Challenger Brescia: diario di bordo / 3

Luca Vanni1

di Luca Brancher

Memore di essere stato partecipe all’edizione d’esordio del challenger di Bergamo, ho deciso di non volermi perdere il varo di un’altra manifestazione indoor della provincia lombarda, per cui, con consueto anticipo, mi sono preparato per assistere ad almeno un giorno della prima edizione dell’ATP di Brescia, novità dei challenger autunnali italiani. Fatti i biglietti di Trenitalia in classe super-economy e ricevuto l’accredito stampa, decreto che martedì 11 novembre sarebbe stato il giorno giusto per presenziare. E, col giusto anticipo, decido di muovermi da casa.

Come spesso mi succede, i miei primi passi all’interno del centro San Filippo non sono esattamente degni di una persona che sa come muoversi nel mondo. Dopo aver individuato a malapena dove fosse la zona riservata al recupero dell’accredito stampa, fatico successivamente a comprendere se vi fosse una zona riservata ai suddetti possessori di badge dedicato, dal momento che le spiegazioni espresse non sono esattamente chiarissime. Cerco come in altre occasioni di aggrapparmi a qualche conoscenza, ma dopo aver scoperto che Giulio Gasparin sarebbe giunto solo nel pomeriggio, attendo l’arrivo di Alessandro Nizegorodcew e Riccardo Bisti, mentre i primi due giocatori, come da schedule, cominciano il loro match. Trattasi di Ignatik e Molchanov. Il match scorre su binari favorevoli al bielorusso, e la mia curiosità, deviata soltanto dal fallo di piede chiamato all’ucraino sull’ultima delle palle break affrontate dopo essersi trovato sotto 0-40, si posa su alcuni personaggi le cui sembianza non mi sono affatto nuove. Riconosco, dopo qualche secondo, Simone Bentivoglio, ex-calciatore del Chievo, ora in forza al Brescia: rammento subito che nel mio erratico peregrinare all’interno della struttura ho trovato una stanza con appeso un cartello che evidenziava come si trattasse della palestra del Brescia Calcio. Ed allora tutto torna. Li sento confabulare con uno dei ragazzi addetti all’organizzazione, emettono sentenze che passano dalla conoscenza alla più totale ignoranza – “Ah, c’è Berrer!” “Ma i tabelloni li fanno a sorteggio?” – uno di loro pare attratto particolarmente dai primi scambi del primo match degli otto in programma sul Centrale. Scoprirò poi trattarsi di Valerio di Cesare, e tutto questo lo devo a Riccardo Bisti, nel frattempo arrivato, che da cuore Toro com’è non poteva di certo non individuare un calciatore che fino a qualche mese fa vestiva la maglietta granata.

Il campo, unico, perché per doppi ed allenamenti i giocatori devono spostarsi un quarto d’ora più ad est, al centro sportivo Mario Rigamonti, sorge al centro di un parquet solitamente dedicato alla locale squadra di Basket, la Centrale del Latte, su cui è stato poggiato un classico play-it. Il primo incontro, i cui giocatori sono già stati menzionati, scorre rapido senza alcun particolare sussulto, ma è l’occasione per conoscere, assieme ad Alessandro, il centro che ospita questa manifestazione. A lui serve principalmente per entrare in contatto con il direttore del torneo ed affini, almeno inizialmente per capire se esiste una lista con l’ordine degli allenamenti; scoperta, si programma una scappata all’altro punto focale del torneo, dal momento che lui, per Supertennis, decide che sarebbe corretto fare due domande a Salvatore Caruso, artefice nella giornata precedente di una vittoria di sostanza contro un giocatore di esperienza come Jimmy Wang: tutto viene facilitato dal fatto che Andreas Beck, in maniera del tutto inspiegabile, decide di non scendere in campo, lasciando via libera al qualificato russo Dennis Matsukevitch. Lì per lì fatichiamo sia a capire il perché del ritiro – “L’avevo visto al bar, tranquillo” dice Ale – sia perché non fosse stato ripescato qualche altro giocatore. Se alla prima domanda, dare una risposta, resterà impossibile, scopriamo poi invece che la mancata sostituzione era dovuta al fatto che nessuno dei 28 giocatori eliminati in qualificazione aveva firmato per essere lucky loser, in maniera particolare i quattro eliminati al turno decisivo, probabilmente tutti allontanatisi dalla Leonessa d’Italia. Perplessi, Alessandro ed io cerchiamo la transportation per cambiare impianto, ma il signore designato al trasporto a quell’ora ci dice che c’è un giocatore che deve essere trasportato urgentemente, col coach, di là, dato che era presente al San Filippo per un unico motivo: aveva scordato la sera prima le scarpe! Ci conforta sapere che essendo in due loro, ed in due noi, la tratta la potremmo comunque fare assieme

Mentre attendiamo di capire chi sia, ci balena per l’anticamera del cervello che sarebbe piuttosto curioso se di lì a poco prenderemo la macchina assieme alla stessa persona per cui lui doveva recarsi dall’altra parte. E poiché tante volte la realtà è ben più paradossale della fantasia, dopo poco scorgiamo lo stesso Salvo uscire dall’impianto con un paio di scarpe da tennis scure in mano e capiamo che è proprio lui l’uomo con cui faremo il viaggio, oltre al suo allenatore. Propongo ad Ale di fare un’intervista in stile “car interview” degli speciali su Eurosport del Roland Garros, ma conveniamo che gli spazi non aiuterebbero una perfetta ripresa. In meno dei previsti venti minuti siamo dall’altra parte di Brescia, entriamo in un pallone sotto al quale sorgono due campi, e la prima persona in cui ci imbattiamo – anche se, francamente, non fosse stato salutato da Caruso non avrei avuto il minimo sentore si trattasse di lui – è Andres Artunedo Martinavarr, del quale avevamo parlato fino a poco prima in questi termini: come aveva fatto a qualificarsi? Annottiamo che al primo turno se la vedrà con Stefano Travaglia e ci auguriamo che le nostre perplessità rispetto all’iberico restino intatte alla fine di quell’incontro. Sul campo d’allenamento scambiano in maniera piuttosto solida Motti e Dustov, il tennista uzbeco che parla benissimo la nostra lingua, che non mancano di sottolineare come questo allenamento funga da preludio alla semifinale di serie A tra TC Genova, dove gioca il reggiano, e il Parioli, dove Farrukh è un uomo di punta. Nella rosa del Parioli c’è però anche Caruso, che nel tragitto ha sottolineato quanto sia “gasato” da tale avvenimento: si preannunciano due sfide sull’asse Roma-Genova molto sentite.

Espletata l’esigenza lavorativa da Ale, con intervista e breve video dell’allenamento – “devo riprenderlo quando batte, visto che mi ha parlato del servizio” – rientriamo non dopo aver annotato che sul campo si aggirava un non meglio precisato giocatore straniero che aveva perduto i pantaloni della tuta e l’arrivo di un Viktor Troicki dalla faccia tra il perplesso e l’assonnato. Il viaggio di ritorno è a tappe, poiché lo stesso autista di prima ci può riportare fino all’Hotel Fiera – dove alloggiano vari giocatori – e da lì con un’altra automobile giungiamo di nuovo al San Filippo. Pausa pranzo per me, che, attendendo l’inizio dell’incontro tra Luca Vanni e Filip Krajinovic, comincio a buttare giù le prime righe della giornata: nel frattempo Jan Hernych, con un periodo 6-4, aveva estromesso dal torneo Konstantin Kravchuk. La gente affluisce sempre più copiosamente, e con essa i primi problemi logistici, soprattutto durante la pausa del cambio campo, perché non è sempre facile gestire orde di bambini che si affacciano su questi palcoscenici. Qualche episodio emerge dall’incontro tra il serbo Krajinovic e l’italiano Vanni, dove più volte il giudice di sedia ha dovuto richiamare il pubblico, fino a quando tale ruolo è stato impersonato dallo stesso Filip, che dopo il cambio campo successivo al 6-5 del suo avversario nel primo set urla un “thank you” rivolto al pubblico. Ecco, se mi è concessa una nota più meramente tennistica l’allievo più recente di Diego Nargiso mi è parso a tratti troppo nervoso, in maniera particolare nella parte conclusiva del secondo parziale, quando ha visto allungarsi la contesa, ed invece di rimproverarsi qualche errore forzato di troppo, si è impuntato sull’errata, a suo dire, valutazione di talune palline da parte dei giudici di linea.

Il fatto più clamoroso, però, sarebbe avvenuto al tramonto dell’incontro stesso, e più precisamente dopo il break registrato al termine dell’undicesimo gioco, che gli avrebbe poi consentito di chiudere la partita in suo favore, fissando il punteggio sul 7-5 finale. Krajinovic, ottenuto il punto, invece di andare a sedersi, si avvicinava a rete, tra lo stupore generale degli astanti, che si domandavano se volesse scusarsi con Vanni del nastro colpito sul 40 pari oppure se, in maniera ancora più irriverente, volesse toccare il nastro per il supporto avuto nella stessa occasione. Ed invece, avanzando lentamente si limitava a fissare Luca, che correttamente si dirigeva verso la sua sedia; un po’ deluso, il serbo allora sterzava verso l’arbitro, nel tentativo di…. stringergli la mano! Tutto diventava chiaro: era convinto di aver chiuso la partita, ed attendeva che Vanni si complimentasse con lui. Differentemente da quanto accaduto a Federer ad Halle lo scorso anno, che non si era accorto di aver colto la vittoria, Filip invece si era accalappiato un successo non ancora maturato: nel gioco successivo annullerà due palle break e volerà al secondo turno, ma con più di qualche riserva. Nel frattempo ero riuscito, dopo un certo inseguimento, a raggiungere Giulio Gasparin, Michele Galoppini e Michael Braga, anche loro presenti nelle mie stesse vesti. Seguiti gli ultimi scampoli di match assieme, non azzeccando esattamente l’andamento del futuro più immediato dell’incontro, mentre Ale intervistava Nargiso, falliamo nel nostro tentativo di braccare il suo allievo: dopo aver assistito quindi a tre giochi di Sijsling contro Berrer e compreso che l’olandese non sembrava averne, ci dirigiamo verso la sala stampa, dal momento che il tempo trascorso a bordo campo ci aveva spossato.

La sala stampa era semivuota, in essa era presente solo il cronista del Giornale di Brescia, che pedissequamente eseguiva i suoi compiti nel tentativo di selezionare il materiale migliore per la pagina che il quotidiano locale dedica al torneo, mostrando un ottimo occhio nell’individuazione dell’altezza dei tennisti – retaggio che mi porto dal basket, chiarirà – e narrando con precisione storica il motivo per cui Brescia è la Leonessa d’Italia. A tal proposito, mi è d’uopo fare un appunto per la grande disinformazione presente in rete: sul sito della società dei taxi locale la spiegazione del motivo per cui tale appellativo è stato dato ad una delle province lombarde più orientali è completamente sbagliato, fatto che manda su tutte le furie i locali presenti, e soprattutto Wikipedia attribuisce a Luca Vanni circa 25 centimetri in meno rispetto a quelli reali. Con meraviglia scopriamo che Berrer, pur servendo 13 aces, ha perso il primo set, e che il suo svogliato avversario invero l’abbia vinto, mentre curiosiamo risultati dagli altri tornei in giro per il mondo, dove becco con triste preveggenza la certa sconfitta di un sempre più cotto Nicolas Jarry, mentre Michael e Giulio perdono la testa per Gonzalo Lama, ma più per il nome che altro. Dopo un intramezzo musical-danzante, e la scoperta che esiste un bagno con una finestra direttamente sul campo – spettacolare, peccato averlo scoperto solo tra un incontro ed un altro – è l’ora di Austin Krajicek e Andrea Arnaboldi. La partita è godibile, i due, mancini, cercano spesso la rete per chiudere il punto, motivo che porta ad assistere a diversi punti interessanti.

Nel frattempo Nizegorodcew è tornato dei nostri, notiamo tutti come, differentemente dal luogo comune, per un mancino sia più semplice trovare aces e soluzioni maligne da destra che non da sinistra, sosteniamo il canturino, peraltro già aiutato da una folta rappresentanza nel suo box, tra cui si fanno vedere il coach Albani e il mental coach Cadonati, ma purtroppo alla fine gli è fatale un doppio fallo sulla palla break dell’ottavo gioco del terzo set. Quel punto, ahimè, sarà il mio ultimo di giornata: torno dal grande capo stampa, Riccardo Bisti, gli riaffido il mio pass, colgo l’occasione per salutare Marco Caldara, e mi reco al luogo in cui avevo concordato il taxi mi venisse a prendere per riportarmi alla stazione in cui ero arrivato. Sì, era la stessa dell’errata spiegazione della Leonessa d’Italia, ma, in fondo, non li ho mica chiamati per un ripasso sul XIX secolo.

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