Il primo alloro di Christina McHale


Non è mai stata considerata l’erede delle sorelle Williams e mai è riuscita a diventare un personaggio nel mondo del tennis femminile professionistico, ma Christina McHale è senza dubbio una tennista di livello che merita di ricevere più attenzioni di quanto successo fino ad oggi. Non dotata di una tecnica particolarmente appariscente, Christina si è messa in evidenza già in occasione di alcuni tornei giovanili ed ha avuto il merito di scalare rapidamente la classifica WTA: dopo i primi passi nel circuito maggiore tra 2009 e 2010, nei quali ha preso parte ad eventi non solo ITF grazie all’aiuto della federazione americana sotto forma di wild-card, nel 2011 è riuscita a passare dalla posizione 115 alla 42. Un ranking all’interno delle prime 50 del mondo le ha permesso di poter essere al via di quasi tutti i main draw del circuito maggiore e nel 2012 Christina ha saputo dimostrare che non avrebbe magari portato gli Stati Uniti a vincere Slam senza dover contare sempre sulle “solite” sorelle Williams (più Serena che Venus, allora come adesso), ma che sarebbe almeno potuta diventare un’ottima giocatrice in grado di spingersi magari tra le prime 20 del mondo e di dare fastidio a quasi tutte le migliori, in particolar modo su cemento e terra. Il 2012 l’ha vista raggiungere il terzo turno nei primi tre Slam della stagione (rese onorevoli contro Jankovic, Li e Kerber), i quarti a Doha e Carlsbad, eliminare top 10 quali la Kvitova ad Indian Wells e Caroline Wozniacki a Eastbourne, di entrare a far parte del team americano di Fed Cup e di ottenere il best ranking di numero 24 del mondo. La seconda parte di 2012 si è rivelata però per lei un incubo, con 5 sconfitte consecutive da Montreal a Osaka (inclusa una dolorosa e prematura uscita al primo turno degli Us Open, torneo di casa per la tennista cresciuta nel New Jersey); in seguito a quella striscia negativa ha scoperto di aver contratto la mononucleosi, sempre più malattia dei tennisti e che l’ha costretta ai box nella parte finale di quella stagione, nonché fortemente limitata nella prima parte di quella successiva. Mentre il best ranking si allontanava sempre più e le attenzioni degli appassionati americani ricadevano sulle sorelle Williams e sul nuovo astro nascente del tennis a stelle e strisce, Sloane Stephens, di un anno più giovane di lei (Christina è classe 1992) e capace di eliminare addirittura Serena agli Australian Open per spingersi così fino alle semifinali del primo Slam stagionale, Christina è incappata in un preoccupante vortice di sconfitte dovute allo scarso stato di forma dovuto al lento recupero dalla malattia.
Alle tante sconfitte della prima parte di stagione hanno fatto seguito piccoli segnali di ripresa durante i tornei sul rosso, non sufficienti però per arrestare il suo crollo in classifica, ben testimoniato dalla posizione numero 114 del ranking con cui si è presentata al via dei “suoi” Us Open. Proprio nell’ultimo Slam della stagione ha ottenuto ottime vittorie contro Goerges e Svitolina prima di arrendersi, non senza lottare, alla Ivanovic al terzo turno; le semifinali raggiunte a Québec City nel torneo immediatamente successivo a New York le hanno permesso di concludere la stagione almeno tra le prime 70 del mondo in attesa di un possibile rilancio nell’annata successiva. Il 2014 e 2015 non l’hanno però vista capace di ritornare tra le prime 30 del mondo, ma di navigare tra la 70esima e la 50esima posizione del ranking senza mai davvero mettere a segno acuti importanti. Nel 2014 ha raggiunto la prima finale WTA in carriera ad Acapulco (persa lottando contro l’allora neo top-10 Cibulkova) e ha messo seriamente in difficoltà la Sharapova a Madrid andando avanti per 41 nel terzo set durante il loro match di secondo turno prima che la russa vincesse 5 giochi di fila e andasse a conquistare il Premier Mandatory spagnolo, mentre nel 2015 ha raggiunto i quarti a Roma (battendo la Errani al secondo turno prima di arrendersi alla sorpresa Gavrilova) e le semifinali proprio nel torneo International di Tokyo, arrendendosi alla non trascendentale polacca Linette. Il suo 2016 fino ad ora ha seguito il copione delle due stagioni precedenti, con sporadici piazzamenti interessanti e alcune partite disputate ai livelli della prima parte di 2012 come il secondo turno di Indian Wells (vittoria in due set sulla Muguruza) e vari incontri che l’hanno vista opposta a Serena, match nei quali è sempre riuscita a dare del filo da torcere alla più ben più blasonata connazionale tra Miami, Roma e Wimbledon. In questi incontri ha impressionato in particolar modo per la capacità di reggere senza troppi problemi la potenza della Williams grazie all’ottima mobilità e la capacità di alzare le traiettorie per recuperare campo; specialmente nell’incontro sull’erba inglese ha mostrato una sorprendente abilità nel gestire con assoluta dimestichezza lo scambio con i colpi in lungolinea, invece di affidarsi quasi esclusivamente ai più classici incrociati, tattica le ha permesso di essere più aggressiva e di comandare gli scambi non solo con il dritto carico. I match contro Serena sembravano avere reso più serena anche Christina, forse in grado finalmente di esprimere nuovamente quel livello espresso ormai 4 stagioni prima e al quale sembrava poter dar ulteriore seguito per le annate a venire.
Dopo una buona stagione sul cemento americano, culminata con una netta sconfitta contro la nostra Vinci al secondo turno degli Us Open, si è trasferita in Asia, lei che, figlia di madre cubana, ha passato diversi anni della sua infanzia ad Hong Kong per seguire il padre trasferitosi in quel continente per lavoro. La prima tappa, ossia il torneo di Tokyo, si è rivelata assai fortunata per Christina, in grado, nella capitale nipponica, di portare a casa il primo trofeo WTA in carriera. La sua settimana giapponese però è stata tutto fuorché una passeggiata: per arrivare a sollevare il trofeo a dovuto giocare ben 15 set, ossia il massimo che potesse capitarle. Tutti i suoi incontri si sono conclusi al terzo set e si tratta di un risultato davvero inusuale se si pensa che Djokovic agli Us Open, un torneo che lo vedeva impegnato in match da 3 su 5, ha impiegato, agevolato dai tre ritiri di Vesely, Youzhny Tsonga, solo 14 parziali per raggiungere l’atto conclusivo. Christina ha dovuto quindi sudare le proverbiali sette camicie in ogni turno del torneo giapponese, ricorrendo al tie-break decisivo nei primi due turni contro Kozlova e Peterson, eliminando poi sempre in tre parziali tirati la rampante Golubic e l’altra ex promessa Cepelova (quest’ultima per 75 al terzo), prima di rimontare un set di svantaggio in finale ad una sempre più convincente e continua Siniakova. Non ha certo battuto dei fenomeni, ma si tratta di match che avrebbe tranquillamente potuto perdere, visto l’andamento delle partite, dal primo turno alla finale. La McHale invece ha avuto la capacità di emergere vincitrice da 5 battaglie consecutive, riuscendo a recuperare apparentemente senza problemi da ogni match per presentarsi pronta a nuove e lunghe partite da giocare nei turni successivi. Durante la settimana di Tokyo ha messo in mostra le sue doti di combattente, particolarmente evidenti ed efficaci su una superficie non troppo veloce come quella del torneo nipponico. La chiave delle sue vittorie future però risiede proprio lì, ossia nella capacità di non accontentarsi di difendere e contenere le avversarie, ma anche di provare con sempre più convinzione ed efficacia a dettare il gioco, come emerso il diversi frangenti dei suoi match contro Serena quest’anno. Non è dotata di gran potenza, ma il suo dritto il top è davvero un’arma importante e col rovescio riesce sempre a non perdere troppo campo; il servizio le permette di aprirsi il campo per giocare i suoi angoli spesso velenosi (su cemento e terra in particolare) e se riuscirà a mantenere questa condizione atletica, tenendo lontane malattie come quella che ha contratto nel 2012, potrà provare a tornare ai livelli del passato e a ritoccare il suo best ranking. In varie interviste ha dichiarato che vincere il primo trofeo a livello WTA è sempre stato un suo obiettivo e finalmente quest’anno è riuscita nel suo intento: che possa essere questo il torneo che la rilancerà definitivamente nel tennis che conta? Il ranking di lunedì l’ha vista rientrare tra le prime 50 del ranking (in posizione 42) e senza troppe cambiali pesanti da scontare nelle prossime 52 settimane potrà giocare libera da pressioni. Non è un personaggio che fa riunire le folle, Christina, ma è una ragazza solare e che esprime un tennis completo, seppur non così emozionante; non sarà nemmeno lei l’erede delle Williams, ma in fondo nessuna, americana o non, ci è ancora riuscita.

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