fondo che vi costa? Abbiam sempre tifato per i belli e perdenti nella convinzione che l’unico tennis bello sia il bel tennis, cosa sarà mai se per una volta vinciamo anche noi? E poi toglieremo il disturbo presto, non vi preoccupate, tanto non è realistico pensare a un Federer capace di rimanere in sella a lungo. Già è molto difficile che arrivi al numero uno a fine anno. Oggi, però, è il giorno in cui Napoleone è tornato dall’Elba, riprendendosi il suo impero, quindi lasciatecelo celebrare.

Verrà anche Sant’Elena, ma con calma: noi non abbiamo fretta.

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