L’urtimo amico va via

di Sergio Pastena

Gli US Open, per certi versi, sono uno Slam triste. Regalano sempre spettacolo, è vero, e Flushing Meadows è stata teatro di tanti match che hanno contribuito a fare la storia del tennis. Tuttavia gli US Open da un certo punto di vista sono tristi.

Perché? Semplice: prima del major americano spesso e volentieri grandi tennisti annunciano il ritiro. La colpa è di una combinazione di fattori: quello di New York è l’ultimo Slam dell’anno e rappresenta di per sé una degna chiusura, inoltre si disputa in America e molti campioni a stelle e strisce preferiscono chiudere davanti al proprio pubblico (vedi ad esempio Sampras e Agassi). Inoltre c’è anche chi decide di finire in Australia ma l’annuncio lo dà negli Usa con largo anticipo, in modo da non far credere che voglia giocare ancora una stagione intera.

Un esempio è quello di Xavier Malisse, ritirato eccellente di questi giorni assieme a James Blake, che la carriera la concluderà però subito. Il belga dirà basta dopo li Australian Open ma l’ha comunicato da poco e il buon Niz, sapendo della passione smisurata che provo per il belga, non mi ha nemmeno proposto la busta A e la busta B, dicendomi direttamente “Malisse lo lascio a te”.

Ora… un buon necrologio tennistico prevede di solito una sequenza invariata e quasi invariabile di cose: parlare un po’ della carriera e dei principali traguardi raggiunti dal tizio in questione, descriverne le caratteristiche tecniche, fornire qualche aneddoto tipo match memorabili e curiosità fuori dal campo. Quindi dovrei sbrigarmela parlando del best ranking al numero 19, della semifinale a Wimbledon e dei pochi tornei vinti, troppo pochi in rapporto al talento. Poi dovrei parlare delle partite epiche, quasi sempre sconfitte, come quella contro Nalbandian a Londra o il match buttato via sugli stessi prati inglesi nel 2012 contro Federer. Per finire dovrei concentrarmi sulla bellezza dei suoi colpi e bla bla bla. Ma non renderei l’idea quanto un puro e semplice slow motion.

Per la precisione questo.

Guardatelo più volte e osservate il volto di Monsieur Xavier: non si muove un muscolo, giusto un filo di rigonfiamento alla guancia come per dimostrare che anche lui, in fondo, respira. Colpisce in souplesse, quasi che fosse troppo per lui scomporsi: gesto ampio, botta e atterraggio, con la stessa faccia di chi è impegnato a tosare il giardino. Strafottenza? No, signori, eleganza naturale. Quella eleganza negata ai più, caratteristica del tennista di razza in un tempo che premia certe razze di tennisti su cui non mi esprimo, colpitori scoordinati col viso stravolto di chi è reduce da un tete a tete con Manny Pacquiao in Vicolo Corto. E a proposito di facce, quella di Malisse ricorda più un assassino del bronx che un tennista: sguardo da patibolo che aumenta contrasto e fascino.

Se Santoro era il Genio, Malisse era di certo l’Eleganza. E Rochus il Talento, Llodra il Tocco e, dulcis in fundo, Federer la Classe. Stanno andando tutti via, rimpiazzati da poche nuove leve come Dimitrov e Dolgopolov, dispensatori del vaccino del bel tennis ma ancora troppo giovani per dirsi immuni al virus del “Se vuoi vincere picchiala forte”.

E in aggiunta, cari signori, una certa malinconia. Quando Le Magicien ha smesso lui aveva 37 anni e io 30 da compiere. Xavier ne ha 33 e qualche mese in meno rispetto a me. Mi sa che Wimbledon non faccio più in tempo a vincerlo…

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