Bedene: “Niente accade per caso”

aljaz bedene

Aljaz Bedene insegue la prima vittoria slam della sua carriera. A New York deve prima qualificarsi, però: l’inizio è comunque positivo, 63 62 al primo turno allo svizzero Yann Marti. La sua carriera è stata a lungo frenata dagli infortuni. Ha saltato metà stagione nel 2008 per un polso rotto, nel 2010 si è fermato ancora proprio quando tentava il passaggio ai Challenger. Nel 2011 vince il primo Challenger, a Barletta, avvicina la top-100 ma il polso lo tradisce ancora e deve stare fermo due mesi. Nel 2012 chiude per la prima volta la stagione tra i primi 100. L’anno scorso arrivano la semifinale a Chennai, persa con Tipsarevic, e l’esordio slam: gioca tutti e quattro i major, perdendo sempre al primo turno. Raggiunge comunque il suo best ranking di numero 71. Quest’anno a Todi vince il suo ottavo titolo challenger su nove finali giocate. Eppure il racconto di questo suo ultimo biennio avrebbe potuto essere decisamente diverso. Perché  nell’estate di due anni fa, proprio a Flushing Meadows, il destino l’ha messo davanti a un tipico momento “sliding doors”, un momento che Bedene ha raccontato nel blog sul suo sito ufficiale.

Traduzione di Daniele Sforza

Vorrei raccontare a tutti lettori una storia interessante, qualcuno dirà forse che sono stupido altri diranno, forse, che sono un combattente. è successo ad Agosto 2012, giusto un mese dopo il mio ingresso nei top 100 (per la prima volta) e dopo le mie meritate vacanze. Ero arrivato al numero 83 del ranking ma una settimana dopo rispetto all’entry list degli Us Open, così ho dovuto giocare le qualificazioni. Ricordo quella settimana come fosse ieri. Il sorteggio era stato fatto il giorno prima e i match erano iniziati. Ero stato sorteggiato con Ze Zhang. Abbiamo giocato intorno all’ora di pranzo, così è stato difficile per me mangiare molto dopo la colazione. Quando stavo camminando per andare a giocare ho sentito un dolore nella parte sinistra del mio stomaco. Ovviamente mi lamentavo con me stesso per non aver mangiato abbastanza prima del match. Ho vinto facilmente in due set e ho dimenticato il mio dolore allo stomaco.

Sono andato a mangiare, mi sentivo felice e soddisfatto per la giornata. Dopo il pranzo sono tornato in hotel e ho riposato per un paio di ore. Non mi sentivo stanco e il mio corpo era rilassato. Come ogni sera sono andato a ristorante per la cena. Dopo una buona cena ero sulla strada per tornare in hotel. Ho sentito dolore di nuovo allo stomaco, questa volta nella parte destra e fortunatamente c’erano molti semafori così potevo stare nell’unica posizione in cui mi sentivo comodo – curvo con le mani sulle ginocchia. Penso ci fossero circa 10 semafori e mi sentivo come se stessimo camminando per sempre. I miei primi pensieri erano quelli a riguardo di cosa avessi mangiato prima per provocare quel dolore. Non ho pensato che tutto ciò fosse diverso rispetto ai giorni precedenti. Siamo arrivati in hotel. Io sono andato direttamente alla toilette e sfortunatamente per me, nonostante fossi andato un paio di volte prima di andare a dormire, il mio stomaco faceva ancora mare.

Ho dormito veramente bene, ma potevo girarmi solo da una parte perchè l’altra era troppo dolorosa. Mi sono svegliato e il dolore era ancora lì. Sono andato al bagno, e mi sono convinto che qualcosa non andava e forse avrei dovuto vedere un dottore. Prima però, come tennista professionista, dovevo allenarmi. Dopo aver fatto questo sono andato da un dottore. Il dottore mi chiese dove fosse il dolore, mi controllò e immediatamente mi rivelò il problema. Non lo ascoltai. Mi propose di non giocare il giorno dopo, essendo uno Slam (Us Open) gli chiesi gentilmente di darmi degli antidolorifici. Mi diede 4 pillole bianche che presi prima del mio match e il dottore stesso mi accompagnò al campo. Mi disse che mi avrebbe visto giocare l’intero match, si sedette e sfortunatamente per lui fu un match molto lungo.

Ho giocato con una Wc americana, Daniel Vinse il primo set, io presi il secondo e iniziai il terzo con un break. Ebbi i crampi alla gamba destra così pensavo di non poter giocare nello stesso modo fino alla fine. Per di più ho iniziato a sentire male allo stomaco, di nuovo. Sono stato bene per un paio di game e poi ho perso due game di servizio e alla fine ho chiamato il dottore in campo. Ho preso altri antidolorifici, mi sono sentito fiacco e stanco ma sono riuscito a risalire sul 4-4. Il mio avversario era al servizio e avevo un break point. Ho giocato un dritto vincente direttamente sulla linea ma la palla è stata chiamata fuori. Avrei dovuto servire per il match nel prossimo gioco ma invece persi quel gioco e dovevo servire per rimanere nel match.

Non ero arrabbiato, cosa che non era normale per me su un punto del genere. Ho avuto altri problemi, però volevo vincere il match e lo volevo finire in un pezzo. Ho servito bene e sono andato sul 5-5. Al primo punto del game successivo ho avuto crampi alle gambe e alle braccia. Siamo riusciti a tenere il servizio entrambi e siamo arrivati al tie break. Abbiamo giocato diversi lunghi scambi e il primo ad avere avuto la chance di vincere fui io. Ero 6-5, match point. Non dimenticherò mai quel punto, lungo scambio, l’avversario gioca lungo un colpo, rispondo pensando fosse fuori ma nessuno chiama la pallina out. Come se non potesse andare peggio, ebbi crampi al dito medio della mano con cui giocavo a tennis. Persi il punto ma ero ancora calmo. Continuai come se nulla fosse ma nella mia mente uscivano fuori brutte parole, non contro l’arbitro ma contro il mio dolore allo stomaco e a tutto il mio corpo. Ho salvato il primo match point ma sul secondo non ho potuto fare niente, ho perso. Ho sentito il pubblico impazzire.

Se qualcosa del genere fosse successo nel passato, mi sarei probabilmente arrabbiato con l’arbitro dicendogli che non poteva rubarmi il match in quel modo. Volevo solo uscire dal campo e così ho augurato a Daniel il meglio per il prossimo turno. Il più veloce possibile sono andato negli spogliatoi e il mio coach ha chiesto una macchina per l’ospedale. Siamo arrivati li presto, mi hanno scansionato (cambia il termine haha) mi hanno dato della morfina e mi sono sentito meglio. Il dottore è venuto a vedermi e mi ha chiesto se sentissi ancora dolore, gli ho detto che stavo bene e gli ho chiesto se potessi andare a casa. Mi ha detto che ero fortunato. L’appendice non era ancora scoppiata ma dovevo operarmi.

Come ho detto, tutto accade per una ragione. Mi sento come se ci fosse stato qualcosa di più forte che mi abbia impedito di vincere quella partita, ho dato tutto ma non era stato sufficiente. Mi conosco e se avessi vinto quel match non sarei andato all’ospedale in quello stesso giorno. Il mio 3 match sarebbe stato il giorno dopo ma probabilmente la mia appendice sarebbe esplosa quella notte e sarebbe stato tropo tardi per me. Da allora ho capito che tutto accade per una ragione.

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