Il sempreverde «Randy» Lu

Yen Hsun Lu

di Piero Emmolo

Il protagonista di questa settimana del Challenger Tour è un ragazzo di Taiwan. Dal cognome cortissimo, ma dal cuore e dalla volontà infiniti. Come il simpatico gemito che emette quando colpisce: discreto, breve, rispettoso. Chi conosce Yen-Hsun Lu ne parla come un ragazzo un pò schivo e riservato, tradente poche emozioni, come lo stereotipo caratteriale degli orientali vuole. Yen Hsun ci tiene a rimarcare le sue origini. É invalsa l’abitudine di chiamarlo tra la stampa specializzata ” il cinese di Taipei”, ma Yen Hsun rimarca spesso le differenze tra Taiwan e la Cina. Rivendicandole con orgoglio, nonostante abbia deciso di terminare la rappresentazione del suo Paese in Davis. L’arcipelago orientale non è infatti riconosciuto, tranne eccezioni, nelle relazioni giuridiche internazionali come Stato autonomo. Il suo coach è azzurro, si chiama Roberto Antonini ed è stato il co-artefice dello step migliorativo che ha fatto registrare la prima finale ATP di Lu. Ad Auckland, ad inizio stagione, dove tuttavia le granate di Isner ebbero la meglio in due tie break. Ma il grande popolo del web ha conosciuto ben prima questo simpatico atleta dagli occhi a mandorla. Nel 2010, da sconosciuto ai più, giunse ai quarti di Wimbledon battendo Roddick, le cui scorie per l’incredibile finale persa l’anno prima sarebbero state destinate a non sopirsi mai del tutto nel proseguo della pur eccellente carriera. Lu vanta il proprio best ranking proprio in quella stagione baciata dall’inaspettato exploit sui prati londinesi. ”Randy”, per gli amici, a discapito del soprannome che potrebbe far pensare a un tennis un pò casuale, è quadrato ed ordinato sul rettangolo di gioco. Nello sciorinare le trame del suo tennis e nel contegno di gara. Buon servizio, colpi ficcanti ed incisivi. Sempre rispettoso, mai fuori le righe, talvolta anche troppo, come il coach italiano ha fatto notare. Antonini sta infatti cercando di forgiare un imprinting caratteriale più ferreo al suo assistito, anche se contro l’indole e la predisposizione naturale a certi comportamenti, non c’è poi molto da fare. In settiamana ha vinto il challenger di casa di Kaohsiung, battendo al terzo il nostro grande Luca Vanni e intascando 125 punti che lo faranno veleggiare attorno alla quarantesima posizione. Promise al padre, morto all’improvviso e al quale era molto legato umanamente, che l’avrebbe onorato con la top cento. Ha ampiamente ossequiato l’impegno.

A Binghampton trionfa l’ucraino Sergiy Stavkhosky, battendo in finale il sempre chiacchierato Wayne Odesnik, i cui trascorsi etico-sportivi poco limpidi fanno fatica ad essere metabolizzati nel circus. Nel challenger canadese di Granby, vittoria del nipponico Hiroki Moriya, sulla sorpresa francese Fabrice Martin, il cui week change di 148 posizioni è emblema del risultato inaspettato nel challenger del Paese della foglia d’acero. Bissa il successo olandese di sette giorni fa David Goffin. Per il fiammingo altro buon successo che fa ben sperare dopo il brutto infortunio che l’ha tenuto convalescente a lungo. Nell’appuntamento di Recanati, ennesimo titolo stagionale per Gilles Muller. Soccombente in finale l’istrionico serbo Bozoljiac, che s’e’ comunque consolato della delusione con la vittoria nel doppio. Müller e Cuevas sono senza dubbio i giocatori che più stanno riemergendo in questo 2014, dopo svariati problemi fisici che hanno martoriato la carriera (vedi il lussemburghese) e infortuni che hanno minato seriamente il proseguo dell’attività agonistica (vedi l’uruguaiano).

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